sabato 23 agosto 2014

L'uomo di Erto - prima parte


 (l'emigrante "povero" che voleva diventare "ricco")
(1° parte)






         Lo chiamavano Longarone, il paese dove abitavano i suoi familiari, ma lui diceva sempre: "Mi son da Ert". Aveva la mia età' e come me aveva un figlio e una figlia che andavano a scuola insieme ai miei. Aveva pure una moglie, con un bel caratterino, ma una lavoratrice, si diceva allora. Lo aiutò come se fosse un uomo nella costruzione della casa. Lui portava a casa dal cantiere il cemento e la sabbia e lei faceva i "blocchetti" per i muri. Era un uomo di media statura, di una forza eccezionale, rossiccio, taciturno, "roverso"un vero cimbro. La sua divisa era: lavoro fino allo stremo per far tanti soldi,la caccia in Italia nel suo paese dal venti di settembre al dieci di ottobre e nel tempo libero, la partita a carte con gli amici. 
Faceva il piastrellista come lavoro, mestiere duro, ma redditizio se a cottimo. Io lo conoscevo appena. Una sera mi si avvicinò: "Non potresti prestarmi il camion, ho del materiale da trasportare, mi disse..., magari potresti venire anche tu... e magari anche i tuoi cugini...".  Tanto era il lavoro da fare, che finimmo alle undici di notte. Stavamo per partire quando si avvicinò': "Non potreste venire una domenica, quando sarò pronto a posarmi  le gabbie di ferro nelle fondazioni?”  Certo, non si poteva rifiutare.
A quel tempo le case individuali degli operai nascevano come funghi. I terreni non erano costosi, ma lontani dai centri e dalle comodità, spesso in terreni malsani e ciò rendeva più difficile la vita familiare; ci furono molti casi di separazione, quando non si giungeva a delle soppressioni... Per fortuna che in caso di bisogno c'era sempre qualcuno che ti aiutava... Saranno passati un paio d'anni, stavo vestendomi per partire, quando vidi arrivare i mie due cugini che con aria inquieta mi chiesero: "Hai sentito del disastro della diga del Vajont? Ti ricordi di Longarone, il piastrellista? Abita là, doveva rientrare oggi andiamo a vedere? Lo vedemmo dal cancello, aveva appena finito di scaricare l’auto.
Meno male che questa  volta l’ha scampata bella... pensammo! Ci avvicinammo, lui ci guardò con aria sospettosa. Non abbiamo avuto il tempo di aprire bocca che sua moglie uscì da una porta urlando, con un telegramma in mano, lo tese al marito: "Famiglia dispersa, casa distrutta. Toni".  Capì subito cos’era successo. Senza una parola girò l’auto e ritornò in Italia. Ci raccontò la tragedia del Vajont un suo collega trevigiano. Loro due, dopo la partita di caccia, avevano deciso quella sera dell'otto di ottobre di dormire a ERTO, ma avevano dormito ben poco, perché continui rumori, sordi come dei temporali, provenienti dal lago che stava riempiendosi, continuavano a svegliarli. Aveva parlato con gli abitanti, erano terrorizzati. Scendendo al mattino del nove ottobre verso Longarone, si erano fermati sulla strada della diga, il rumore era assordante. Lui che non parlava mai, mi disse: "Qui sta per succedere qualcosa di terribile". Erano le 8,30 del mattino. Noi partimmo da Longarone circa alle sette di sera. Alle 22.39 del 9 di ottobre 1963 dal monte TOC piombò sul lago artificiale un’immensa frana, che scaraventò milioni di metri cubi d’acqua sopra CASSO ed ERTO, precipitò su LONGARONE spazzando via tutto quello che trovò al suo passaggio, lasciando solo morte e desolazione...

(a domani per la seconda e ultima parte) 
 Lino Bonifaci

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