lunedì 27 ottobre 2014

Il Parroco don Antonio Fontana - “grande edile"

Correva l'anno 1895...
Il 28 novembre Carlo Righele vede arrivare dalla strada nuova di Pedescala un viandante, alquanto robusto di corporatura, vestito da prete e con un fagotto sulle spalle.
"Bongiorno", el ghe dise lo sconosciuto... Dime bon omo... "Quel paese che se vede là... xelo San Piero?" Sì sì, el ghe risponde Carlo, guardandolo con aria inquisitoria. Ma lu chi xelo? "Mi a son el novo prete". Oh el me scusa salo, el me daga a mì el fagòto ca lo compàgno fin in paese, ma xe mejo ca lo avérte prima, el sarà obbligà a dormire in te la casa del capelàn parchè la canonica xe tuta na rovina!
Fu così che arrivò in incognito, seppur atteso, il miglior parroco ed il più longevo che la parrocchia di Sanpietro abbia mai avuto. Colui che, con le sue opere, uomo normale, ma posseduto da un grande carisma, da un immenso coraggio e da un'inflessibile volontà del fare, con l'aiuto del popolo "unito e concorde" cambiò l'aspetto edilizio di San Pietro, costruendo opere essenziali ed utili ad un paese civile.
Don Antonio Fontana era nato a Zugliano nel 1857, ordinato sacerdote nel 1888 fu nominato parroco di San Pietro nel 1895.
La notizia del suo arrivo si sparse come un lampo fino ai Lucca dove, ventenne, abitava Gigio con i suoi fratelli e i genitori Basilio e Catina.

Prima dell'arrivo dei liberatori-devastatori francesi: ”il territorio della Spettabile Reggenza dei Sette Comuni o Lega delle Sette Terre Sorelle non era proprietà privata e nemmeno proprietà pubblica demaniale, ma proprietà collettiva mani unite ossia proprietà degli antichi abitanti riuniti in colonelli. 
Napoleone nominatosi re d'Italia, nel 1807 mette fine a questi privilegi abolendo la Spettabile Reggenza dei Sette Comuni. Cessò così di vivere, dopo cinque secoli di vita, la più piccola delle Federazioni politiche d'Europa e la più antica assieme alla Svizzera.

Scomparsi i Francesi si passò sotto il dominio austriaco. Il contrabbando che tanto aveva contribuito al benessere dei Bonifaci, in Contra' Baise, a causa dell'abolizione delle frontiere, era praticamente scomparso o non più redditizio. Ma la peggior disgrazia che arrivò loro fu l'opera “buona” compiuta dagli Austriaci che un anno appena prima della loro cacciata dal Veneto (1866), decisero, approffitando delle leggi abolite da Napoleone, di dividere il territorio della Proprietà Collettiva in tanti “lotti” quante erano le famiglie del paese, tenendo conto sia del numero dei membri, sia della posizione dell'abitazione. 
Le famiglie Bonifaci ai Baise, furono così “espropriate” della montagna situata sopra le loro case che serviva loro per far vivere gli animali. La difficile situazione così creatasi costrinse le famiglie a scendere nelle case che possedevano sotto la Contra' Lucca, che prima usavano solo per passare l'inverno.
Nel 1870 mio bisnonno Stefano e mio nonno Basilio furono i primi ad abbandonare le case natali, immaginate con quale tristezza, dopo tre secoli di permanenza! Gigio, (Luigi) mio padre, era fin da piccolo molto affezionato al parroco d'allora don Carlo Bonomo che gli aveva insegnato non solo la religione, ma anche a leggere e scrivere, cosa ancora abbastanza rara per quei tempi.
Conscio delle gravi difficoltà in cui doveva trovarsi il nuovo prete, appena arrivato, con l'aiuto della mamma riempì un “prosac” di viveri: pane, formaggio, salame, vino e passando per la strada delle fontanelle e i Checa si recò nella casa del Cappellano dove trovò don Antonio intento a sistemare un po' alla meglio le poche cose che possedeva. Si videro, si parlarono e si stimarono a vicenda.

Don Antonio, vista la situazione di povertà materiale e morale i cui viveva la popolazione, volle subito mettersi all'opera per portare un po' di progresso e far avanzare il paese un po' verso la civiltà.
La vista dei moltissimi bambini, sotto i sei anni, “arlevà” molto spesso dalle vecchie nonne,
mentre le mamme erano nei campi con i più grandicelli a ”metter do patate“ o tor sù granghe, lo colpì profondamente.
Vedere quelle povere creature correre e giocare seminudi, estate ed inverno, coperti da uno straccio di grembiulino che non copriva loro neppure le nudità … (a quei tempi non esistevano i pannolini, gli slip o le mutande e ... manco ai miei tempi...) sconvolse quell'animo generoso che decise di costruire loro un locale.
Fu con un piccolo Asilo (l'attuale, ora ingrandito inutilmente, perchè privo di bambini) che cominciarono le opere edilizie del nuovo Parroco nel 1897.
Per poter costruire bisognava avere conoscenze; Gigio, legato per parentela con quasi tutto il paese, conosceva la strada giusta. Fu così istituita una ”Società Operaia di Mutuo Soccorso” ed una “Cooperativa“ che diventarono presto il centro propulsore delle nuove opere. 
Nello stesso tempo il nuovo Parroco insisteva con il Comune per avere la canonica nuova. 
E fu fatta, ed é quella attuale, un tantino rimodernata. 

Nel 1900 fu costruito, con l”aiuto di tutta la popolazione, il grande Sacello della Gioa in onore di Cristo Re e di cui mi ricordo di aver visto tracce di pittura all'interiore della nicchia, ora completamente scomparse. 
Nel visitare le varie case per la benedizione pasquale si rese conto in quali deplorevoli situazioni si trovavano certi anziani soli, ammalati e spesso lasciati morire in miseri giacigli di scartossi. Si commosse e come prima aveva pensato per i bambini ora pensò pure per gli anziani. Fu così che in un'ala del nuovo Asilo istituì un piccolo Ricovero per una decina di persone. Per poter far vivere queste due opere, (a quel tempo lo Stato, per il sociale, non esisteva) in primis dedicò l'Asilo, con il suo augusto assenso, alla Regina Margherita di Savoia, la quale si compiacque di inviare un piccolo obolo di L. 500. 
Utile, ma non sufficiente, così il buon Parroco nel 1902 pensò bene di costruire una casa per il Medico Condotto della Valle, costringendolo a vivere in paese, e con l'affitto, pagare la manutenzione dell'Asilo e del Ricovero. Questa casa del Medico fu più tardi venduta al Comune di Rotzo (a quel tempo nostro comune) per ricavare soldi per finire la costruzione della nuova chiesa. Nel 1940 divenne ed è tuttora sede del nuovo Comune di Valdastico.

Nel 1910 mise corona a questa multiforme attività edilizia con la costruzione del Ricreatorio S. Barbara, delle dimensioni di 8 per 18 m. (chiediamogli perdono per il suo stato attuale!). Nel 1908 da parte del Comune ci fu la costruzione del Cimitero degli Alzere.
Ma l'assillo maggiore di don Antonio era di costruire una nuova chiesa perchè quella esistente ancor nuova, non aveva neppure un secolo, era incapace di contenere tutte le persone che si recavano a messa, essendo la popolazione della parrochia più che triplicata in cento anni. La parrocchia a quel tempo faceva più di duemila anime. 
Nel 1911 fra mille contrasti si cominciò la sua edificazione. Il paese sembrava un alveare... tutta la popolazione partecipò alla prepararazione del necessario.
La disgraziata guerra del 1915 - 1918 ne interruppe i lavori...

a seguire: Il profugato e la nuova Chiesa
Lino Bonifaci

3 commenti:

  1. Se riuscirà a vedere da lassù "le sue creazioni" in che stato pietoso versano oggi cosa direbbe? Userebbe clemenza o inveirebbe contro qualcuno?

    RispondiElimina
  2. Altri tempi e altre tempre, caro Lino.

    RispondiElimina
  3. Baise, andaloche, adesso fai un post a stagione, invece dovresti essere più prolifico. Cavà l'orto, la tassa e la messa ala domenega, cossa altro ghetu da fare? Scrivi, nemo, dei!

    RispondiElimina

Avvisi della settimana

Sabato 1 e domenica 2 febbraio alle porte delle chiese di tutta la valle ci sarà la vendita delle primule a favore del Centro di aiuto alla ...