di Fiorenzo Barzanti
La Vrelia (Aurelia) era
una nonna molto simpatica, aveva 80 anni ma era ‘’svelta cuma la
porbia’’ (svelta come la polvere). Nella sua vita ne aveva visto
e passato di tutti i colori. Pensate che quando aveva un figlio in
guerra un giorno le arrivò una triste notizia, un telegramma che ne
annunciava la morte. Un mese dopo arrivò una cartolina del figlio
nella quale diceva di stare bene. Non maledisse mai abbastanza la
lentezza della posta ordinaria di allora ma erano tempi di guerra.
Era una bella signora,
sempre elegante e curata e con delle bellissime gambe, si vedeva
molto bene che da giovane doveva essere stata una bella ragazza.
Aveva un’espressione sempre sorridente e teneva sempre in tasca
qualche ‘garibaldino’’ (piccole caramelle colorate e scartate)
da donare ai bambini del paese che l’andavano spesso a trovare e la
chiamavano nonna.
Aveva avuto 5 figli ma il
terzo era stato frutto di una ‘’corna’’. In paese si diceva
‘’l’ha ià ciapè una sbandeda’’ (ha preso una sbandata).
Nessuno ha mai saputo chi fosse il padre ma a giudicare dalle
orecchie a sventola del bambino alcuni credevano di averlo
individuato. Il mondo amava fare pettegolezzo ma non si sa come, in
quella famiglia risolsero le loro cose all’interno senza dire nulla
a nessuno e la vita continuò. Comunque il marito da quella volta
smise per sempre di fare ‘’e zviton’’ (il farfallone) in
giro.
La Vrelia era stata una
grande appassionata di ballo, valzer e mazurche. Non perdeva un
‘’veglione che era uno’’, soprattutto quelli che si tenevano
nel periodo di carnevale a Saiano, a Carpineta, a Sorrivoli. Il
marito invece non era appassionato di ballo e rimaneva nel circolo a
giocare a carte.
Il marito aveva 10 anni
in più di lei ma come si diceva ‘’era andato’’. Si muoveva
in modo autonomo ma con piccoli passettini, aveva perduto la memoria
e ripeteva spesso le stesse cose. Seguiva la moglie come un cagnolino
e se non la vedeva anche per 5 minuti la chiamava come un disperato.
La sua famiglia contadina
era numerosa ma a differenza delle altre ‘’azdore’’ aveva
delegato tutti i compiti alle nuore e lei faceva unicamente le cose
che le piacevano.
Abitavano in una grande
casa padronale. Erano così chiamate quelle case molto grandi nelle
quali al piano terreno abitava la famiglia del contadino mezzadro. Il
piano superiore era riservato alla famiglia del padrone del podere
che di norma l’abitava solo in estate per qualche settimana e
qualche fine settimana durante l’anno. In questo tipo di casa, la
cantina, la stalla, il fienile, il pollaio, il porcile si trovavano
in una, diremmo oggi, dependance esterna a 50 metri. Di norma l’aia
era ben curata ed un grande roseto recintato e chiuso con un cancello
era il divertimento della ‘’sgnora padrona’’.
Eravamo in primavera e la
Vrelia poteva finalmente iniziare il suo passatempo preferito. Amava
in fatti trascorrere la giornata fuori dalle mura di casa e l’aria
tiepida primaverile lo permetteva e faceva ‘’dago-c’’
(lavorava ai ferri).
La casa aveva una lunga
fila di grandi cipressi che affiancavano ‘’la calera’’, il
lungo viale che la raggiungeva a partire dalla strada comunale.
Grandi pini erano sul confine dell’aia che era un proprio e vero
davanzale sulla campagna. C’erano ovviamente anche i mandorli che
erano due, una quercia un sambuco, alcuni giuggioli, un
‘’pumariello’’, due piante di noci e dalle noci si ricavava
un ottimo liquore ‘’nocino’’, alcuni peschi selvatici che
facevano dei bellissimi fiori rossi e due ciliegi giapponesi che
facevano fiori bianchi di uno splendore e profumo unici.
La Vrelia aveva una
grande sedia a dondolo che posizionava sotto un mandorlo. Verso
maggio la spostava sotto la quercia che era l’ultima pianta, come
si sa, a mettere le foglie in primavera.
Così sistemata già
verso metà mattinata osservava ed ascoltava la natura che si
risvegliava dopo il lungo inverno.
Siamo alla fine degli
anni 50 e ci troviamo a San Tommaso bel paesino sulle colline
romagnole di cesena ed abitato da famiglie di contadini mezzadri. La
mia era una di queste ed io ero un bambino al quale sono rimaste
impressi molti ricordi.
Era uno spettacolo
guardare le api che avvolgevano i fiori del mandorlo, fiori che
emanavano un profumo intenso e gradevole. Perfino il gatto della
Vrelia che la seguiva sempre e stava accovacciato ai suoi piedi lo
assaporava con le narici che si muovevano e con la testa rivolta in
alto.
I fiori dei peschi
selvatici erano di un rosso brillante con un profumo leggermente
acerbo.
Dal terrazzo naturale
dove si trovava vedeva invece i fiori delle piante da frutto, quelli
dei peschi di diversa gradazione di colore dal rosa al rosso a
seconda della varietà, quelli rosa degli albicocchi, quelli bianchi
e folti dei susini, quelli bianchi dei ciliegi. I colori delimitavano
i campi di ciascun frutteto e sembrava che un artista li avesse
disegnati con la riga e la squadra.
E che dire dei rumori?
Nel silenzio assoluto della campagna si sentivano gli uccellini delle
diverse specie che si rincorrevano. Era la stagione degli amori e si
formavano le coppie. I richiami amorosi erano diversi per i
cardellini, per i verzellini, per i passerotti. I cinguettii erano
senza sosta quasi a volere eseguire uno spartito. Persino il cuculo
ed il ‘’covaterra’’ trasgredivano la loro timidezza. Nella
rincorsa per gli accoppiamenti spesso si appoggiavano al suolo. Il
gatto provava ad inseguirli ma loro erano veloci a riprendere il
volo. Le coppie già formate iniziavano subito il lavoro di
costruzione dei nidi dove le femmine avrebbero depositato le uova.
Dalle uova nascevano gli uccellini che allungavano il collo ed a
becco aperto aspettavano la mamma che arrivava con il cibo. C’era
sempre il più prepotente che si accaparrava la maggior parte di
cibo. Alla fine in ogni nido c’era sempre ‘’lo spazzanido’’,
quello più gracile e meno nutrito che prendeva il volo per ultimo.
Spesso nello spiccare il primo volo cadeva dal nido. A terra la mamma
lo incitava ed aiutava a riprovare con un cinguettio fortissimo per
tenere lontani i gatti. Finalmente il piccolino riusciva a volare su
un ramoscello.
I nidi erano delle vere
opere d’arte e a seconda della specie avevano un’architettura
diversa. Si potevano ammirare bene nella stagione autunnale quando le
piante perdevano le foglie ed allora dalla viti, dai peschi, dagli
albicocchi, dai ‘’gambaroni’’ dei carciofi per i
‘’covaterra’’, si potevano ammirare in tutta la loro
bellezza.
Quelli che mi piacevano
molto erano quelli dei cardellini che di norma erano costruiti
all’interno dei rami dei cipressi e degli albicocchi. I cardellini
poi erano bellissimi, i maschi avevano la testa con una macchia rossa
brillante.
Guai a toccare i nidi
durante il periodo della cova perché le mamme si arrabbiavano
cinguettando l’arrabbiatura nelle vicinanze e poi a volte
abbandonavano il nido.
Vi siete mai chiesti dove
andavano a dormire alla sera? Sicuramente in mezzo alle chiome delle
piante ma lo spettacolo bello era vedere migliaia di passerotti sui
rami dei pini. Per divertimento potevate lanciare un sasso e loro
fuggivano in massa per poi riprendere posizione dopo 5 minuti.
La Vrelia guardava ed
ascoltava questo spettacolo che si ripeteva tutti gli anni ma ogni
volta era come se fosse una novità, improvvisamente vide volteggiare
nel cielo, indovinate che cosa? Alcune rondini.
Erano le prime e nei
giorni successivi sarebbero arrivate in massa dai paesi lontani.
Alcune andarono proprio
nel sottotetto della casa della Vrelia. C’erano ancora i nidi fatti
con il fango e la paglia degli anni precedenti ma a causa delle
intemperie erano un po’ rovinati. Le rondini riconoscevano il loro
nido ed a differenza degli altri uccelli lo aggiustavano e lo
riutilizzavano.
I contadini avevano un
grande rispetto per le rondini e guai a distruggere i loro nidi. Noi
bambini siamo cresciuti con questo sentimento. Conoscete una delle
grandi utilità delle rondini? Sono il più grande sistema
antizanzara che esista. Verso sera le potevate ammirare a migliaia,
con le loro picchiate ed i loro voli radenti ed a becco aperto
facevano incetta di zanzare proprio nei luoghi dove queste erano più
numerose, le ‘’pozze’’ dell’acqua stagnante e la buca del
letame. Come se non bastasse a ridosso dell’oscurità arrivavano
‘’i notal’’ (i pipistrelli) che completavano l’opera.
A volte i gatti
arrampicandosi sui tetti potevano raggiungere un nido di rondini ed
allora i contadini mettevano una specie di barriera per impedirlo.
C’era un tavolino
vicino alla Vrelia, sopra c’erano sempre alcuni bicchieri pieni
d’acqua. In ciascuno c’era un mazzetto di viole o di primule. In
particolare le viole erano profumatissime. La raccoglievano le
bambine ed i bambini del paese nel ‘’fusadin’’ piccolo fosso
dove scorreva l’acqua ed oltre alla Vrelia ne facevano dono alle
maestre delle scuole elementari.
Nessun commento:
Posta un commento