lunedì 13 ottobre 2014

Qualche riflessione...


A dieta, ho divorato un libro sull'obesità.
Non riderò più delle donne di Botero.

di Rachele Grandinetti

Mi è capitato tra le mani un libro, per caso, grazie ad un incontro. Mi fa sorridere adesso pensare che l’incontro sia stato un pranzo e che il libro parli di obesità. Non solo. Tempismo batte coincidenza dal momento che, in questo periodo, sono pure a dieta! Un po’ controtendenza, forse, dal momento che sono arrivata rotondetta alla prova costume e ho deciso di riprendere le mie forme a vacanze finite. Ma del costume non mi è mai importato più di tanto.
Sono calabrese e amo il mare, a prescindere dai bikini. Sono calabrese e amo mangiare le cose buone di casa. Mia nonna materna abita sul nostro stesso pianerottolo, ci vuole poco ad intuire a quali menu sia stata abituata. Perché il cibo è festa, è un rito, è il momento che riunisce la famiglia intorno ad un tavolo. Da piccola, a pranzo, volevo assolutamente che la tv rimanesse accesa, volevo guardare i cartoni animati e Non è la Rai. Papà, invece, chiedeva che il televisore fosse spento, perché eravamo a tavola. Non mi piaceva. Non mi piaceva il minestrone e non mi piaceva non poter guardare la tv in quel momento. Oggi lo capisco, lo apprezzo. In queste poche righe sembrano galleggiare tanti luoghi comuni, eppure tanto comuni non sono. Forse non è più così comune riuscire a trovare il tempo di sedersi accanto, assaporare (non consumare) un pasto e parlare.
Non è così comune mangiare bene e amare quello che si mangia perché è stato cucinato con amore. È un’altra di quelle cose che apprezzo ancor di più da quando vivo fuori. I primi tempi il mio inno è stato: Dio benedica la plastica, gli happy hour e le cene a domicilio. Poi, quando anche fuori sede ho iniziato a lavorare sulla «normalità», ho rimesso le mani in pasta e adesso preferisco cenare in un bel piatto di porcellana rosa e sprecare due minuti e una goccia di sapone e lasciare un po’ più vuoto e indifferente il bidone della plastica.
Tanta antropologia sostiene che siamo ciò che mangiamo. È vero. E sono anche convinta che molte persone si conoscono a tavola, come se i gusti del palato fossero uno specchio del carattere: ho fatto caso che più si è schizzinosi col cibo, più si è complicati nel quotidiano. E adesso che sono a dieta, un’altra cosa che mi salta agli occhi in modo lampante è quanto il cibo sia sintomo di socialità. «Vediamoci per un caffè», «vieni a pranzo da me così ne parliamo», «esco alle 7 dall’ufficio, facciamo un aperitivo?», «non trascorriamo una serata insieme da una vita, organizziamo una pizza in settimana». E allora la forza di volontà si deve armare e combattere in nome delle pubbliche relazioni! Ma le mie, in fondo, sono piccole rinunce.
Stamattina ho letto un libro, quel libro che mi è capitato. Forse è fuori luogo dire che l’ho «divorato», ma è così. È sceso tutto d’un fiato. «Forte e sottile è il mio canto. Storia di una donna obesa» (Giunti Editore) è l’autobiografia di Domitilla Melloni. Si racconta a viso scoperto, nonostante quel viso lo avesse perso di vista sotto i chili che, negli anni, hanno affaticato il corpo e annientato la sua dignità. È un corpo in continua trasformazione il suo. L’infanzia, l’adolescenza, l’età adulta, la maternità hanno avuto una nota in più, un bonus di sensi di colpa e mortificazioni. Perché era colpa sua, solo colpa sua e del mancato autocontrollo. Lasciamo in dispensa i moralismi: quante volte, vedendo per la strada una persona obesa, abbiamo pensato a quanto potesse essere ingorda ed affamata, che sicuramente la costituzione e la predisposizione incidono tanto, ma soprattutto il frigorifero sempre pieno di cibo spazzatura e dolcetti fosse il miglior alleato di quelle forme.
Come guardiamo una persona obesa in spiaggia? Mi sono fermata a rifletterci scorrendo le pagine di questo racconto-confessione. Un corpo che si mostra in tutta la sua imponenza e nudità non passa inosservato. I canoni estetici a cui tanta società vorrebbe abituarci, poi, ci mettono il carico da 90. Le passerelle propongono taglie 36 come ideale di donna e di moda. Ideale di fame, più che altro. La verità è che non ci sono taglie che tengano (o stringono), esistono diverse fisicità e la femminilità non ha niente a che fare con una S, una M o una L. Ed è proprio la femminilità che ha giocato un ruolo fondamentale nella vita della Melloni: era il vestito che voleva indossare da piccola invece di quelle tute informi a cui la costringevano i genitori, erano i fiocchi rosa che voleva tra i capelli quando la mamma, per lei, sceglieva blu e azzurro. È l’orizzonte a cui tende nel corso degli anni e delle cure cui si sottopone per accettare lo «straniero», per convivere con quel corpo che non sente e riconosce. E la guarigione non è la perdita di peso. La guarigione è la consapevolezza che alleggerisce la coscienza: l’obesità è una malattia e Domitilla soffre di un “eterno lievitare” non perché non sa controllarsi, ma perché è affetta da una patologia. Viste sotto questa luce, forse, quelle donne alla Botero non ci fanno poi sorridere così tanto, non ci fanno pensare solo: «Certo, se mangiassi un po’ meno…». «I mass media sono addirittura colpevoli di aberrazioni come l’elezione annuale di “Miss Cicciona” sulle spiagge italiane, sponsorizzata dalla tv di stato (“Chi sponsorizzerebbe mai l’elezione di Mr Parkinson o Miss Leucemia?” si chiedeva costernato uno specialista a un congresso qualche tempo fa). Chi?
In Italia l’obesità è la seconda causa di morte dopo il fumo, l’ho scoperto imbattendomi nelle informative circa la Giornata Mondiale contro l’Obesità, fissata il 10 ottobre. «Ogni quindici chili di peso in eccesso, si rischia di perdere tra gli otto e i dieci anni di vita, con un rischio di morte più elevato del 30%” è l’allarme dell’OMS. Non vuole spaventare ma informare e sensibilizzare.
Consulenze gratuite e materiale divulgativo in 200 centri di dietologia sparsi sul territorio nazionale. Per mettere a tacere i sensi di colpa è necessario, innanzitutto, mettere a dieta il pregiudizio. Difficile in una realtà che è quasi un luna park, una sala degli specchi deformante che fa passare per normale un’eccessiva magrezza. Magro è bello? Tondo è bello? De gustibus, anche a tavola. Sano è sicuramente bello.

2 commenti:

  1. mi sa che cominci a trovare varie scuse per no continuare quello che hai promesso !!!!!!
    guarda che vengo a controllare la tua bilancia
    buona giornata

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  2. Avete già visto le foto di Yossi Loloi, fotografo italiano che ha fatto, delle signore obese, un suo obiettivo ?
    http://www.yossiloloi.com/portfolio/fullbeauty-project
    Trovo che le sue modèlle sembrano quasi vestite, non sono immagini "urtanti"per me.Hanno piedini come le Cinesi e Giapponesi di una voltà, fasciati secondo le tradizioni. ARTE del fotografo.

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