Andare a prendere il latte in montagna
Era già qualche anno che la guerra imperversava in Europa ed in buona parte del mondo. Il nostro paese era stato spopolato dei suoi migliori giovani, fra i venti e i trenta cinque anni, per farne la maggior parte ALPINI, sangue da spargere nelle ghiacciate montagne greco-albanesi, o nelle sabbie infuocate della Libia.
Qualche famiglia era stata colpita dalla morte di un figlio. Ben quattro miei fratelli erano sotto "le armi": Uno in Sicilia, l'altro si trovava già da quattro anni in Jugoslavia, dove i partigiani di Tito sgozzavano i soldati Italiani come capretti, e uno a Rimini all'ospedale, con i piedi congelati e una spalla perforata da una pallottola; il quarto a VIcenza.
Tutti i lavori, sia domestici che dei campi, erano nelle mani delle donne e dei giovanetti. Per fortuna Bepi, il più anziano ed il più vicino, usufruiva spesso, dietro domanda, della "licenza agricola". Si perché, la terra era tanta da coltivare ed in più era sparsa tra i Baise e i Prè dell'Astego. Avevamo quattro mucche nella stalla e ciò ci é valso l'obbligo di dover "offrirne" una alla patria, in aggiunta agli “ori”, (ma in casa mia non ce ne sono mai stati) e degli utensili di rame. Per non darne una delle nostre da latte, di nottetempo, per non farci prendere dalle Finanze, andammo a piedi a prenderne una vecchia sui monti di Calvene. In tempi ordinari, d'estate, si teneva a casa una vacca, la Persia, per il grande bisogno di latte della famiglia composta di molti bambini.
Solo che per nutrirla occupava una persona, perché per risparmiare il fieno, ci si metteva una soga sui corni per comandarla e se la portava in giro per le strade, che a quell'epoca erano bianche, a mangiare l'erba che cresceva nelle cunéte. e questo era il mio lavoro dall’età di otto anni per tutto il periodo delle vacanze. Quell'anno bisognava "nar par latte in montagna"!
Solo che per nutrirla occupava una persona, perché per risparmiare il fieno, ci si metteva una soga sui corni per comandarla e se la portava in giro per le strade, che a quell'epoca erano bianche, a mangiare l'erba che cresceva nelle cunéte. e questo era il mio lavoro dall’età di otto anni per tutto il periodo delle vacanze. Quell'anno bisognava "nar par latte in montagna"!
maratona. Fuori dalle scuole (quelle vecchie, dove ora si trova la posta) fora par le rive il maso Stefani, una volta a casa si mangiava in fretta un boccone, sù i "scalsaròti", messe le quattro boracce della guerra del 15 18, nel prosàc, via di corsa con gli altri compagni su per la Cingella, perché bisognava arrivare in casàra a Camporosà, prima che finissero di mungere tutte le vacche. Allora il capo vaccari prendeva una cassaròla, l'imperiòlo chiamava per nome e una alla volta riempiva le borracce.
Un litro di latte per famiglia e per giorno, cioè due litri per due giorni; io avevo diritto, come famiglia numerosa, a due litri al giorno, dunque quattro litri per due giorni!
E poi si ritornava, piano piano, giù per la Singélafacendo attenzione a non cadere e a non sbattere troppo il latte perché si rischiava de farlo nar de male…
E questo, a giorni alterni, per tutta l'estate. Certo… nessuno ci obbligava... Anzi sì, un’esigenza:
LA FAME…
Lino Bonifaci
Riconosco, nella prima foto la Olga Zampieri e mio zio Tonin Polacco con alcuni polachetti! Jenio
RispondiEliminae quelo in mezo col capelasso ga da essere Checo Garbato, a me lo ricordo co navo a tender vache in Costesin.
RispondiEliminaIl ragazzino in mezzo mi sembra che fosse mio cugino Armando Spagnolo...
RispondiEliminaChissà che buona era questa latte, con tanta panna sopra !
Ma ste foto, benedeti amministratori del blog, non podarissi linkarle pì in grando, no capisso e no vedo
RispondiEliminagnente, tuto confuso.
Mitìle pì picole, par farghe dispeto al Don, chel se gà lagnà anca lu qualche tempo fa.
Mitica la malga di Camporosà oggi come un tempo e mitico anche il racconto!!!!!!!! Floriana
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