lunedì 17 novembre 2014

La malga del Cròjare

Vento o gnevegola, nùvolo o serén il 2 giugno di ogni anno, imperativamente, se paràva sù le vache in montagna come così, imperativamente, il 21 Settembre, giorno di San Mattio, fiera secolare ad Asiago se scargàva montagna.
Prima e durante la seconda guerra mondiale, caricava la malga del Cròjare un nostro parente: Nardo Baise. Costui era un uomo, poco sopra la cinquantina, grande e piuttosto robusto e con una buona circonferenza di vita. La sua giovinezza, nella marina americana come cuoco, aveva lasciato tracce. Congedatosi e sposatosi in paese, conduceva bonariamente la sua seconda vita, un po' come giudice conciliatore ed un po' come malgàro. Per lunghi anni ebbe in affitto questa malga poco redditizia, fatiscente e troppo esposta ai capricci del tempo.
Le casàre, rifatte nuove dalla Regola, un po' più sopra delle vecchie, le si possono vedere, dalla Singéla, in cima al Sojo alto, nel bivio per i Castelìti. Sono situate a nord, nel lungo promontorio che partendo dal Bìsele arriva fino alla cresta frastagliata del e Cròjare, sopra Casotto. Zona da funghi, dicono i casottani al giorno d'oggi e le Lusernate stiàni, ma zona magra come pascolo.
Ed é in questa malga che i Baise, parenti del malgàro, montificavano le loro mucche nel periodo estivo. Per raggiungerla la strada era lunga!
Giunti in cima alla Singéla ci si dirigeva verso Camporosà. Nella Val del Trugole, si prendeva la strada piana, a sinistra, fino alla Posta delle Pontare, per poi inoltrarsi sul territorio del Bìsele. Si attraversa l'orrido della Torra al ponte dei Rossati, a quel tempo di legno e tutto traballante. E di lì ci si dirigeva ad est verso la malga. Quanto era lunga? Solo le Lusernate lo sanno... loro che la percorrevano, dalla primavera fino ai primi geli, con il bigòlo sulle spalle e le due ceste appese, colme di cochi, brise e funghi russi.
Non vi era una grande accoglienza da queste parti.
Nelle malghe più grandi, quando arrivavi, il capo vaccari, il casàro o a volte perfino il padrone, ti accoglievano all'entrata del “PRATO”. Questo luogo era un pezzo di campìgolo, più o meno grande, a seconda dell'importanza della malga, circondato da un muretto di pietre. Serviva da secoli, per il raduno delle bestie, sia al loro arrivo sia alla loro partenza. E' ancora ben visibile quello di Camporosà. Alle persone che accoglievano, venivano dati i connotati degli animali: numero, nome, età, quantità di latte ecc. Ci si recava poi nella vicina casàra dove un grande fuoco riscaldava l'ambiente. Il sentore della resina ed il profumo che emanava la polenta brustolà ti faceva dimenticare tutte le fatiche del viaggio. Polenta brustolà e una scudéla de late caldo, formàjo e nelle più ricche anche qualche feta de sopressa... un magnàre da Dio.
Naturalmente ritornare a casa per la stessa strada era impensabile, visto la lunghezza... ancorchè... qualche anno dopo in miglior compagnia..., ma allora sfoderavo un paio di scarponi di cuoio, fatti da mio fratello a spago N°43, con le broche piatte nel mezzo ed ai lati i brocùni. Quando arrivammo a casa, verso sera, un grande punto interrogativo si leggeva negli occhi inquisitori dei nostri famigliari.
Mio zio conosceva bene un sentiero più breve, ma, mi disse, che per questa volta non si poteva prenderlo e che si doveva prendere quello per Casotto. Il primo pezzo fino a quasi giù alla Torra, più che un sentiero era un vaio per far scendere la legna.
Eppure ho un bellissimo ricordo di questo luogo. A metà pendio, su un piccolo pianoro, un sasso, a forma di campanile, si erigeva alla sua estremità, che dava sul vuoto. Sulla cima, in un piccolo spazio di una ventina di centimetri, due stupendi gigli gialli di Sant'Antonio si protendevano verso il cielo. Erano troppo belli per lasciare che solo la natura se li godesse. Maria santissima, ste tenti che quel toso lì, el va a copàrse par un fiore gridarono le donne vedendomi salire, e girandosi dall'altra parte par dir sù giaculatorie par la me anima.
Zio, zio... guarda, laggiù in fondo, nella Torra, c'è un fuoco acceso, guarda come fuma! Sicuro, risponde lo zio sporgendosi, non vedi che sono i boscaioli che tagliano il loto di legname della Sisalàita. Guarda le piante tagliate per terra, gli operai che stanno ramandole con le menàre e le coppie che stanno tirando il segòn. El cogo avrà già messo sù sul fogo el caliéro par fare la polenta, che xè presto mezzogiorno. Non vedi che el strodo che dovevamo prendere é chiuso dalle bore. Quelli lì non hanno mai visto tajàre un bosco, stanno distruggendolo, vedrai che se ne occorgeranno.
Parole di un conoscitore, perchè mio zio, oltre che aver diretto una Cooperativa di lavoro, era stato anche mercante di legname. Uno sguardo all'altezza della pianta, e due colpi di canàola (squadra a due aste orizzontali) ne calcolava la cubatura.
A mano a mano che si scendeva, il sentiero diventava più praticabile fino alla casa della Beladelara. Qui ci si fermava qualche istante, sia per bere acqua freschissima dal loro pozzo, sia per scambiarsi qualche novità con i Parùni.
Ed era quello che con grandi gesti delle braccia stava facendo mio zio, che era sempre al corrente di tutto. Per niente non lo chiamavano... “parco” Baise.
Spiegava loro, che gli operai che si vedevano dall'altra parte della Torra, in località fontane dei Baise, stavano costruendo un grande piazzale sul cui suolo sarebbe stato posto la partenza e l'arrivo di una vera teleferica a cavi, mai vista prima d'ora, che avrebbe trasportato giù a valle il legname che stavano abbattendo nella Sisalàita.
Oltrepassati i campi coltivati ad orzo e formentòn, si presentava davanti agli occhi stupiti del viandante, la scafa. Quando uno, per la prima volta, vede questo passaggio naturale a covolo, stagliato nella roccia, un brivido gli percorre la schiena. La prima cosa che nota é la strettezza del sentiero, poi il suolo formato da lastroni di roccia a scalini, levigati dal continuo passaggio e in forte pendita verso il ciglio, privo di protezione e che dà su un burrone di trecento metri.
Prega il buon Dio de no sbrissiàre, altrimenti devono venire a  raccogliere i tuoi resti con il cucchiaino nella Torra. E ti, sta tento de no fare el mato! Questi erano i commenti delle donne, anche se pure a loro, dall'altra parte della Torra, non mancavano i sentieri pericolosi come i tri camìni, i salti...
Se pure brutto e pericolosissimo, non sono mai successi degli incidenti gravi in questo luogo. Ora è stato sostituito da una galleria, di poco inferiore a quella del Frejus per altezza e larghezza. Hanno aperto una finestra nel mezzo, ed é quel buco nero che si vede da lontano. Occhio ciclopico, che scruta la bellezza della nostra Valle. Soltanto quel buco nero è stato aperto per il solo scopo di buttare nella Torra centinaia di migliaia di metri cubi di materiale, prodotto dalla galleria, ostruendone il corso e nello stesso riempiendo di materiale anche il vecchio storico passaggio.
Il materiale dalla Torra fu poi fatto asportare, ma questa è un'altra storia tutta italiana...
In poco tempo, dalle Tezze, piccola località con qualche vecchia casa ristrutturata, percorrendo il sentiero dei contrabbandieri che attraversava la Torra, e conduceva ai Valergi... arrivammo a casa.
Lino Bonifaci

9 commenti:

  1. Andaloche Lino, quante robe che te ne cunti. Se no te ghe fussi biognarìa inventarte. Sti Baise, ahn, i ghe xera dapartuto come la gramegna, anca in teritorio imperiale. Quante ghinài fate!

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    1. Don, dimentichi di fare gli auguri alla Carla? nemo, dai!

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    2. Ma dai, come Tito Flavio Sabino Vespasiano Cesare Augusto? Tanti cari auguri alla Carla allora e fervidi voti per questa meritoria sua opera blogginica. Non chiedo quanti sono perché non s’addice ad un gentiluomo per giunta hidalgo, mi limito ad una vaporosa genuflessione con baciamano guantato e rosa in bocca, rotazione derviscia destrogira con ampio fruscio di mantello e sciapò finale con lancio della rosa mesima.

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    3. mamma mia! l'hai fatta capottare di sicuro!

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  2. Quanto ho sognato oggi, magica magica Torra, da me percorsa solo per un tratto. Chissà com'era bella nella parte più alta.....Floriana

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  3. Sponcio,quanti salamelecchi alla ...potente. I te ghea dito de farghe i Auguri non una omelia!
    Te te lamenti sempre che no i parla mai del territorio del DXT me gavaria spetà che par una
    volta te me parlassi della vecia strada(?) del Crojare,della scafa,e del santolo della Bedalara.
    Ma mi me par che te piase massa "papillonare" con le donzelle,e prevaricare con le nonnine......

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    1. "Papillonare" è un po normale quando si ama le farfalle, come il Don. Ma, prevaricare, (oh my God !) Lino, mi sai dire quando DS ha peccàto per omissione ? Se sai qualche segreto, tipo le relazioni pericolose del cardinale Mazzarino con Anna d'Austria, aspetto informazioni.

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  4. Tarè che dimanmatìna de bonora, o anca stanote de insonia, el te fa lu la storia dele anguane!

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  5. Mais mon cher Linò, potevi ben dirci che sei anche tu un diciassettenne di novembre, così ti dedicavo un forte abbraccio da anaconda digiuno. Desso passà el santo, passà el miracolo. Circa le nostre polemichette imperiali guarda che sei tu che hai abbandonato la contesa e ti sei ritirato sconfitto a meditabondare. Io resto imperterrito sulla breccia a frantumare gli zebedei meglio dei mulini del bortolo. Ciò, aproposito, girano voci che ti vorrebbero come presidente del comitato per il gemellaggio San Pietro-Rotzo, così, tanto per non essere da meno dei DxA. Ci stai già lavorando sopra?

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