L’autunno è ormai inoltrato, l’inverno sta per arrivare, il freddo comincia a farsi più intenso e le giornate diventano sempre più corte. Sul sentiero della Cingella, attorno alle piccole sorgenti che si trovano lungo il percorso, si formano i primi ghiaccioli che, piano-piano, invadono tutto il tracciato creando una specie di manto trasparente, un velo di ghiaccio che copre tutta la mulattiera e la fa sembrare di cristallo. Da questa condizione atmosferica viene il detto “Quando la Singela s’ingela”! Anche i fili d’erba sembrano collane di perle, prostrate verso il terreno che si sta addormentando, ogni cosa attorno assume un aspetto diverso quasi incantato. Specialmente quando la prima neve si posa dolcemente sui sassi, sui cespugli, sugli alberi, su tutto il paesaggio, componendo dei disegni meravigliosi, quasi fiabeschi. Guardando in alto, dal paese di San Pietro, si può capire quando i candidi fiocchi stanno per cadere, a questo punto il nonno prende lo zaino e si appresta a partire. Sente come un richiamo, una voce che gli viene da dentro, come qualcosa di misterioso che lo sprona a recarsi nei luoghi che tanto ama. Così, passo dopo passo raggiunge attraverso la mulattiera il “Sojo Alto”, dove si ferma, accende il fuoco e si gode in pieno il paesaggio. Seduto accanto ai rami che bruciando infondono calore, i suoi pensieri si perdono tra le faville che salgono al cielo, tra le fiamme di quel fuoco, riesce quasi a vedere le ombre, le sagome delle persone che hanno percorso quel sentiero.Ora gli tornano alla mente tutti gli episodi di cui ha sentito raccontare, episodi tragici, dove uomini e animali erano costretti a lavori rischiosi, specialmente d’inverno, quando il percorso era a dir poco impraticabile. Nel momento in cui il manto nevoso era caduto abbondantemente, il transito dei carri era impossibile, quindi il trasporto del legname veniva fatto a traino;i grossi tronchi venivano collegati a due a due con le “s-cione” e nei percorsi più ripidi, venivano applicate delle catene ai tronchi di testa per rallentarne la corsa. Il nonno ricorda quando il padre, durante il percorso dalla Porta a Cima Cingella, fu trascinato con il suo mulo nella ripida valle del Trugole. I tronchi si erano impigliati accavallandosi ed erano usciti dalla strada facendo finire uomo e mulo in fondo al precipizio. Miracolosamente l’uomo fu salvo, ma per il dispiacere di aver perso la sua bestia, tornò a casa lasciando agli altri carrettieri la possibilità di spartirsi la carne. Quel sentiero ha visto molti fatti tragici, che a volte compromettevano la vita delle famiglie e anche l’esistenza stessa delle persone. Il “biroccio” di Giovanni Basso, uscì dal sentiero in località “buso de Paolo” e scivolò in fondo alla Val Torra. Il mulo ancora vivo, ma agonizzante, fu trovato sul tracciato dell’acquedotto e per non vederlo soffrire inutilmente, fu abbattuto sul posto. Nella zona dei “Casteliti”, Giovanni Sartori (Minai), si salvò grazie a una macchia di grossi faggi, che arrestò la corsa del suo carro in cima a un precipizio di 200 metri. In quel luogo esiste ancora un’immagine sacra, come era fatto spesso, in caso di scampato pericolo. Molti sono i quadri o le piccole statue poste in quel percorso, per ringraziare, ma soprattutto per ricordare. In località “Carbonare” c’è una statua di S. Antonio, messa in occasione della vicenda che Giovanni Sella visse di persona uscendo dalla strada, fortunatamente riportò soltanto escoriazioni su tutto il corpo. Per la grazia ricevuta, pose al primo figlio il nome di Antonio. Qualche centinaio di metri più sotto, prima del “costo del Baù”, da una piccola fessura nella roccia, sgorga un filo d’acqua purissima, qui tutti si fermavano per bere e assaporare quel dono prezioso e tanto gradito. E’ in questo luogo che, Daniele Spagnolo scendendo con il suo pesante carico di tronchi, nel punto dove la strada si fa più stretta, si trovò a sbattere con l’asse del “biroccio” contro la roccia, il carico si rovesciò andando a finire sulla strada sottostante; un grande spavento, ma per fortuna le persone rimasero incolumi. Quando poi la neve era molto alta, una ventina di uomini andavano a spalarla, per aprire un varco fino alla “Porta”. Circa negli anni ’50, Domenico Pesavento tornato dall’Argentina, trovandosi presso la fontanella di “Daniele”, ricordava quanto aveva pensato a quei luoghi quando era lontano, a quanto era importante il ricordo di quello zampillo d’acqua che nasceva tra la roccia e diventava meraviglia della natura. Una natura che regala tante cose belle, che sa sorprenderci con le sue semplici grandezze, ma che a volte può essere causa di dolori. Anche Felice Pierotto uscì di strada nello stesso punto dove, Augusto Lorenzi (Barattieri) si era salvato per puro caso. Vivere vicende come queste, ritrovarsi vivi per miracolo, prendere coscienza che le cose sarebbero potute andare peggio…Quanti e quali saranno stati i pensieri di questi uomini, uomini coraggiosi, sprezzanti del pericolo in nome soltanto del sostentamento delle loro famiglie.
Il nonno adesso parla con il cuore gonfio…,la storia lo riguarda da vicino, ricorda che la sua famiglia possedeva un cavallo da traino, un grigio-ferro di nome mario, che era di grande aiuto per il loro lavoro. Un giorno, Urbano Sella, fratello di Edoardo, insieme all’amico Adriano Campanaro, stava scendendo per la mulattiera con un carico e a metà “Pontaron”, il freno del carro si ruppe, a nulla valsero gli sforzi per farlo fermare, si arrestò solo in cima al burrone sotto al capitello di “Baston”. La povera bestia, sfinita e lacerata in varie parti, fu soppressa a casa su consiglio del veterinario, con enorme dispiacere di tutta la famiglia.
Il fuoco si è quasi spento, è ora di fare ritorno a casa, ma passando per il “covolo dela vecia”, dove i ricordi di bambino si fanno più vivi, pare quasi di sentire le voci di chi raccontava storie incredibili e paurose. Quando i bambini venivano portati su per la “Singela” a far legna o fasci d’erba con i “grandi”, perché stessero tranquilli veniva raccontata a tutti la stessa storia: in quella grotta viveva una vecchia che usciva solo per portare al pascolo le sue capre. Così, passando, i ragazzini stavano in silenzio e si ritenevano fortunati se non vedevano la vecchia… Adesso, in quella grotta un tempo teatro di storie spaventose, il nonno ha pensato di allestire un presepio, per ricordare i fatti avvenuti in quel percorso, ma anche per dar modo a chi va a fare una camminata in mezzo ai boschi, di ammirare una riproduzione particolare della Natività con tutto il paesaggio circostante. E’ diventata una piacevole tradizione: il presepe trasforma una fredda grotta in un caldo ambiente natalizio, il “covolo dela vecia” è meta di molti che vogliono portarsi fin lassù per uno sguardo e una preghiera. Ci auguriamo di cuore che questa iniziativa continui, ringraziando nonno Edo,
speriamo che quel presepe doni a tutticoloro che lo visitano, la gioia, la pace e la serenità che si possono trovare quando si è lontani dal fragore, dal correre della vita, assaporando ciò che questo piccolo angolo di paradiso può darci.
speriamo che quel presepe doni a tutticoloro che lo visitano, la gioia, la pace e la serenità che si possono trovare quando si è lontani dal fragore, dal correre della vita, assaporando ciò che questo piccolo angolo di paradiso può darci.
Lucia Marangoni
Brava Lucia di fare rivivere tante storie di una volta ; con te la Val d'Astico diventa mistero e prende il sapore delle favole.
RispondiEliminaGrazie Odette ! Buone ferie, ciao Lucia
RispondiEliminaGrazie Lucia (desso bion che ringrassie tuti, sonò i me bateda), ma dimmi una cosa che c'è un atroce dubbio che mi attanaglia. A quel tempo non mi pare che in valle si producessero soppresse, che sono prodotti dei confratelli di due valli più a occidente, bensì saladi co l'aio masenà grossi. Orsù m'incuriosisce assai sapere che la pora bestia fu soppressa, perché la carne di cavallo è piuttosto secca e non si presta per niente bene a confezionare questo salume. Salvo non l'abbia commercializzata il campanaro alle basse spacciandola per tale. Certo che deve essere stato un gran laoro far su el cavalo. Ma poi era proprio cavallo o mulo? perché se era mulo, allora e tutto un altro paio di maniche.
RispondiEliminaMi informo e poi i so dire, ciao Lucia
RispondiEliminaMi informerò e poi saprò dire. Non vorrai soggiacere all'attuale abbruttimento dell'italica favella, vero? Proprio tu, .. la Dantessa del Medoacus Minor, la Fallaci della Val d'Assa? No ghe xe pì religiòn!
EliminaDon, ... No sta far el salado: sopressa se scrive con a p solo.
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