Ieri era venerdì 18 luglio, e quindi
giorno di “turno di servizio” in ospedale come volontaria AVO in
quella che ora è definita “geriatria polifunzionale” e che, al
De Lellis, era semplicemente “geriatria”. In questi ormai otto
anni di volontariato sono sempre rimasta in quel reparto, al quale
sono stata assegnata sin dal mio inizio; non è che l’impegno sia
poi così arduo, anzi, sono circa tre ore settimanali, quindi cerco
di essere sempre presente per loro, per quelli che amo definire i
“miei” anziani ma che tali spesso non sono, o almeno non nel
senso che solitamente viene attribuito a tale termine: continuo a
sperimentare situazioni stupefacenti, ovviamente accanto alle altre
più frequenti che scandiscono lo scorrere del tempo.
Sto pensando che non c’è stata una
volta in cui abbia detto “stamattina non ne ho voglia”; quello
che mi pesa è certamente la condizione atmosferica: con il caldo
forte lasciare l’auto in sosta in quella spianata sotto il sole
cocente mi fa terribilmente paventare il momento in cui risalirò per
rientrare a casa, ma tant’è!
Una volta varcata la soglia del reparto
ogni pensiero, ogni preoccupazione, ogni ansia o timore, ogni
disappunto, ogni stanchezza e pure ogni malessere spariscono quasi
d’incanto: entro in un mondo speciale, dove si vivono giorni
speciali, dove il tempo pare rallentare e le ore fondersi in
un’attesa più o meno quieta dell’evolversi della situazione;
accanto a volti ormai noti che mi salutano con gioia trovo nuovi
“arrivi” ai quali cerco di avvicinarmi con ancora più
rispetto...permesso, posso? Il camice bianco talora li inganna ma
capiscono quasi subito, dalla targhetta colorata e ben visibile, che
non rientro proprio nella categoria dei sanitari e si
tranquillizzano; saluto Nello, già ricoverato da oltre quaranta
giorni: mi sorride come sempre, un sorriso dolcissimo anche se
sdentato, e mi dice che dovrebbero mandarlo a Thiene, ma che teme di
vedere di meno la sua Margherita, che ha un po’ di problemi a
camminare, e quasi piange. “Ma Nello, gli dico, da Piovene a Thiene
è quasi più veloce che da Piovene a Santorso, e poi Margherita è
venuta anche ieri sera, non l’abbandona di certo!” “Già, mi
risponde, la torna anca stasera sala, la me vol ben, ma mi, sensa de
ela, a son perso!”. Lo tranquillizzo ancora un po’ e quando torna
il sorriso lo saluto e passo nella seconda stanza; c’è un uomo
molto sopito, che respira a fatica, che venerdì scorso non c’era;
accanto la moglie cerca di ingannare il tempo facendo a tratti un po’
di “parole crociate”. Mi avvicino e noto sul comodino (quanto
rivelano gli oggetti sui comodini!) una maglietta pulita ed una foto
di ragazza posata sopra. Non dico nulla, chiedo solo alla signora da
quanto è stato ricoverato il marito e se abbia bisogno di
qualcosa... basta questo, e lo sguardo su quella foto, perché il mio
tempo si colmi della loro vita, del dramma di una figlia deceduta per
un incidente non causato da lei, del dolore incontenibile del padre
che l’ha consumato, del dolore immenso della madre che però sente
la presenza della figlia sempre, anche in quella stanza di
ospedale... le chiedo se voglia farsi un giretto e sorridendo dice
che vorrebbe andare a prendersi qualcosa da mangiare, ma solo se
resto lì, accanto al marito. Ci mancherebbe! Certo che resto e,
mentre la moglie va a procurarsi quanto necessario, gli parlo
sottovoce, gli dico che la figlia gli sta sorridendo ed il respiro un
po’ affannoso si quieta. Passo in un’altra stanza e noto una
signora, distinta, capelli argentei, orecchini di perle... la vicina
di letto mi fa: “sala quanti ani che la gà?” Temo sempre queste
domande, anche se cerco ovviamente di “tenermi bassa”, ma prima
che possa azzardare un numero la signora Adele previene me e pure la
vicina di letto e mi dice “centodue, a ottobre” . Dire che
rimango sbalordita è dire poco... avrei azzardato settantacinque
anni, ma centodue!!! La vicina aggiunge: “beh, mi a ghe ne compio
ottantaotto eh!” ed allora mi complimento pure con lei e chiedo che
ricette, che segreti abbiano per essere così serene, anzi liete e
vivaci mentalmente; la signora Adele, quasi centodue anni, mi dice
che ama la musica e che l’ha sempre amata, sia la classica che
quella leggera, che addirittura compone canzonette ; ne intona una
che conosco pure io e, sottovoce, la accompagno; la vicina mi dice
che invece legge molto (sul comodino, infatti, ci sono due libri)..le
saluto e passo ad un altro stanzino dove trovo una signora, pure
questa arrivata da ortopedia e quindi per me “nuova”, anziana, ma
già in poltrona, con un aspetto allegro e ben consapevole. L’accento
non mi pare delle nostre parti e quindi è il mio “aggancio”…
mi conferma che è abruzzese, ma aggiunge quasi subito che abita a
Lastebasse da moltissimo tempo.” A Lastebasse! Ma allora conosce la
mia terra!” aggiungo io. La signora mi guarda e mi chiede subito di
dove sia, ed io le dico che sono nata a Valpegara..ed ecco che il
mondo diventa famiglia! “Ma come, ma davvero!, ma allora
conosce...” Poi legge il cartellino “... Agostini? ma parente
della Maria Scarpari?” “Sì, le rispondo, era la moglie del
fratello maggiore di mio papà, dello zio Massimo, papà invece era
Lodovico, o Vico” ed allora si inanellano i ricordi “io sono la
moglie di Lorenzo Munari, ha novantasei anni sa mio marito; adesso io
devo andare a Malo per la riabilitazione, ma poi torno a Lastebasse
eh! E’ venuto a trovarmi anche stamattina mio marito, con il
deambulatore, ma è venuto! E adesso posso dirgli che ho conosciuto
la figlia di Vico e sarà contento”. Ecco, presumo che molti che
abitano in valle e magari leggeranno queste righe avranno conosciuto
la signora Giacinta ben prima di me ed è per questo che ho voluto
scrivere qualcosa.
Di solito riesco a capire chi è della
mia valle, e confesso che è sempre gioia per loro e per me; sono
molti i rapporti iniziati in quel luogo e poi proseguiti oltre quelle
stanze, oltre quelle mura, magari in altre stanze fino ad una
partenza per gli spazi infiniti dei cieli, o invece nelle case dove
ancora questa vita consente loro di gustare il sapore dei ricordi e
l’affetto dei familiari.
Tutto qui; la
valle, la mia valle, la mia terra, sono con me anche nel Nuovo
ospedale Unico Alto Vicentino di Santorso perché ogni persona che
incontro in quel reparto, e che da quella terra proviene, trova un
angolino libero per lei nel mio cuore, non privilegiato rispetto agli
altri ma forse più familiare, ed arricchisce sorprendentemente e
dolcemente la mia vita.
Ada
E' stato bello leggere questo scritto e conoscere questa realta', peraltro descritta molto bene ed in modo garbato. Immagino quanto sia prezioso questo volontariato, per i ricoverati in primo luogo, ma anche per chi vi si presta.
RispondiEliminaSpero che altre persone siano invogliate a fare altrettanto. Mi stupisce un poco che non vi siano interventi e considerazioni su questo scritto e questi temi, magari da parte di qualche Anonimo come me. Anche se posso capire.
Grazie sincere, gentile Signora, di questo scritto e di questa condivisione.
Opera cristiana; come quella di visitare gli anziani nelle case di riposo, i prigionieri, dare corsi (benevolato) contro analfabetismo, per l'alfabetizzazione anche dei immigranti, ecc.......Brava Ada, queste buone azioni fanno bene anche a quello che le fa.
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