domenica 26 aprile 2020

Quando la realtà desta il desiderio di bellezza


In questi tempi di coronavirus, crisi economica e movimenti immigratori senza precedenti, in cui la realtà ci spaventa e il futuro diventa incerto più che mai, cosa potrebbe suscitare quel desiderio di bellezza che tanto ci fa sognare? Quali immagini potremmo ripescare dalla memoria per ossigenare l’anima che boccheggia? E quali parole nell'universo letterario, per narrare allo spirito indimenticabili armonie?
Se penso a cosa, da ragazzina, ha contribuito a costruire i miei sogni, e vado con la mente a frugare nei miei ricordi più belli, saltano fuori odori e sapori di cose semplici, legati a momenti di serena fanciullezza che mi ha regalato la vita.
Il calore della torrida estate siciliana sulle braccia, finalmente scoperte, e il sapore del gelato alla cannella sulla lingua; il profumo dell’estratto di pomodoro steso al sole nelle narici, un gesto tenero, una carezza di mia madre nel cuore.

Mi rivedo seduta, in un angolo della casa, a cercare di pettinare i capelli di stoppa della mia vecchia bambola, mentre mi penso elegante nel mio vestito a fiori vivaci, il vestito delle grandi occasioni.
Pensavo ai ragazzi che, dopo la scuola, non tornavano a casa; li immaginavo in costume adamitico che si tuffavano nell'acqua gelata delle "nache" dello Scansano, le piscine naturali delle estati anni ’70, per poi correre a rifugiarsi dietro qualche cespuglio di ginestre.

E ancora, mi rivedo sdraiata, nascosta dalle spighe mature, con le mani dietro la nuca e lo sguardo perso nel cielo privo di nuvole, immaginando ad occhi aperti altri luoghi, fuori dal tempo.
Le parole che vado a ripescare nell'universo della poesia, per risollevare l’umore basso, sono quelle de L’INFINITO di Leopardi, parole che hanno dipinto la storia di bellezza senza tempo, e le indimenticabili per il connubio perfetto di testo e musica, per quelli della mia generazione, dei “GIARDINI DI MARZO” di Battisti-Mogol.
In questo strano marzo del 2020, visto che il tempo non mi manca, dipingo un po' con le parole di queste due opere d’arte, chiusa in una stanza, mentre fuori impazza il caos. L’emergenza del coronavirus ha rallentato, fino quasi a paralizzare, le attività normali di un’epoca in cui ognuno si muove continuamente anche stando fermo. La rete ha messo in relazione la popolazione mondiale, cosa inimmaginabile per una ragazzina dei tempi del “pallapallinagiraconme."
Le voci gioiose dei ragazzi che giocano all'aria aperta si affievoliscono, come uno stormo di uccelli migratori, e dai telegiornali si levano le voci concitate dei nostri governanti, della protezione civile, di emeriti scienziati, medici, infermieri, vip, un coro unanime che ci invita a non uscire di casa per evitare la propagazione del contagio. E mi salta in mente la considerazione se non sia arrivato il tempo, per quelli che questo tempo non l’hanno mai avuto perché forse non l’hanno mai cercato, di “Vivere con Te”.
Quando il mondo è costretto a fermarsi, come sta succedendo in questi giorni, e restare a casa diventa una necessità vitale, ecco che il frastuono dei clacson, degli altoparlanti e delle piste di decollo, dei miliardi di telefonini e della connessione in rete, dell’ansia che accelera i battiti e del tempo che sfugge, improvvisamente si allontana, “e mi sovvien l'eterno, e le morte stagioni, e la presente e viva, e il suon di lei.”
Rientrano le relazioni affettive, i valori umani. Improvvisamente iniziamo a considerare che forse non siamo eterni, né tanto meno onnipotenti: ci sono cose che non possiamo gestire con un “clic.” E finalmente incominciamo a parlare con la bocca, non con le dita e una tastiera, a comunicare con il calore del corpo, non attraverso un schermo, e a lasciare trasparire i sentimenti dalla luce dei nostri occhi. Scopriamo di avere il tempo per un bacio, e paradossalmente non possiamo scambiarcelo, un lungo abbraccio, perché sentiamo tanto di averne bisogno. E ci stupiamo perché non ce n’eravamo accorti prima! Che bello vedere “I giardini di marzo” che “si vestono di nuovi colori.”
Contenti di avere una casa e una famiglia, emerge la necessità di ringraziare qualcuno per quei beni che non ci siamo affatto conquistati.

Nella quiete e nel silenzio delle strade delle nostre città e nella pace che solo Dio ci può donare, io lascio duettare questi due capolavori di poesia...

“Le mie mani come vedi non tremano più
E mi sovvien l’eterno
E ho nell’anima
Cieli immensi e immenso amore
E sovrumani silenzi, e profondissima quiete
Fiumi azzurri e colline e praterie
Dove corrono dolcissime le mie malinconie
Così tra questa immensità s'annega il pensier mio
L'universo trova spazio dentro me
E il naufragar m'è dolce in questo mare.”


La gente si affaccia dai balconi e canta a squarciagola. 
Sono felice di constatare che... finalmente ci siamo ritrovati!
(la lunga notte di Giacobbe)  

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