lunedì 2 marzo 2015

La vaca de Piero


Erano le nove del mattino, stavo lavorando in un campo sotto casa, quando mi sento chiamare a gran voce dal fratello minore di un cugino: “Mio fratello ha bisogno di te”. E parte correndo, verso casa.

Giudicando la cosa seria, mi avvio anch'io, vestito così com'ero, lestamente, giù per il saliso. Rimasi sorpreso nel vedere il cugino con in mano lo zaino che conteneva gli attrezzi par copare el mas-cio.

Ma dove vai, gli chiedo, con quelli attrezzi lì? I maiali si uccidono d'inverno! Non capii una parola di quello che uscì da quella bocca. Già che di norma era poco comprensibile... figuriamoci agitato com'era...

Mi aiutò ad indossare lo zaino sulle spalle: “Andiamo”, mi disse e partì davanti.

Si diresse per la strada della campagna, traversammo Casotto di Sotto, sù per i Sella, il Maso Moretti e sù sù fino a Montepiano..., ma non si ferma lì.

Dove mi conduce questo qua,” pensai e come avesse letto il mio pensiero... disse:

"Andiamo". Ed iniziò a salire il sentiero (in Sx Astico lo avrebbero chiamato “valle”), che porta sulle montagne di Tonezza.

Non so se era per il peso dello zaino o per il pendio, so solo che avevo fatto il fiato grosso.

Improvvisamente in una curva, una scena raccapricciante si presentò davanti ai nostri occhi. Una vacca giaceva, morta, nel pendio sotto strada, dove un albero provvidenziale ne aveva arrestato la caduta nel sottostante precipizio. Il suo padrone, accovacciato davanti, tenendole con una mano un corno, piangendo... le borbottava parole incomprensibili. 
 

Ma come era possibile che una simile sciagura sia capitata proprio a loro due, poveri com'erano? Che il solo capitale che possedevano, fosse stato loro tolto da una natura maligna?

Si chiamava Piero il padrone dell'animale. Lui e la sua Maria componevano una delle tre o quattro “macchiette” che esistevano un tempo nel nostro paese. Non era necessario viverci assieme per accorgersi che era un essere speciale, poiché faceva tutte le cose in maniera differente dagli altri.

Era piccolo, non tanto robusto, con un cappello vecchio e sdrucito fracà sulla testa, un paio di pantaloni di fustagno lunghi che nascondevano le vecchie scarpe usate. Sempre con un sorriso sulle labbra. Non si sapeva mai però se era un vero sorriso o una maniera tutta sua particolare di prenderti in giro.

Sua moglie Maria, con il fazzoletto nero allacciato al collo e el fasso de fén sulle spalle gli camminava sempre cinque, sei metri davanti e lui fischiettando la seguiva, con le mani dietro la schiena, nelle quali teneva sempre una vis-cia.

Conoscendolo bene, la gente non si meravigliava se lui, Piero da San Piero, paràva la sua unica vacca, non nelle nostre malghe, site sopra le nostre teste, ma bensì l'accompagnasse in una delle più scarse malghe, situate nell'ex territorio dei cimbri di Tonezza: Il Réstele. Malga di poco valore, composta da solo pendii, bruciata dal sole d'estate e di difficile accesso ai mezzi motorizzati. Parola di uno che si recò, parecchie volte a quei tempi, ad acquistare formaggio in questa malga.

Tutte le altre volte, a questo povero Cristo, gli era andata bene, ma non questa.

Per recarsi nel Réstele a piedi, bisognava percorrere un lungo cammino.

Il cuore della vacca, abituata fin dall'autunno ad un riposo assoluto, non aveva retto. I cinque chilometri di strada asfaltata, erano stati difficili per i suoi piedi. L'inizio del sentiero, che già a quei tempi la pendenza e l'incuria rendevano impraticabile, ebbe ragione della forza e della resistenza della povera bestia.

Il cugino, impassibile... come per dirmi che aveva vissuto situazioni ben peggiori:

Fora i cortéi, diomadòna, ca ghémo da cavàrghe la pele fin che la vaca zé calda”... e con una non mal celata voluttà si getta sopra il cadavere.

Vedere volteggiare con infinita destrezza, quegli affilatissimi coltelli sulla pelle e poi sulle carni della povera bestia, era disgustoso ed affascinante allo stesso tempo.

Non vi racconto qui la difficoltà di lavorare in quelle pessime condizioni.

La notizia della disgrazia, si era sparsa nell'allora ancor popolata contrada, come un lampo. Non c'erano giovani, perché quelli abili erano emigrati verso i grandi cantieri di tutta Europa, ma anziani ancora prestanti che, senza aver loro chiesto, giunsero con le slitte, sacchi e vecchie lenzuola per far scendere la carne fino alla chiesa, dove Cirillo, con la sua macchina (del peccato!) attendeva. Per la posizione difficile ed il pericolo sottostante ci impiegammo molto più tempo del previsto a recuperare i resti della bestia.
Lo stare rigidi sulle punte dei piedi nel ripido pendio, irrigidiva i muscoli del polpaccio e della coscia, ma alla fine tutto fu risolto e quando partimmo nessuna traccia si notava più nel luogo.

Le carni e le ossa furono portate a casa di Piero e quando arrivammo anche noi con l'ultimo viaggio, parecchie persone attendevano per comperare un po' di carne, buona, ad un prezzo vantaggioso. Anche qui per tagliare, pesare e servire passarono alcune ore. Piero e la Maria, pur nel dolore, furono contenti e mai finirono di ringraziarci.

Diomadona, disse mio cugino mentre posavo per terra il sacco dei coltelli, mai fato mì tanta fadìga. Sperémo che Quel lassù se lo ricòrde almeno”. Rientrando a casa, le parole del cugino mi risuonavano nella testa.

Non l'ipotetica ricompensa divina dovrebbe ripagare l'opera buona compiuta, ma il calore e la luce di ringraziamento che si leggono negli occhi lucidi dei poveri, a cui tu hai portato aiuto...

Lino Bonifaci


19 commenti:

  1. Quanta fatica per non sciupare quel poco che il caso aveva voluto togliere a poveri che utilizzavano la mucca per sopravvivere. Vita vera anche questa e mi viene da pensare che ora buttiamo il latte per rispettare le quote quando sembrerebbe più naturale distribuirlo gratuitamente. Floriana

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  2. Una buona azione, Lino. Ma perchè andava su al Restele di preferenza alle vostre malghe, questo povero uomo ?

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  3. Perchè lassù sono i pascoli magri e gratuiti del Don, che invece di far pagare, ringraziava le mucche
    che li andavano a concimare sboassando e spissottando allegre allo scampanìo delle ciòche.

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  4. Perdincibacco Lino, ...or chei xe vegnìsti dò a ciamàrve e che si rivà su la in sima stratùlti, la bestia la ga da esser sta sténca fa un bacalà, altro che cavàrghe la pele da calda. De pascoli gratuiti, caro Barabba ghe xe solo quili del cielo, ma se la vaca ghe fusse cascà dò da quili i gavarìa fato sù altro che sanguasso.

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  5. Allora i pascoli magri e gratuiti del Don sono anche vicini ai miei ! Mi sembrava averlo visto nella chiesetta del Restele...

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  6. il restele, non è terra cimbra

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  7. Questo racconto ha risvegliato in me, situazioni analoghe, magari ve le racconterò... bravo Lino, questa è vita vera!!!!Lucia

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  8. Beh!! se Rèstele non è una parola cimbra!!! chiedi a Gianni.Lui ti dira l'etimologia!!!
    Oh!! Sponcio :"ne supra crepidam -sutor-iudicaret." Apelle dixit.
    Lucia racconta,racconta che noi aspettiamo con curiosità.........
    Odette,era un uomo originale,non faceva mai nulla come gli altri.Nessuno ha mai saputo il perché !!!

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    1. Bravo Lino, "ne te laisse pas marcher sur les pieds" (non farti pestare i piedi) da son Eminence.

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    2. In pratica Lino hai dato dello scarparo al Don.

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  9. Ebbene si, réstele dovrebbe equivalere al nostro "piccola posta", ovvero luogo ove ci si ferma a riposare, a riprendere fiato, a far merenda.

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  10. Innanzi tutto devo ringraziare Gianni per la sua illuminante spiegazione della parola Restele,
    della quale non sapevo il suo reale significato, confermando la mia opinione che i cimbri erano
    passati per là.
    Sponcio calzolaio ? E no!! sarebbe sopravvalutarlo. Era solo capace di"- portare -" le scarpe a riparare
    ai Lucca da Piero bonato. Non mi risulta abbia fatto degli studi su questa materia, ma abbia fatto
    piuttosto degli studi sul"'istrionismo".

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  11. Anonimo 2.3 / 15.05
    Se posso immischiarmi alla conversazione, nel libro di Giuliana Rigon " La cultura germanica nell'alto Astico-Posina" si legge :
    Rast (restle) significa in cimbro luogo di riposo di sosta, come dice Gianni.
    Spitz è, anche, cimbro (cima di monte) come Pàile (monte a forma di scure), pure Bisele (piccolo prato, coltivato come orto sull'altopiano).
    La lingua cimbra era parlata fino al 15°s-16°s sull'altopiano... Tonezza, terra cimbra ?

    Da notare, anche, che diverse parole cimbre sono di origine celtica, per esempio "Loch" che significa buca, fossato, e che troviamo in Bretagna, in Scozia per "lago" (Loch Ness).

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  12. Studi in materia no, caro Lino, ma pratica tanta, sia sui bovidi che anche sugli equini, nella fattispecie sui muli che in certe spiacevoli circostanze capitava che facessero cheo sotto il basto perché spaventati dalle granate o colpiti dalle stesse. Il rigor mortis subentra entro circa 1-4 ore dal decesso, in funzione anche delle condizioni ambientali. Se poi la bestia era soggetta ad uno sforzo fisico, il tutto si acellera. Laonde per cui sei tu che devi spiegarci come ha fatto un vecioto male in arnese a scendere da lassù, venirvi a chiamare e ritornare su tutti in un lasso di tempo così breve. Salvo che non praticasse lo jodel.

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  13. Certo,Odette, che Tonezza é terra cimbra come l'Altopiano dei sette comuni e i tredici veronesi.
    Leggi il libro di don Marchezzan" Tonezza mia" Cenni Storici. Fu parroco per lunghi anni di Tonezza
    e prima di Casotto, ricostruttore della chiesetta di Bellefiore. Anche se Gianni non ammette!!!
    A parte Lastebasse, tutta la destra Astico fino ad Arsiero è terra cimbra.

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    1. ??? Ma cosa mai mi attribuisci, Lino? Lo sai benissimo che io ho sempre sostenuto che sono terra cimbra tutti gli altipiani e tutte le testate delle valli del Vicentino, nessuna esclusa, Lastebasse compresa. Ti ricordo che è stato proprio un'autorità indiscussa in merito, l'Abate Dal Pozzo a scrivere che alla sua epoca si parlava ancora cimbro ormai solo alle Carotte e in Lastebasse (Case Nuove di San Marco). Sei tu che ami trastullarti con l'opinione delle etnie diverse da una frazione all'altra della Valle, cosa che per me è del tutto priva di fondamento. Se vuoi la mia personalissima opinione, anche i primi abitatori di San Pietro (Toldo, Lorenzi,..), provenivano da Folgaria/Lavarone.

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  14. Sponcio, non mi farai credere,come posso dedurre dal tuo scritto,che sei una" reliquia"della prima
    guerra mondiale,o minimo un "superstite ", conduttore di muli, della Armir La famosa armata italiana
    che durante la ritirata nell'inverno 1942--43 fu annientata dai russi e di cui pochi reduci sono
    ancora in vita ,e che possono affermare d'aver ucciso muli per mangiarli per sopravivvere.
    A meno 40 gradi eri obbligato a mangiarla subito se no' ti sarebbe congelata la carne in bocca!!!!
    Dai ,Sponcio nemo ah! non è al Restele ma in una curva sopra Montepian che la vaca è" spirata".
    Se questa estate sei in forma andiamo assieme e ti indico il luogo .Lascia stare la matematica,
    a volte é una semplice "opinione".!!!!

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    1. Sua Eminenza non è una reliquia, hai ragione Lino.
      "Un giorno smetterò di scappare e la mia ironia cesserà di essere una difesa. Sarà solo una qualità, perché oggettivamente sono molto simpatico" (Fabio Volo pour S.E.)

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    2. Come no? La relichia la va ostentà, basà, adorà. Andaloche Baise, .... a go schivà el Don e la Vojussa parché a xero ancor cruo, ma i Blacani a me li son fati tuti. E la bas i se godèa un pasto a farne saltar le bestie, che tanto o rivavimu naltri o ghe pensava ben luri. Ladò i xera gran brai a laoràr de cortelo setu, sia con le bestie che coi cristiani, mejo de tuti i Baise missinsieme.

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