domenica 26 aprile 2020

La Sagra de San Marco


Ma poi, alla fine di aprile, l’inverno era davvero finito. 
Lo dicevano i prati color smeraldo, trapuntati dall’oro del tarassaco. Verso il cielo, nuvole di fiori bianchi, ronzanti, che i vecchi ciliegi portavano, ogni anno, fieri ed orgogliosi come un padre che accompagna la figlia sposa all’altare. Sul ciglio delle strade i “myosotis”, i “non ti scordar di me” con gli occhi azzurri come il cielo. E allora, dopo l’inverno arrivava la “Sagra de San Marco” la prima fra tutte le feste della Gente dell’altopiano. La sagra del risveglio, del nuovo tiepido sole, delle campane di Canove, dell’amore e... dei cuchi. Sì perché, a San Marco, gli innamorati dichiaravano il loro amore, o rinnovavano il sentimento antico, con il dono di un “cuco” un fischietto in terracotta, un’ocarina a forma di cuculo, a forma di “cuco” in dialetto, che aveva la voce della primavera, la stessa voce dei cuculi che cantavano nel germogliare degli alberi del bosco. Ogni ragazzo donava un “cuco” alla sua amata. Questa avrebbe risposto regalandogli, dopo la Messa a San Sisto, tra i boschi allora maturi ed estivi di Asiago, il più bell’uovo, che avrebbe preparato per il giorno della Grande Rogazione, pensato e colorato proprio per lui.
Tradizioni di una Terra antica che quest’anno restano nel silenzioso ricordo, un po’ nostalgico, di ogni cuore. Anche in quello dei maestri di scuola che aiutavano i “nativi digitali” a non dimenticare la poesia della loro Terra madre. 
San Marco… la Sagra de Canove…
Lucio Spagnolo

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