Lo dicevano i prati color smeraldo, trapuntati dall’oro
del tarassaco. Verso il cielo, nuvole di fiori bianchi, ronzanti, che i
vecchi ciliegi portavano, ogni anno, fieri ed orgogliosi come un padre
che accompagna la figlia sposa all’altare. Sul ciglio delle strade i
“myosotis”, i “non ti scordar di me” con gli occhi azzurri come il
cielo. E allora, dopo l’inverno arrivava la “Sagra de San Marco” la
prima fra tutte le feste della Gente dell’altopiano. La sagra del
risveglio, del nuovo tiepido sole, delle campane di Canove, dell’amore e... dei cuchi. Sì perché, a San Marco, gli innamorati dichiaravano il
loro amore, o rinnovavano il sentimento antico, con il dono di un “cuco”
un fischietto in terracotta, un’ocarina a forma di cuculo, a forma di
“cuco” in dialetto, che aveva la voce della primavera, la stessa voce
dei cuculi che cantavano nel germogliare degli alberi del bosco. Ogni
ragazzo donava un “cuco” alla sua amata. Questa avrebbe risposto
regalandogli, dopo la Messa a San Sisto, tra i boschi allora maturi ed
estivi di Asiago, il più bell’uovo, che avrebbe preparato per il giorno
della Grande Rogazione, pensato e colorato proprio per lui.
Tradizioni di una Terra antica che quest’anno restano nel silenzioso ricordo, un po’ nostalgico, di ogni cuore. Anche in quello dei maestri di scuola che aiutavano i “nativi digitali” a non dimenticare la poesia della loro Terra madre.
Tradizioni di una Terra antica che quest’anno restano nel silenzioso ricordo, un po’ nostalgico, di ogni cuore. Anche in quello dei maestri di scuola che aiutavano i “nativi digitali” a non dimenticare la poesia della loro Terra madre.
San Marco… la Sagra de Canove…
Lucio Spagnolo
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