In queste settimane ho scoperto che il virus è democratico, si appiccica addosso un po' a tutti, non fa distinzioni di età, di colore, di religione, di stato sociale, di orientamento sessuale. Qua e là chi capita.
Si tende però a parlare molto di prime linee.
Io di linee ne vedo davvero tante: prime, seconde, terze, quarte e via via così, come delle parallele che si rincorrono e non si raggiungono mai se il virus viene usato per determinare chi sta meglio e chi sta peggio. Se viene usato per discriminare la fatica dell'uno dalla fatica dell'altro. E invece a me pare che proprio questa fatica sia e debba essere un punto d'incontro. Un punto attraverso cui passano infinite rette e nel quale ci si può riconoscere, riscoprire, sostenere. Solo se ho questi occhi potrò vedere la sofferenza di chi il virus se l'è trovato addosso e ha paura per sé e per i propri cari. Che in alcuni casi lotta tra la vita e la morte. Potrò vedere il senso di impotenza e la determinazione di chi cura, di chi non molla un attimo perché sa che in questo momento anche un solo gesto può fare la differenza. Potrò vedere la rabbia e la frustrazione di chi inerme, si sente uno spettatore travolto. Potrò vedere la preoccupazione per l'aver sentito la terra tremare sotto i propri piedi e l'incertezza di quello che sarà. Potrò vedere la solitudine di chi affronta il tutto tra sé e sé. La stanchezza di chi non si può fermare. L'irrequietezza di chi non può andare. E con questo sguardo rivolto all'infinito potrò vedere tanto altro ancora. E sarà uno sguardo senza alcun dispositivo di protezione individuale perché d'altronde quali dispositivi ci possono essere per la pena e la desolazione che lascerà questo momento? Ci sarà allora da inventare e ricostruire. E sarà proprio partendo da sé in un viaggio di scoperta che credo ognuno di noi avrà la possibilità di ripartire.
Anna Toniolo
Psicologa
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