giovedì 30 aprile 2020

Lettera al Corriere della Sera

Caro direttore,
per ora si contano circa 200.000 vittime di coronavirus. Poniamo che a fine estate possano essere, diciamo, 350.000. Poniamo che non fosse stato preso alcun provvedimento di isolamento, o lockdown come preferisce dire chi non conosce l’italiano, e che di conseguenza le vittime si fossero decuplicate, raggiungendo i tre milioni e mezzo. Si tratterebbe comunque dello 0,05% della popolazione umana, stimata intorno ai 7 miliardi (le attuali 200.000 vittime rappresentano lo 0,0028 dell’umanità). Ora mi chiedo e le chiedo se di fronte al «flagello» del coronavirus abbia avuto senso distruggere dal 20 al 30% dell’economia mondiale e precipitarci in una crisi che non sappiamo quando e con che conseguenze umane si risolverà. Di coronavirus si può morire, di fame si muore con certezza.
Antonino Ulissi


Caro signor Ulissi,
Devo dirle che ho sentito spesso questo ragionamento nelle ultime settimane. Accompagnato dai raffronti con il numero di morti provocati da altre malattie o dagli incidenti stradali. Certamente quando si hanno davanti cifre e percentuali tutto ci sembra razionale. Perché non sacrificare qualcuno per evitare conseguenze più pericolose per tanti? La prospettiva diventa però completamente diversa se quei numeri diventano persone: nonni, papà, mamme, vicini di casa, medici e infermieri impegnati a curare gli altri. Esseri umani che in foto tremende, come quelle scattate nel Bronx, vediamo venir sepolti dentro fosse comuni o rinchiusi in bare portate via in una drammatica sfilata di camion dell’esercito.
Credo che sia stato giusto fermarci e isolarci per impedire al virus di diffondersi ancora più pesantemente. Possiamo rimproverarci, come sistema di governo nazionale e locale, di essere stati impreparati, di non aver capito come fosse importante individuare subito i focolai e arginare il contagio (ad esempio rendendo impenetrabili le residenze per gli anziani). Oppure di aver ridotto sia la presenza dei medici sul territorio sia il numero dei posti nelle terapie intensive. Lo scenario che lei descrive avrebbe, tra l’altro, fatto esplodere gli ospedali. Avremmo avuto persone abbandonate nelle loro case e lasciate morire senza tentare di curarle. Le difficoltà economiche che stiamo subendo, e che subiremo ancora di più nei prossimi mesi, sono molto gravi. Non le sottovaluto. Ascolto ogni giorno le preoccupazioni di tanti imprenditori grandi e piccoli, di tanti lavoratori e di molti giovani che un’occupazione non la troveranno.
Ma se riusciamo a fare le cose bene (meglio di come abbiamo fatto finora come governi nazionali e regionali) sono certo che riusciremo tutti in tempi brevi a tornare alle nostre attività. I nostri nonni e genitori hanno saputo risollevarsi da un dopoguerra durissimo. Sono fiducioso che gli italiani di oggi sapranno affrontare questa prova con lo stesso spirito. I problemi economici si possono fronteggiare. Speriamo con la guida di leader che guardino agli interessi del Paese e non al gradimento generato da promesse facili.

1 commento:

  1. Caro Antonino hai fatto la domanda giusta ma al giornale sbagliato.

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