giovedì 9 aprile 2020

Anche quest'anno arrivano le rondini


di Fiorenzo Barzanti 

La Vrelia (Aurelia) era una nonna molto simpatica, aveva 80 anni ma era ‘’svelta cuma la porbia’’ (svelta come la polvere). Nella sua vita ne aveva visto e passato di tutti i colori. Pensate che quando aveva un figlio in guerra un giorno le arrivò una triste notizia, un telegramma che ne annunciava la morte. Un mese dopo arrivò una cartolina del figlio nella quale diceva di stare bene. Non maledisse mai abbastanza la lentezza della posta ordinaria di allora ma erano tempi di guerra.

Era una bella signora, sempre elegante e curata e con delle bellissime gambe, si vedeva molto bene che da giovane doveva essere stata una bella ragazza. Aveva un’espressione sempre sorridente e teneva sempre in tasca qualche ‘garibaldino’’ (piccole caramelle colorate e scartate) da donare ai bambini del paese che l’andavano spesso a trovare e la chiamavano nonna.

Aveva avuto 5 figli ma il terzo era stato frutto di una ‘’corna’’. In paese si diceva ‘’l’ha ià ciapè una sbandeda’’ (ha preso una sbandata). Nessuno ha mai saputo chi fosse il padre ma a giudicare dalle orecchie a sventola del bambino alcuni credevano di averlo individuato. Il mondo amava fare pettegolezzo ma non si sa come, in quella famiglia risolsero le loro cose all’interno senza dire nulla a nessuno e la vita continuò. Comunque il marito da quella volta smise per sempre di fare ‘’e zviton’’ (il farfallone) in giro.

La Vrelia era stata una grande appassionata di ballo, valzer e mazurche. Non perdeva un ‘’veglione che era uno’’, soprattutto quelli che si tenevano nel periodo di carnevale a Saiano, a Carpineta, a Sorrivoli. Il marito invece non era appassionato di ballo e rimaneva nel circolo a giocare a carte.

Il marito aveva 10 anni in più di lei ma come si diceva ‘’era andato’’. Si muoveva in modo autonomo ma con piccoli passettini, aveva perduto la memoria e ripeteva spesso le stesse cose. Seguiva la moglie come un cagnolino e se non la vedeva anche per 5 minuti la chiamava come un disperato.

La sua famiglia contadina era numerosa ma a differenza delle altre ‘’azdore’’ aveva delegato tutti i compiti alle nuore e lei faceva unicamente le cose che le piacevano.

Abitavano in una grande casa padronale. Erano così chiamate quelle case molto grandi nelle quali al piano terreno abitava la famiglia del contadino mezzadro. Il piano superiore era riservato alla famiglia del padrone del podere che di norma l’abitava solo in estate per qualche settimana e qualche fine settimana durante l’anno. In questo tipo di casa, la cantina, la stalla, il fienile, il pollaio, il porcile si trovavano in una, diremmo oggi, dependance esterna a 50 metri. Di norma l’aia era ben curata ed un grande roseto recintato e chiuso con un cancello era il divertimento della ‘’sgnora padrona’’.

Eravamo in primavera e la Vrelia poteva finalmente iniziare il suo passatempo preferito. Amava in fatti trascorrere la giornata fuori dalle mura di casa e l’aria tiepida primaverile lo permetteva e faceva ‘’dago-c’’ (lavorava ai ferri).

La casa aveva una lunga fila di grandi cipressi che affiancavano ‘’la calera’’, il lungo viale che la raggiungeva a partire dalla strada comunale. Grandi pini erano sul confine dell’aia che era un proprio e vero davanzale sulla campagna. C’erano ovviamente anche i mandorli che erano due, una quercia un sambuco, alcuni giuggioli, un ‘’pumariello’’, due piante di noci e dalle noci si ricavava un ottimo liquore ‘’nocino’’, alcuni peschi selvatici che facevano dei bellissimi fiori rossi e due ciliegi giapponesi che facevano fiori bianchi di uno splendore e profumo unici.

La Vrelia aveva una grande sedia a dondolo che posizionava sotto un mandorlo. Verso maggio la spostava sotto la quercia che era l’ultima pianta, come si sa, a mettere le foglie in primavera.

Così sistemata già verso metà mattinata osservava ed ascoltava la natura che si risvegliava dopo il lungo inverno.

Siamo alla fine degli anni 50 e ci troviamo a San Tommaso bel paesino sulle colline romagnole di cesena ed abitato da famiglie di contadini mezzadri. La mia era una di queste ed io ero un bambino al quale sono rimaste impressi molti ricordi.

Era uno spettacolo guardare le api che avvolgevano i fiori del mandorlo, fiori che emanavano un profumo intenso e gradevole. Perfino il gatto della Vrelia che la seguiva sempre e stava accovacciato ai suoi piedi lo assaporava con le narici che si muovevano e con la testa rivolta in alto.

I fiori dei peschi selvatici erano di un rosso brillante con un profumo leggermente acerbo.

Dal terrazzo naturale dove si trovava vedeva invece i fiori delle piante da frutto, quelli dei peschi di diversa gradazione di colore dal rosa al rosso a seconda della varietà, quelli rosa degli albicocchi, quelli bianchi e folti dei susini, quelli bianchi dei ciliegi. I colori delimitavano i campi di ciascun frutteto e sembrava che un artista li avesse disegnati con la riga e la squadra.

E che dire dei rumori? Nel silenzio assoluto della campagna si sentivano gli uccellini delle diverse specie che si rincorrevano. Era la stagione degli amori e si formavano le coppie. I richiami amorosi erano diversi per i cardellini, per i verzellini, per i passerotti. I cinguettii erano senza sosta quasi a volere eseguire uno spartito. Persino il cuculo ed il ‘’covaterra’’ trasgredivano la loro timidezza. Nella rincorsa per gli accoppiamenti spesso si appoggiavano al suolo. Il gatto provava ad inseguirli ma loro erano veloci a riprendere il volo. Le coppie già formate iniziavano subito il lavoro di costruzione dei nidi dove le femmine avrebbero depositato le uova. Dalle uova nascevano gli uccellini che allungavano il collo ed a becco aperto aspettavano la mamma che arrivava con il cibo. C’era sempre il più prepotente che si accaparrava la maggior parte di cibo. Alla fine in ogni nido c’era sempre ‘’lo spazzanido’’, quello più gracile e meno nutrito che prendeva il volo per ultimo. Spesso nello spiccare il primo volo cadeva dal nido. A terra la mamma lo incitava ed aiutava a riprovare con un cinguettio fortissimo per tenere lontani i gatti. Finalmente il piccolino riusciva a volare su un ramoscello.

I nidi erano delle vere opere d’arte e a seconda della specie avevano un’architettura diversa. Si potevano ammirare bene nella stagione autunnale quando le piante perdevano le foglie ed allora dalla viti, dai peschi, dagli albicocchi, dai ‘’gambaroni’’ dei carciofi per i ‘’covaterra’’, si potevano ammirare in tutta la loro bellezza.

Quelli che mi piacevano molto erano quelli dei cardellini che di norma erano costruiti all’interno dei rami dei cipressi e degli albicocchi. I cardellini poi erano bellissimi, i maschi avevano la testa con una macchia rossa brillante.

Guai a toccare i nidi durante il periodo della cova perché le mamme si arrabbiavano cinguettando l’arrabbiatura nelle vicinanze e poi a volte abbandonavano il nido.

Vi siete mai chiesti dove andavano a dormire alla sera? Sicuramente in mezzo alle chiome delle piante ma lo spettacolo bello era vedere migliaia di passerotti sui rami dei pini. Per divertimento potevate lanciare un sasso e loro fuggivano in massa per poi riprendere posizione dopo 5 minuti.

La Vrelia guardava ed ascoltava questo spettacolo che si ripeteva tutti gli anni ma ogni volta era come se fosse una novità, improvvisamente vide volteggiare nel cielo, indovinate che cosa? Alcune rondini.

Erano le prime e nei giorni successivi sarebbero arrivate in massa dai paesi lontani.

Alcune andarono proprio nel sottotetto della casa della Vrelia. C’erano ancora i nidi fatti con il fango e la paglia degli anni precedenti ma a causa delle intemperie erano un po’ rovinati. Le rondini riconoscevano il loro nido ed a differenza degli altri uccelli lo aggiustavano e lo riutilizzavano.

I contadini avevano un grande rispetto per le rondini e guai a distruggere i loro nidi. Noi bambini siamo cresciuti con questo sentimento. Conoscete una delle grandi utilità delle rondini? Sono il più grande sistema antizanzara che esista. Verso sera le potevate ammirare a migliaia, con le loro picchiate ed i loro voli radenti ed a becco aperto facevano incetta di zanzare proprio nei luoghi dove queste erano più numerose, le ‘’pozze’’ dell’acqua stagnante e la buca del letame. Come se non bastasse a ridosso dell’oscurità arrivavano ‘’i notal’’ (i pipistrelli) che completavano l’opera.

A volte i gatti arrampicandosi sui tetti potevano raggiungere un nido di rondini ed allora i contadini mettevano una specie di barriera per impedirlo.

C’era un tavolino vicino alla Vrelia, sopra c’erano sempre alcuni bicchieri pieni d’acqua. In ciascuno c’era un mazzetto di viole o di primule. In particolare le viole erano profumatissime. La raccoglievano le bambine ed i bambini del paese nel ‘’fusadin’’ piccolo fosso dove scorreva l’acqua ed oltre alla Vrelia ne facevano dono alle maestre delle scuole elementari.


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