lunedì 20 ottobre 2014

Dalla Valle delle lacrime all'Isola delle lacrime



La Valle delle lacrime, così era chiamata la nostra terra per l'angosciosa lacerazione causata dall'emigrazione. Isola delle lacrime era chiamato l'isolotto di Ellis Island, nella baia di New York, per il medesimo motivo. Due mondi distanti ed opposti accomunati dalla medesima tragedia, che però in quest'ultimo luogo seppe anche trasformarsi in nuove opportunità e speranze.

Quest'estate mi trovavo a New York e mi recai alla Statua della Libertà, che si erge proprio di fronte a Ellis Island. Non potevo certo esimermi dal visitare questo approdo, nella consapevolezza di cosa esso abbia significato nella storia dell'America e un po' anche di tutti noi.
L'emigrazione stanziale verso gli Stati Uniti coinvolse forse più le popolazioni dell'Italia meridionale che quelle della nostra terra, che si orientarono piuttosto verso l'America del Sud nella seconda metà dell'ottocento. Vi fu però un periodo, ai primi del novecento, che vide l'emigrazione negli States di diversi giovani nostrani, i quali però per lo più rientrarono in patria dopo pochi anni, forse a causa del richiamo in guerra. 


All'interno del complesso oggi adibito a Monumento/Museo, c'è un corner riservato a chi ha interesse a risalire agli immigrati sbarcati dalle navi e transitati per questo vaglio. Gli americani, infatti, registrarono meticolosamente dati di ciascun immigrato: Nome e cognome, età, luogo di provenienza, stato civile, nome della nave e porto d'imbarco
Per mezzo di semplici interrogazioni al terminale è quindi piuttosto agevole ricavare delle informazioni in merito.
Io non avevo particolari riferimenti di parenti emigrati negli States, tranne un prozio, e così ho fatto alcune ricerche per filtro di cognome, in modo da risalire a qualche paesano passato di lì. Anche se lo strumento era veloce ed efficiente, c'è da dire che i funzionari dell'immigrazione dell'epoca si trovarono a riportare dati letti o dettati in lingue straniere, per cui registrarono le cose più improbabili: Rosso, Rozza, Botzo, per Rotzo,  Cagolo per Cogollo, Tonedda per Tonezza, ecc. Anche i nostri,  a volte dichiaravano Rotzo, altre San Pietro e data la comunanza di cognomi con Rotzo non sempre è immediato individuarli. Alcuni emigrati nel 1916 indicarono Stradella (PV), il paese dov'erano sfollati per la guerra.
Ecco allora che ho estratto i dati di alcuni paesani che mi sono venuti in mente al momento e sapevo essere emigrati negli USA:


Cominciamo con il più benemerito, quel Cav. Paolo Sartori che istituì "Casa Nostra" e al quale San Pietro ha giustamente dedicato la via della Campagna.  Sbarcò a New York il 1° gennaio 1908  dalla nave Finland partita dal porto di Anversa, in Belgio. Aveva 24 anni ed era scapolo. Fu uno dei pochi che rimase negli States, dove trovò moglie e fece fortuna con l'industria casearia a Plymouth, nel Wisconsin. Oggi l'azienda, la Sartori Cheese Co. (www.sartoricheese.com) è alla quarta generazione e ha festeggiato il 75° anniversario di fondazione.


Giovanni Slaviero (Moro): arrivò il 14 aprile 1910 con la nave Cretic, partita da Napoli. Aveva 25 anni ed era sposato. Si arruolò nell'esercito USA combattendo contro gli indiani e rimediando una freccia nel rene in seguito alla quale rimase invalido e rimpatriò come pensionato americano. (Questa circostanza, riportata a pag. 351 del libro "Valdastico ieri e oggi", mi appare piuttosto fantasiosa, dato che le guerre indiane finirono vent'anni prima col massacro di Wonded Knee e nel '900 neanche più gli indiani usavano le frecce, ma prendiamola pure per come ci è stata tramandata).


Daniele Spagnolo (Lusso): giunse in America una prima volta il 9 aprile 1906 con la nave La Gascogne proveniente da Le Havre in Francia. Aveva 25 anni. ed era già sposato. Daniele lavorò nelle miniere di carbone del Minnesota e come boscaiolo, come la maggior parte dei nostri, ma poi rientrò in patria. 
La cosa curiosa è che egli ritornò negli USA per ben altre due volte, nel 1912 e nel 1923, quando aveva ormai 42 anni. Non rimase però in America e si stabilì poi definitivamente in paese.

Giuseppe Toldo (Pierassa): sbarcò a New York il 27 aprile 1906 proveniendo da Le Havre col battello La Provence.  Aveva 25 anni ed era sposato. Anch'egli rientrò in seguito definitivamente in patria.

Stringe veramente il cuore percorrere quei corridoi, pensando alle ansie, alle speranze, ma anche ai disincanti provati da quei 12 milioni di persone che lasciarono la loro terra natia per affidarsi a quel nuovo grande paese che contribuirono a costruire e far prosperare. Oggi la storia sembra ripetersi, sia in chi bussa alla nostra porta con le medesime speranze e ben peggiori condizioni, sia nei nostri figli che saranno forse costretti a ripercorrere le strade del mondo per l'ignavia della nostra generazione.
Gianni Spagnolo





Per chi desidera approfondire, do di seguito un cenno storico di questo monumento ricavato dalla presentazione del suo museo.

Di fronte a Manhattan, nella bellissima baia naturale in cui è situato il porto di New York, c’è Ellis Island, un isolotto, la prima tappa per oltre dodici milioni di immigrati che partivano dalle loro terre di origine sperando di stabilirsi negli Stati Uniti.
Ellis Island è una delle quaranta isole delle acque di New York: divenne famosa  dal 1894 in quanto stazione di smistamento per gli immigranti; venne adibita infatti a questa nuova funzione quando il governo federale assunse il controllo del flusso migratorio, resosi necessario per il massiccio afflusso di immigrati provenienti essenzialmente dall’Europa meridionale e orientale.
La "casa di prima accoglienza-prigione" rimase attiva fino al 1954, quando fu chiusa e abbandonata alle intemperie. Oltre cento milioni di americani possono far risalire la loro origine negli Stati Uniti a un uomo, una donna o un bambino che passarono per la grande Sala di Registrazione a Ellis Island. Oggi è trasformata in Museo dell’Immigrazione. 

Ellis Island fu aperta nel 1894, quando l’America superò un periodo di depressione economica e cominciò a imporsi come potenza mondiale. In tutta Europa si diffusero le voci sulle opportunità offerte dal Nuovo Mondo e migliaia di persone decisero di lasciare la loro patria.

Quando le navi a vapore entravano nel porto di New York, i più ricchi passeggeri di prima e seconda classe venivano ispezionati a loro comodo nelle loro cabine e scortati a terra da ufficiali dell’immigrazione. I passeggeri di terza classe venivano portati a Ellis Island per l’ispezione, che era ben più dura.


Ogni immigrante in arrivo portava con sé un documento con le informazioni riguardanti la nave che l’aveva portato a New York. I medici esaminavano brevemente ciascun immigrante e marcavano sulla schiena con del gesso coloro per i quali occorreva un ulteriore esame per accertarne le condizioni di salute; se vi erano condizioni particolari di infermità ciò comportava che venissero trattenuti all’ospedale di Ellis Island.
Dopo questa prima ispezione, gli immigrati procedevano verso la parte centrale della sala di registrazione dove gli ispettori interrogavano gli immigranti a uno ad uno. A ogni immigrante occorreva perlomeno una intera  giornata per passare l’intero processo di ispezione a Ellis Island.
Le scene sull’isola erano veramente strazianti: per la maggior parte le persone arrivavano affamate, sporche e senza un soldo, non conoscevano una parola di inglese e si sentivano estremamente in soggezione per la metropoli ammiccante sull’altra riva.
Agli immigrati veniva assegnata una inspection card con un numero e c’era da aspettare anche tutto un giorno, mentre i funzionari di Ellis Island lavoravano per esaminarli. 
Dopo l'ispezione, gli Immigrati scendevano dalla Sala di Registrazione per le "Scale della Separazione" che segnavano il punto di divisione per molte famiglie e amici verso diverse destinazioni. Il centro era stato progettato per accogliere 500.000 Immigrati all'anno, ma nella prima parte del secolo ne arrivarono il doppio. 
Truffatori saltavano fuori da ogni dove, rubavano il bagaglio degli Immigrati durante i controlli, e offrivano tassi di cambio da rapina per il denaro che questi erano riusciti a portare con sè. Le famiglie venivano divise, uomini da una parte, donne e bambini dall'altra, mentre si eseguiva una serie di controlli per eliminare gli indesiderabili e i malati.Questi ultimi venivano portati al secondo piano, dove i medici controllavano la presenza di malattie "ripugnanti e contagiose" e manifestazioni di pazzia. Coloro che non superavano gli esami medici venivano contrassegnati, come già accennato, con una croce bianca sulla schiena e confinati sull'isola fino a diversa decisione, oppure venivano reimbarcati. I capitani delle navi avevano l'obbligo di riportare gli Immigrati non accettati al loro porto di origine. Secondo le registrazioni ufficiali, tuttavia, solo il due per cento veniva rifiutato, e molti di questi si tuffavano in mare e cercavano di raggiungere Manhattan a nuoto o si suicidavano, piuttosto che affrontare il ritorno a casa.

Veniva anche effettuato un esame legale, che controllava la nazionalità e, cosa molto importante, l’affiliazione politica. L’afflusso di immigranti era sempre altissimo e imponente il lavoro dei funzionari che sottoponevano a ispezione e interrogatorio le persone: nel giro di alcune ore veniva deciso il destino di intere famiglie, un fatto che meritò a Ellis Island il nome di “Isola delle lacrime”. La maggior parte degli immigrati veniva esaminata e quindi convogliata verso il New Jersey; una volta arrivati a destinazione gli immigrati si stabilivano in uno dei distretti etnici in rapida espansione.
Il complesso di edifici a Ellis Island è imponente. Il primo edificio fu distrutto da un incendio nel 1897, quello che attualmente è destinato a museo fu costruito nel 1903 e negli anni successivi ne furono edificati molti altri, su interramenti che vennero aggiunti all’isola per adeguare gli spazi disponibili al sempre crescente numero di persone che dovevano transitare di lì. Gli edifici, poi, furono abbandonati fino alla metà degli anni Ottanta, quando l'edificio principale a quattro torrette venne completamente ristrutturato e riaperto nel 1990 come Museo dell'Immigrazione. E' un museo che ricrea con forza espressiva l'atmosfera del luogo con film e mostre fotografiche che celebrano l'America come Nazione di Immigrati.

Circa 10 milioni di americani possono rintracciare le loro radici attraverso Ellis lsland. Al primo piano, sul retro, c’è la mostra "La popolazione d’America", che narra quattro secoli di immigrazione americana, offrendo un ritratto statistico di coloro che arrivavano: chi erano, da dove venivano, perché venivano.


I.’enorme Registry Room (Sala di Registrazione), a volta, al secondo piano, teatro di tanta trepidazione, e, qualche volta, di disperazione, e stata lasciata vuota, a parte un paio di banchi degli ispettori e di bandiere americane. Nel salone laterale una serie di stanze per i colloqui ricreano passo per passo la trafila alla quale dovevano sottoporsi gli immigrati per il loro riconoscimento: le stanze rivestite di piastrelle bianche ricordano più una prigione o un istituto per malattie mentali piuttosto che apparire come una tappa nel cammino verso una vita libera e confortata dalla speranza. 


Nelle altre sale le esperienze di vita vissuta sono ricostruite mediante fotografie, testi esplicativi, piccoli oggetti domestici, oggetti d'uso utilizzati per il lungo viaggio (valigie, ceste, sacchi, fagotti...) e le stesse voci registrate dei protagonisti. Vi sono descrizioni dell arrivo e dei successivi colloqui, esempi delle domande poste e degli esami medici effettuati. Uno dei dormitori, destinato a coloro che sostavano per i controlli e la “quarantena”, è rimasto pressoché intatto ed è l'ambiente che più emoziona, oltre a dare, come un flash, l'impressione del "campo di concentramento" . Al piano superiore, alle pareti, è allestita una imponente mostra fotografica dell’edificio prima che venisse ristrutturato: moltissime sono anche le fotografie di singoli emigranti o di interi nuclei famigliari.

Quando gli Stati Uniti entrarono nella prima guerra mondiale nel 1917, i sentimenti anti-immigrazione e le ostilità isolazioniste erano all’apice. Il Klu-Klux-Klan, costituito nel 1915, rifletteva le opinioni di coloro che disprezzavano gli immigrati non inglesi considerandoli di “razza inferiore”.
Mentre gli immigrati dovevano affrontare ostilità di ogni tipo, il ruolo di Ellis Island cambiava rapidamente da centro di smistamento per gli immigrati a centro di detenzione.
Dopo il 1917 l’isola divenne principalmente campo di raccolta e di smistamento per deportati e perseguitati politici. L’immigrazione diminuì sensibilmente all’inizio della prima guerra mondiale e i decreti sull’immigrazione del 1921 e del 1924 di fatto posero fine alla politica di “porte aperte” degli Stati Uniti. Cittadini giapponesi, italiani e tedeschi furono detenuti a Ellis Island durante la seconda guerra mondiale e il centro venne utilizzato principalmente per detenzione fino alla sua chiusura, il 12 novembre 1954.
Oggi Ellis Island, dopo ampi lavori di restauro, è sede del Museo dell’Immigrazione; le esposizioni del Museo, oltre a mostrare oggetti cari portati dalla terra di origine come vestiti, tessuti, fotografie, utensili, illustrano la storia dell’isola, mostrano come gli immigranti venissero ispezionati e narrano come l’edificio fu ristrutturato.

6 commenti:

  1. Gianni, penso che tutti noi abbiamo un parente, nonno, zio, che è stato confrontato all'esperienza molto difficile del passaggio ad Ellis Island. (personalmente ho due zii, a mia conoscenza)

    ¨Per capire, prendetevi il tempo di guardare il film "Golden Door" (Nuovo mondo) di Emanuele Crialese, realizzatore Italiano, (autore di "Respiro", film pure magnifico)
    Presentazione; selezionate e cliccate su la connessione seguente, per quelli che non sono pratici :
    http://www.youtube.com/watch?v=zocYt77Vm3c



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  2. Sarebbe interessante sapere se anche brasiliani e argentini furono così meticolosi nel registrare gli arrivi. Magari qualcuno che ha indagato in questo senso può dircelo.

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  3. Dopo aver fatto l'elènco degli arrivi ad Ellis Island, ho cercato se si poteva trovare anche gli arrivi in America del Sud. Non ho trovato. Ma penso che gli archivi dovrebbero esistere anche in questi paesi.
    Tante partenze si facevano dalla Francia, principalmente da 4 porti francesi. Possiamo trovare liste di passageri, navi, qui :
    http://www.frenchlines.com/passager_index_fr.php
    (ti danno anche altre connessioni possibili)
    Tanti partivono anche da Genova, Trieste, Napoli....vedere :
    http://www.museoemigrazioneitaliana.org/assets/Uploads/Migranti5.pdf
    E un storia triste ma appassionnante, un viaggio nel passato per capire il presente.

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  4. Pensate che una mia prima cugina conserva ancora il baule che ha servito a suo nonno per il viaggio AR verso l'America, nei primi anni 1900 ! Forse penserete che essere sentimentale è una tara al giorno d'oggi....

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  5. Grazie Gianni per l'interessante articolo, non si finisce mai di saperne.

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  6. Esisteva anche a Milano,fino agli anni sessanta ,un Centro di Smistamento,in una vecchia caserma,
    per gli emigranti,muniti di regolare contratto di richiamo,e che si recavano in uno dei paesi d'Europa.
    Avevano i viaggi pagati,due o tre giorni di permanenza al Centro ,per visite visite mediche per il
    gruppo familiare.Gli operai avevano visite di idoneità fisica ed esami di conoscenza del mestiere.
    Nei paesi delle Americhe Latine avrebbero dovuto esserci anche là,ma a parte la quarantena non
    vi é nessuna traccia di arrivi. Pochi per esempio sapevano dove si trovavano le famiglie (5) Lucca
    partite nell'800.Solo verso gli anni 1970 si seppe che si trovavano a Encatado(Rio Grande del Sud)

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