La grande aquila con la
coda bianca si lasciava trasportare verso il cielo dalla corrente
calda che saliva dalla valle a lambire le rocce che dalla tenue luce
dell’alba prendevano il colore del latte appena munto.
Là sotto, al limite del
grande salto qualcosa si muoveva appena, forse un fagotto di stracci
abbandonato, mosso dalla brezza del mattino, forse una preda...
Ora il fagotto si
divideva, erano due vite che si trascinavano piano, troppo voluminose
per essere preda. La grande aquila si disinteressò di loro e puntò
dritta contro il sole, così vicino in quell’alba di marzo.
In alto la neve
si scioglieva in rivoli d’argento, sui pendii al solivo già vincevano
le primule.
Inginocchiato vicino al
padre, il figlio si riparò gli occhi con la piccola mano per
catturare meglio il volo della regina dell’aria che girava a
cerchio sopra di loro; incantato, dimentico per un istante della
pietra, che il genitore attendeva con le braccia tese, il bambino
lanciò un richiamo acuto verso il selvatico. "Non siamo qui a
perdere tempo, tra una settimana devo partire per la Francia e per
allora il muro dovrà essere finito e il campo seminato".
«Padre, sono mesi che
costruiamo muri senza smettere mai, sono mesi che riempiamo di buona
terra e letame lo spazio a monte, e costruiamo canali per l’acqua,
cosa abbiamo da seminare di cosi importante quest’anno?»
«Un sortilegio figlio
mio, che forse ci risolleverà un po’ dalla miseria, pianteremo
tabacco, quindici piccole fanetschan di tabacco!»
«E voi padre, voi
fumerete tutto quel tabacco.»
«Non essere sciocco
figlio, il barba Matio andrà a venderlo come sempre in Italia laggiù
oltre il Hasplkhnott, e poi quest’anno, con tutto questo movimento
di soldati, su e giù per il forte, vedrai che affari.»
Se ne andò veloce la
primavera di marzo e aprile e venne troppo presto l’estate di
quell’anno del Signore 1915, lontano, nella baracca di legno in un
momento di tregua della battaglia, l’uomo fumava trucioli di legno
e foglie di patata e si struggeva al pensiero di quindici piccoli
campi di tabacco a marcire.
La grande pendola del
tempo ha battuto cento rintocchi, un’aquila vola al limitare delle
nuvole non è cielo buono per la caccia, troppi rovi là in basso, un
ultimo breve passaggio radente e poi via, per l’altrove.
Io so, vi saranno tempi
migliori.
Andrea Nicolussi Golo
(Questi suoi racconti appariranno a breve
sui pannelli dei sentieri nei dintorni di Luserna.
Uno è già stato messo che guarda la Valle).
Chissà cosa penseranno i nostri vecchi se vedono la valle imboscata, le vanezze in via di disparizione ecc;.. loro che hanno lavorato come schiavi, sofferto, combattuto per qualche m2 di terra da seminare fagioli, patate, per non morire di fame l'inverno. Anche l'aquila se ne va. C'est la vie !
RispondiEliminaL'aquila se ne va, ma poi torna sai. Infatti è un uccello che non si sa mai dov'è: la qui la.
EliminaGiusto Sponcy, come la storia che si ripete. A Valdastico c'è il ritorno dal bosco, dopo il ritorno del bosco.
EliminaAnche te sei la, qui, la, come la canzone del furetto che dice : corre, corre il furetto,il furetto del bosco, Mesdames, è passato di qui, passerà di la...
Questa canzone accompagnava un gioco per bambini al tempo del re Luigi XIV, in Francia. Un bambino doveva indovinare dov'era il "furet"(corda con un anello) che gli altri facevano girare di nascosto.
Fanetschan starebbe per vaneze? Corruzione dal veneto o etimo teutonico?
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