Abbiamo la macchina ed un
cellulare ultima generazione, ma ci lamentiamo di essere dei poveracci.
Abbiamo vestiti, borse e scarpe, ma non facciamo progetti per il nostro
futuro.
I nostri genitori non avevano niente e poco più che ventenni
iniziavano un mutuo e facevano figli e per loro rinunciavano a viaggi e a
mangiar fuori, mentre noi siamo sempre in giro a bere. Siamo una
generazione di fannulloni e mammoni!
Io sono una quasi trentenne, che farebbe cambio con quella generazione molto volentieri! Cari genitori e loro coetanei, sapreste dire lo stesso?
La stragrande maggioranza dei lavori prevedono che tu sia
automunito e per fissare il colloquio devi fornire un numero di
cellulare e un indirizzo mail.
E’ richiesto che tu sappia parlare fluentemente almeno l’inglese e che abbia dimestichezza con il computer.
Se ti sei laureato, le prime ricerche di collocamento le affronti
in media a circa 24-25 anni, e vista la crisi economica globale, e
l’incapacità totale di ristrutturarsi dell’Italia, prima di sei mesi
difficilmente qualcuno ti contatterà per volerti semplicemente conoscere
(assieme ad un numero esorbitante di individui, raccomandati e non, che
sono in fila come te).
Nel frattempo temporeggi con lavoretti a chiamata e stages con cui
speri di rientrare almeno delle spese, e vivi con i tuoi, perché tra
assicurazione, bollo, benzina alle stelle, le ricariche del
cellulare e qualche malaugurata cura medica o dentistica di certo non
puoi permetterti un affitto, che costa quanto un mutuo per il quale ci
vogliono delle garanzie che tu non possiedi.
Magari hai un fidanzato con cui senti il desiderio di costruire
qualcosa, di fare un progetto come una famiglia (anche perché l’età
biologica te lo suggerisce) ma posticipi qualunque speranza e
realizzazione a quando troverai un lavoro che ti permetterà di farlo.
Le tue opportunità, ormai alla porta dei trent’anni sono contratti a
progetto (che possono susseguirsi per un’infinità di tempo con semplici
escamotages da parte dei datori di lavoro), o ancora stages, o
sostituzioni di maternità per 6 mesi, o l’apprendistato per 4 anni, e se
ti va di lusso un contratto a tempo determinato per un anno.
Se sei
donna tutto diventa ancora più complicato perché potresti volerti
sposare o potresti rimanere incinta, cosa assolutamente da scongiurare
per un datore di lavoro (che evidentemente è stato partorito da una provetta).
Io credo che la nostra generazione sia stata illusa, da un apparato scolastico che ci spingeva a puntare in alto (chissà dove poi), da riforme dell’istruzione che hanno creato mille specializzazioni universitarie inutili che non hanno fatto altro che convincere i giovani che i lavori manuali sono da disprezzare mentre il lavoro impiegatizio è da preferire.
Siamo denigrati da una classe politica che non è
in grado di garantire le pensioni ai nostri genitori e restituire i
soldi alle imprese facendole quindi fallire, figuriamoci offrire lavoro a
noi trentenni!
Siamo beffati da una classe dirigenziale, da
magistrati, deputati e senatori poco più che cinquantenni che non sanno
usare un computer (in un mondo che non saprebbe più girare senza), che
non parlano bene l’italiano figuriamoci l’inglese, e che attuano
politiche socio-economiche così autodistruttive che anche uno studente
di economia del primo anno screditerebbe; tutto perché sono arroccati
alle loro postazioni, totalmente avversi alla possibilità di condividere
la loro esperienza per paura che possano essere superati dagli allievi.
Siamo bombardati da opinionisti, tronisti,
conduttori sberluccicanti che non hanno niente di interessante
o stimolante da comunicarci, ma che ci influenzano profondamente.
Visualizziamo ogni giorno immagini di partiti che,
come l’aristocrazia romana foraggiata dal popolo, stanno rilassati nel
triclinio a degustare ricche quantità di cibo, scarrozzati da auto blu
di lusso, che trascorrono il tempo facendo pubbliche relazioni e
tessendo alleanze per salvaguardare la propria posizione mentre
gli elettori continuano a scannarsi sulla meritevolezza o meno della
figura di un ultrasettantenne. (“Dicono che chi è sazio non può capire
chi è affamato, io aggiungo che un affamato non capisce un altro
affamato”
sosteneva Fëdor Dostoevskij).
Se gli attacchi di panico fra gli adolescenti sono in continua
crescita assieme ai suicidi dei quarantenni, e all’aumento dell’uso
dell’alcool fra i giovani, siete davvero convinti che sia colpa
dell’inettitudine della nostra generazione?
Ve lo propongo ancora… vorreste fare a cambio?
(lettera anonima di una trentenne delusa pubblicata su eticamente)
Toccante verità, purtroppo...
RispondiEliminaLo scambio non lo accetto, mi mancano le forze, le energie e, qualsiasi sforzo mi spaventa, anche quello di scrivere questo commento. Mi sforzo a scrivere, a fare qualcosa nell’orto e nelle occupazioni domestiche, ad impegnarmi in qualcosa di volontariato, unicamente allo scopo di attenuare gli effetti del mio invecchiamento.
RispondiEliminaDi seguito vi racconto come sono diventato uomo.
Quand’ero piccino, portavo la capretta, di nome Zola, al pascolo e mi arrabbiavo con essa, perché mangiava le ortiche e si metteva sempre in pericolo camminando sui bordi dei muri.
Nella piccola stalla, dopo i miei vani tentativi di cavalcarla, come fosse essa un somaro, giocavo con i suoi capretti e, al termine, li rimettevo sotto lo “zerlo”, seguendo le buone istruzioni della mia mamma.
La capretta veniva “monta” tutti i giorni almeno due volte, al mattino e alla sera, perché doveva fornire a me, alla mia mamma vedova e ai miei fratelli la colazione e la cena a base di caffelatte fatto con la cicoria.
A mezzogiorno si mangiava pasta leggermente “colorata” con conserva e condita con cipolla e un po’ di burro di montagna.
Al mattino presto, quando si poteva, si andava nel bosco a tagliare legna e, tagliata, anch’io avevo la mia “spasadora” da trainare a casa.
Un giorno mia mamma mi mise un fagotto di erba sulla spalle, che con fatica riuscii orgogliosamente portarlo fino alla stalla.
Quando ebbi 7 anni, con mio fratello maggiore, fui messo in orfanatrofio, rimanendo privo dell’affetto materno e subendo un’educazione fortemente autoritaria, anzi vessatoria, impartita da suore che, divenuto grande, alcune definii criminali. Cose da codice penale!
A casa tornavo solo un mesetto all’anno, d’estate.
Poi frequentai le medie e le superiori presso preti e padri di varie congregazioni, però li trovai tutti onesti, severi, umani e attenti alle mie necessità.
Conseguito il diploma, ebbi il privilegio di studiare ancora.
Mentre ero studente, ebbi la possibilità di fare varie esperienze lavorative, sempre lontano dalla casa materna e di mia iniziativa: stradino, manovale edile in Francia, cameriere di sala, cameriere di bar alla sera tardi, insegnante, saldatore di caldaie, ecc…
Circa trentenne, con una buona occupazione in mano, dopo tante tribolazioni, finalmente tornai, mi sistemai a casa con mia mamma e mi sposai.
A parte quei quattro anni trascorsi in collegio, in cui ho subito le vessazioni delle suore, la vita mi sorrideva, era ricca di colori e di profumi, piena di ideali ed il futuro mi appariva roseo. Ero sempre sorridente, educato, pieno di energia. Non ebbi mai occasione di ubriacarmi.
... contimua ...
...continua...
RispondiEliminaPerò, mi ricordo che, appena diplomato, un geometra, con studio affermato, mi lesse serafico un articolo del Corriere della Sera in cui veniva riportato che, a Napoli, i laureati erano impiegati come netturbini. Ho sorriso, non convinto. Era il 1970 e la disoccupazione, quella ufficiale ISTAT, era circa l’attuale e molti giovani dovevano emigrare all’estero per trovare lavoro.
Adesso, invece, quello che vedo mi spaventa davvero, perché, a parte qualche possibilità di fare il cameriere in GB, o qualche bravo fisico, l’estero non assume i nostri disoccupati.
I giovani più bravi, ubbidendo ai genitori, hanno rinunciato ai divertimenti, al lavoro precoce e alla conseguente disponibilità di avere quattro soldi in tasca, per studiare e per, dopo innumerevoli sacrifici, conseguire lauree (magari più di una e master).
Il risultato di tutto questo impegno è di essere a casa disoccupati, senza la prospettiva di futuro in vista. Al massimo, per i più fortunati, l’occupazione è precaria e malpagata.
A questi giovani, non posso che proporre un vecchio adagio popolare, che mi ripeteva spesso mia mamma quando mi vedeva insolitamente preoccupato: “Caro fiolo, nela bote del’artesan (artigiano), se non piove ancò, pioverà doman”.
Però, questi giovani sanno far di conto, sanno leggere e capire il significato di una lettera, hanno le basi per interpretare, se vogliono, la società in cui vivono, molto meglio di tanti altri che non hanno avuto la fortuna di studiare.
I laureati in Italia sono ancora pochi rispetto quelli degli altri Paesi del mondo più progrediti.
I diplomati, e ancor più i laureati, possiedono i requisiti e l’elasticità mentale per acquisire facilmente ulteriori nozioni e sono capaci di organizzarsi per affrontare meglio le avversità che troveranno nella vita. Possiedono molte difese.
Cari giovani, sono sicuro che le cause che hanno originato la vostra attuale situazione, e di cui voi siete unicamente le incolpevoli vittime, saranno eliminate, cioè: la crisi tra poco passerà; la corruzione diffusa sarà circoscritta; l’evasione fiscale sarà finalmente debellata (siamo già sulla buona strada), la giustizia e la burocrazia borbonica diventeranno efficienti. Abbiate fiducia.
L’attuale crisi è stata ingigantita dalle azioni stupide conseguenti alla assurda politica di rigore intrapresa dagli Stati dell’eurozona, prima tra tutte la legge Fornero del 2011, che, con l’innalzamento “tout court” di sei anni dell’età pensionabile, ha impedito in questi anni il ricambio occupazionale, costringendo a rimanere al lavoro gli anziani, (scatenando peraltro i malumori dell’industria manifatturiera, in particolare quella delle costruzioni, e lasciando a casa, disoccupati, i giovani. Però, fanno presto trascorrere sei anni, poi il “labour turnover” riprenderà come prima.