Più o meno, tutti siamo stati a visitare il forte di Campolongo almeno una volta, il panorama che si gode dagli spalti del manufatto
paga certamente la piccola fatica della salita. Se si è partiti dallo spiazzo
Garibaldi la passeggiata offrirà scorci e sensazioni ancora maggiori e la valle
sottostante richiamerà nella mente tempi antichi, fatti di storia, superstizioni, leggende e suoni, portati dalla
nebbia che sale da contrà Costa. Mitica la mia prima volta: assieme a diversi
amici di merende prendemmo la Singéla alla fine degli anni sessanta, Camprosà,
Mandrielle, Campolongo e Cima Campolongo, strade bianche e polverose; da
Mandrielle a Campolongo su entrambi i lati della strada si vedevano reperti bellici
come cartucce, caricatori e metalli vari, l’esplosione della polveriera situata
subito dopo la malga, a distanza di molti anni dava ancora i segni. Oggi tutto
è sparito per sempre, l’asfalto e i lavori stradali hanno cancellato il fatto,
i cercatori di funghi o di fresco contemporanei di certo non sanno di questi
attimi del tempo.
La salita al forte fu complicata a causa delle vipere,
diversi furono gli incontri con i rettili, ricordo che Stefano ne calpestò una
e lo spavento lo fece agitare parecchio. Oggi il forte si presenta in sicurezza
e quasi pronto all’uso, ma allora era veramente in stato di abbandono, pavimenti
crollati e scale mancanti non mi fermarono mai, troppa la curiosità di vedere e
di scoprire. (Anni dopo al forte Belvedere di Lavarone entrati dalla fessura di
una cupola non ci accorgemmo che la scala di uno scantinato era allagata, la
limpidezza dell’acqua e la sua immobilità ci tese un inganno, lavati per bene
fino alla vita tornammo a casa a testa bassa).
Alla fine della guerra il forte non
era così distrutto come lo conosciamo, a offendere i suoi muri ci pensarono i
cercatori di ferro, ma il colpo più distruttivo e micidiale non lo prese dalle
granate austriache, anzi, sì, era una granata targata impero con aquila a due
teste, con la differenza che scoppiò al suo interno molti anni dopo.
Come fu
possibile lo raccontò il maestro
Pesavento alla prima festa della montagna, in quel di Campolongo.
Il Matteo (saséto) da Castelletto con il suo camion fece un trasporto speciale per conto di un recuperante della zona, la trasportata era una bomba
di grosso calibro recuperata in un altro sito. Riuscirono a depositarla
all’interno del forte al piano terra sulla prima stanza a destra dopo
l’ingresso, lo scopo era di togliere con una piccola carica la punta della
bomba in modo da recuperare in sicurezza tutto il contenuto, ma non era
giornata, la carica esplosiva detonò regolare ma a distanza di un secondo
attivò l’innesco dell’ordigno. L’esplosione generò una totale distruzione del
pavimento della stanza, del crollo della scala che portava al piano superiore,
i muri tennero ma furono lesionati con crepe larghe e profonde. Passata la
paura per averla combinata grossa i soci seppero nascondere bene il misfatto,
oggi nel commentare
del cannone, incontro la ronda che percorre la trincea difensiva nel bosco a est della copertura, li vedo percorrere le scale tra fumi e bestemmie, li vedo schierati a ricevere il cambio sul piccolo cortile davanti, sento il pavimento vibrare, vedo il trasporto munizioni che a piedi sale la strada, Rocco mi guarda e mi dice” ma mi te conoso” (ho saputo che Rocco Gianesini il padre della Lilia era nel gruppo che forniva le munizioni al forte), li vedo con le mani sulla testa correre per mettersi al riparo, li vedo…
una simile stupidaggine si può sorridere, ma non
dimentichiamoci dei tanti che ci lasciarono la pelle per aver maneggiato
ordigni bellici a guerre finite. La gente si siede, osserva i monti
circostanti, lo spitz di Rotzo, il Cengio, il Cimone di Tonezza, lo spitz di
Tonezza, il Pasubio, Campolon, i Fiorentini, l’Adamello, il Cornetto di
Folgaria, il Becco di Filadonna, le Dolomiti di Brenta, in lontananza Ortles,
Cevedale, Alpi di confine, Luserna, Vezzena, Spitz di Vezzena, cima Manderiolo,
Larici e il forte gemello del Verena,
magari
si prende un po’ di sole, si mangia un boccone e via, ma non è cosi per me, io
riesco a vedere l’artigliere che abbrunisce la cannadel cannone, incontro la ronda che percorre la trincea difensiva nel bosco a est della copertura, li vedo percorrere le scale tra fumi e bestemmie, li vedo schierati a ricevere il cambio sul piccolo cortile davanti, sento il pavimento vibrare, vedo il trasporto munizioni che a piedi sale la strada, Rocco mi guarda e mi dice” ma mi te conoso” (ho saputo che Rocco Gianesini il padre della Lilia era nel gruppo che forniva le munizioni al forte), li vedo con le mani sulla testa correre per mettersi al riparo, li vedo…
Piero Lorenzi
Quanto é bello,piero,quel luogo,anche se la pazzia umana ne ha fatto un "sito" di guerra.
RispondiEliminaIo ho potuto vederlo quando era ancora come la prima guerra l'aveva lasciato... con parecchi
danni.Naturalmente,i profughi ritornati,si erano serviti esportando tutto cio' che era mobile.
Ma le distruzioni maggiori furono commesse,sotto l'occhio forse non cosi disinteressato delle
Autorità di vigilanza,dopo la seconda guerra.Con la dinamite ridussero in macerie tutto cio' che conteneva quel "poco" ferro che gli'italiani mettevano nelle loro fortificazioni. La
prima volta ci andai a dieci anni, in "gita" con il prete. Ci salvammo a tempo ,nella malga delle Fratte,dalla tempesta, grossa come delle uova!!!!Mai piu' vista una cosa simile.In quel momento non avrei pensato che l'anno appresso sarei ritornato al forte a prendere l'acqua nella cisterna per fare la polenta...........
Perchè Piero non pensi alla stesura di un libro? Sei troppo bravo!
RispondiEliminaHai visto Piero; quatto quatto, gatton gattone, si sta rivelando sempre più narratore di vaglia.
RispondiEliminaQuante cose si scoprono con questi interventi. Stanno venendo alla luce tante storie, piccole e grandi, avventure, sensazioni e riflessioni.
Il Blog serve proprio a questo e speriamo altri si aggiungano a dare il loro contributo.
Anche mio nonno contribuì a smantellare la struttura del forte per recuperarne il ferro. Le cupole furono le prime a fare il volo dei soji.
Piero, amico carissimo,
RispondiEliminati è mai venuta l’idea di scrivere un libro ? Di avere quel fremito del tutto particolare che ti obbliga a sederti davanti al computer (o alla macchina da scrivere, se ti pare più romantico) o guardando una pagina bianca, qualcosa ti bisbiglia "Scrivi! Scrivi! Scrivi!" A mio modesto parere saresti pronto per l'impresa, basta che tu raccolga e metta insieme tutti i tuoi racconti di memorie ed il gioco è fatto. Coraggio mi sembra te lo hanno scritto ormai in parecchi.
per adesso è solo un piccolo passatempo, mettere su carta i miei scritti...un giorno, forse, intanto leggere mi ripaga molto, specialmente i tuoi formidabili volumi.
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