Nella stalla della mia famiglia, la capra aveva il suo posto, solitamente davanti al “gripiòn”, o comunque nel posto più corto della stalla; un semplice “destramédo”, la capra aveva il suo posto e non veniva disturbata dalle vacche. Mio papà mi raccontava sempre un fatto divertente successo nella sua stalla, quando era giovane; questo racconto fa capire come questo animale si affezionava a chi era solito mungerla o portarla a pascolare.
Nella sua famiglia, quattro figli, papà e mamma, chi si occupava della capra era la donna che, sempre vestita di scuro e con il fazzoletto in testa, era la persona di cui l’animale si fidava.
Accadde un giorno che alla donna venne un gran febbrone, tale da costringerla a letto (deve essere stato forte perché le donne di un tempo non si mettevano a letto per niente). Bisognava mungere
Questo era il racconto di mio papà, ma numerosi sono anche i miei ricordi della nostra capra Tosca: nera, con due bei corni grigi, che ci dava il suo latte e i capretti. Io non volevo saperne di bere il suo latte, preferivo quello di mucca , non c’era un motivo particolare, avevo deciso così! Ma il nutriente alimento doveva essere consumato e quindi la mia mamma escogitò un sistema: faceva bollire il latte di capra e quello di vacca in due pentolini di diverso colore e alla mia domanda “Mama qualo xelo el late de vaca???” Lei mi rispondeva “Quelo del pignàtelo rosso!” Per quanto tempo ho bevuto il latte della Tosca senza saperlo! Ero contenta di avere il privilegio di scegliere e quando, dopo tanti anni la mia mamma mi ha rivelato quel piccolo segreto, mi sono sentita tradita, ma ho pensato che quello che avevo bevuto era veramente un alimento speciale, la nostra capra, a differenza di altre in paese, dava un latte senza nessun odore e quindi non era possibile sentire la differenza con quello di vacca. Tosca era la nostra capra, un paio di volte ho aiutato la mamma al momento della nascita dei capretti , ma la cosa che ricordo con un sorriso è quando… Nascevano i capretti e i loro belati riempivano la stalla, mio papà con tavole, chiodi e martello costruiva un quadrato abbastanza alto, perché non potessero saltare fuori: erano bellissimi! Quei loro musetti dolci, facevano venire voglia di accarezzarli, di giocarsi assieme. I nomi li decidevamo sempre io e mia sorella e alla sera, dopo la poppata, chiedevamo a mio papà di portarli un po' in cucina per giocare. Sfinito dalle nostre richieste, acconsentiva:
i capretti portati in un ambiente diverso dalla stalla sembravano impazziti! Mia sorella ed io, gridando andavamo di corsa intorno alla tavola e i capretti ci correvano dietro, facendo dei gran balzi, talmente alti da far paura... e la paura ci costringeva a salire sopra la tavola per non essere travolte dal loro impeto! La cucina si riempiva delle nostre grida, dei belati dei capretti, dei richiami dei nostri genitori che, vista la situazione, riportavano i capretti nella stalla. Era per noi un diversivo, un modo per farci quattro risate, per vedere chi delle due era più coraggiosa, chi riusciva a sentire i cornetti che stavano per crescere…, ma quando venivano i mercanti di bestiame e i capretti, nel periodo pasquale, venivano venduti, eravamo tanto tristi e non era facile capire che quello era un sostentamento per la famiglia: non avremmo mai voluto separarci dai nostri piccoli amici! Quando a Pedescala l’ultimo becco sparì, il problema di ingravidare la capra, venne risolto semplicemente: da dove proveniva mia mamma (contrà Malleo, sopra Calvene) c’è una contrà chiamata “Cavrini”, dove viveva Ivo che faceva il casaro, ma aveva anche un gran bel Becco e accontentava le richieste di tanti contadini che avevano
saliva senza problemi, faceva la pipì solo quando arrivavano a destinazione, perché, diceva mio papà ,“la lo sa dove ca la porto!” Lì restava per i giorni sufficienti per essere “tolta” dal becco; Ivo segnava le capre che erano state montate e poi i proprietari tornavano a riprenderle, pagavano l’alloggio e il lavoro del becco! Il viaggio di ritorno era sempre più tranquillo dell’andata, la capra essendo in calore, ricevuto il “contentìn”, diventava mansueta. Io faccio parte di quella generazione che ha avuto la stalla, ma della mia età sono stata l’unica in paese ad avere gli animali e a sapere tante cose che i miei coetanei non potevano capire. Sono orgogliosa di aver vissuto in una famiglia di contadini, di aver fatto tante esperienze altrimenti impossibili da vivere, ma ho tanto lavorato per aiutare i miei genitori… scrivendo questi piccoli fatti, mi sono resa conto che sembrano cose molto distanti nel tempo, che se provi a raccontarle a un ragazzo d’oggi non ci crede, eppure era la mia vita, la vita di molte famiglie in valle; rivedo tutto quanto, nitido come fosse ieri e mi dico che sono fortunata, nonostante le difficoltà di quella vita, ho imparato tanto!
Lucia Marangoni
Eccezionale !!!! Oggigiorno, queste esperienze sono irrealizzabili .
RispondiEliminaCaro anonimo, non penso siano irrealizzabili. Certo, se costretti a vivere in un appartamento in città, queste esperienze non si possono fare. Ma ti assicuro che, togliendosi di dosso l'etichetta di uomini come "esseri superiori" e non vedendo l'animale come un ricettacolo di sporco, parassiti e "incapace di intendere e di volere" questo rapporto lo si può ancora avere. Si, magari non in cucina :-), ma in ambiente consono. Anche se ciò che più ho apprezzato in questo racconto è l'idea di libertà in queste bambine che se la godono coi capretti in casa.
EliminaLucia...un racconto commovente! Forse perchè amo tantissimo gli animali, forse perchè ho avuto anche io, fino a qualche anno fa, una capretta nana, la Memy, che è rimasta con me 12 anni. Mamma continuava a dirmi: "Questa capra non fa niente! Mangia e basta! Facciamole fare un capretto". Ma io, pur non essendo una bambina, per non vivere quello che vivevate voi al momento della separazione dai cuccioli non ho mai voluto farla partorire. "Se vuoi farle fare un capretto, io non andrò più a vederla!". Ho tanto riso per quello che combinava. Ogni volta si metteva su due zampe per giocare, ci rincorreva nell'orto e faceva finta di "scornarci" e poi scappava sgroppando con la sua panciona di capra-che-mangiava-troppo. Alcuni mi chiedevano se era incinta. In realtà era solo golosa...Io ormai sono cresciutella, ma mi rivedo nella tua storia e nei sentimenti che immagino provavate. Erano tempi "magri", non c'erano tante distrazioni, ma si assaporava di più la vita nella sua semplicità e genuinità.
RispondiEliminaUn racconto simpaticissimo Lucia, anche i miei Nonni avevano la "mémele" e nelle storie che mi raccontavano era sempre inserita. Era il loro piccolo sostentamento. Questo, potendo, sarebbe il mio mondo, ma...
RispondiEliminaCiao Lucia, bellissimo questo tuo spaccato di vita. Qualche anno fa ho avuto ospite per qualche giorno nel mio giardino una capretta sarda ed è stato un piacere anche perchè l'ho trovata più docile della capretta alpina.Quando se la sono ripresa mi hanno promesso che avevano preparato un posto adatto per lei ma poi ho scoperto che se la sono mangiata, se l'avessi saputo non l.avrei restituita!!!!!!! Floriana
RispondiEliminasplendido racconto Lucia!! a Valpegara, nella stalla di nonno Fortunato, c'erano due mucche, non caprette, ma la zia Angelina, sorella di mamma, là in quella lontana casa sul lago di s.Valentino, dove mio fratello maggiore ed io trascorrevamo le nostre estati per beneficiare dell'aria tersa e tonificante dei suoi 1500 metri, aveva ben due caprette (la Lilla era la mia preferita e la più docile) oltre al maiale ed alle galline; quindi, in modo diverso, ho vissuto pure io momenti di incredibile gioia accanto a questi animali, e senza parlare delle corse dietro ai pulcini, dei falchi pronti a ghermirseli, dei lucci che rompevano i cucchiaini che zio Gino preparava per il filo di nylon con bastone che fungeva da nanna da pesca per mio fratello. la zia, in un fazzoletto di terra, aveva pure un orto rigogliosissimo, e come tu sai sia i prodotti dell'orto come, ed ancor di più le capre, attiravano irresistibilmente i caproni selvatici che scendevano dai monti ; l'immagine della zia che li prendeva per le corna, si sfilava la ciabatta e li ciabattava sul muso è una di quelle talmente incise nella mia memoria da non aver perso neanche un frammento di colore. lo dico sempre pure io: sono stata incredibilmente fortunata a poter vivere esperienze uniche, in totale armonia e simbiosi con la natura, sia lassù che a Valpegara..una ciotola di latte appena munto, le fragoline di bosco per la marmellata, le orticate per raccogliere appunto le ortiche essenziali per il pastone del maiale, il gallo che presidiava il suo territorio e le sue galline tanto da beccarmi quando andavo a prendere le uova nel pollaio, il pelo corto ed ispido e gli occhioni dolci della Lilla...ah, che meraviglia di ricordi! Ciao a tutti! Ada
RispondiEliminaBellissimo il tuo racconto,Lucia,anche molto poetico.Bei ricordi di un tempo passato!!!!!
RispondiElimina"Nar co le cavre" su alla Bote con le "tose" era un piacere oltre che un divertimento.
Non ho mai posseduto capre,ma mi ricordo d'essere andato ,una volta, al Casotto da
"Nicola dalle cavre" al beco con quella di un vicino.
Peccato, Lucia,che te ghe perso la"rassa",de quela cavra che fasea el latte senza odore!!!
Oggi nella mia regione avresti fatto una fortuna. Qui è molto diffuso l'allevamento di capre
per la fabbricazione dei formaggi le famose "tome de chevre" e yoghourt.