domenica 19 aprile 2020

L'aria della mia sera



Era tornata a girare lentamente la ruota del mulino in pietra, vicino alla casa nella vallata, una mattina mite di fine marzo, quando ormai la brina non scendeva più dalle grotte del bosco. Sbatteva sull'acqua del torrente che sembrava avere ancora il volto di neve, nonostante le rondini fossero tornate ai nidi lasciati, ma non dimenticati, ed avessero iniziato i loro voli a braccia aperte in un cielo chiaro. Nel loro suono inconfondibile, le ore del del giorno bisbigliavano nel vento e la luce si faceva più intensa e cospargeva nelle stradine intorno ai borghi il profumo dei boccioli della primavera. Il mugnaio, ormai anziano, come ogni anno in questo periodo, aveva aperto di nuovo il mulino e restava di molto dopo il tramonto con le mani sui fianchi e guardare il cielo. Chiudeva gli occhi come era solito fare anche quando era giovane, quando con il volto scurito dal sole e le gambe stanche restava fermo con le braccia aperte a sentire il vento nuovo e profumato passargli addosso, sui capelli e sui vestiti nell'arrivo che sembrava solo per lui, della sua sera. Stava con gli occhi chiusi ad aspettare i grilli, a sentire con le viscere l'orzo crescere lento e verdissimo, ad assaporare con le labbra il sole che scendeva lentamente, ma restava ancora un minuto appoggiato alla sua tempia. Il mugnaio passava tanto tempo davanti al suo mulino, sotto al pergolato dove, guardando in alto ogni notte, in mezzo alle foglie ed ai lilla profumati si vedevano le stelle. E mentre stanco chiudeva gli occhi, quel profumo di vento, di aria, era sempre intorno a lui che stanco si lasciava dondolare sulle sedie in paglia davanti alla valle che in parte dormiva ed in parte si svegliava. Non immaginava che quell'aria fresca, quel vento che lo accarezzava come fossero mani lente e dolci che lo custodivano di nascosto, che gli teneva compagnia quando in inverno era buio e tornare dalla pineta coperto fino agli occhi faceva paura o quando in estate era caldissimo in mezzo al grano, ai papaveri ed alle cicale e era bello bagnarsi i capelli nella fontana di pietra, venisse da lontano, da un altro borgo in pietra e mattoni rossi, con le stradine bianche ed i muretti a secco, dove nelle domeniche di festa la maggiorana ed il timo spuntavano per i pranzi tutti insieme. Quel vento era nato un giorno lontano di inizio primavera, era nato da un respiro intenso di una donna che camminava lungo un prato di trifoglio e borragine, di erba cipollina e viole. Sotto al campanile della piccola chiesa di campagna, la donna innamorata alzava gli occhi e guardava il risveglio della natura che fin da piccola la aveva accompagnata, e fermandosi sulla vallata si alzò il vento che la avvolse, muovendo i capelli ed il vestito. Lei apri le braccia, come faceva il mugnaio e sorridente accolse quel respiro che le ballava vicino e dialogarono a lungo mentre il vento la sospingeva e la pettinava e sorridevano e parlavano e lei chiese, commossa e felice un dono eterno. Così quel vento scherzoso e gentile, quell'aria che comprese quel grande amore puro, da quel momento, ebbe una nuova direzione: andò oltre le montagne ed i ruscelli, oltre le cime che in inverno si coprono di neve, oltre il rifugio dei caprioli e giunse lì, in quella casa in mezzo alla vallata, in quel mulino che profumava di pane. L'aria che la donna aveva indirizzato col sorriso e le labbra strette in un soffio, profumava di mosto e di legna che bruciava nel camino, portava con sé i canti delle rondini che partivano e che tornavano, portava il suono dei passi che avanzavano nel bosco e che cercavano la via del cuore, portava con sé i grilli e le cicale, il rumore dell'acqua e la luce nuova del nuovo giorno. Quel soffio che un giorno venne aperto al mondo restó sospeso tutti i giorni della vita del mugnaio, che apriva ancora le braccia e la donna, senza che lui la vedesse, si posava tra queste ed insieme aspettavano di nuovo le lunghe ore della primavera ed il tramonto che scendeva sulla campagna ed il soffio circonda, conforta il mugnaio che non sa, ma a volte immagina, da dove possa giungere quel sospiro d'amore che non conosce sosta né di notte né in inverno, ma come un pegno d'amore lo culla e lo protegge, lo custodisce in un abbraccio eterno senza braccia per tutti i giorni della sua vita. Molti abitanti del luogo lo vedono ancora al tramonto con le braccia aperte ed allora l'aria si alza, il vento lo accarezza, muove i capelli ed i vestiti e la farina che lenta dagli abiti vola via prende velocità; si posa sull'anima della donna che lui non vede ma che gli è sempre accanto e che danzando nel vortice di polvere sorride, apre le braccia, ponendole precisamente sopra quelle del mugnaio, poggia la testa sulla sua schiena e finché non scende il sole in quel piccolo luogo di mondo respira la pace.
l'odore del fieno di giugno

Nessun commento:

Posta un commento

La vignetta