Arriva in sala il documentario di Julie
Bertucelli dedicato ad una classe di accoglienza a Parigi. La
frequentano i ragazzi tra gli 11 e 15 anni appena arrivati in Francia da
tutto il mondo che si incontrano e scontrano sui temi che infiammano
l'Europa.
C'è Xin, ragazzina cinese cresciuta
dalla nonna in patria che dopo dieci anni ha riabbracciato la mamma
venuta a Parigi per lavorare in un ristorante, cinese ovviamente. C'è
Rama, adolescente mauritana che dopo aver vissuto per tredici anni con
il padre in Senegal dove veniva maltrattata e non andava a scuola, oggi
vive con la nuova famiglia della madre ed è a Parigi per "studiare da
medico e diventare una donna libera". C'è Myriam, libanese in Francia
con la sua famiglia con una richiesta d'asilo, che scopre a metà anno di
doversi trasferire da un giorno all'altro a Verdun. E c'è Djenabou,
undicenne della Guinea, i genitori lavorano in Germania ma lei, che non
riusciva con il tedesco, è stata affidata ad una parente che di fronte
alle sue intemperanze in classe e al poco impegno nello studio dice:
"Sarà solo lei a perderci se dovrà tornare in patria, dove
l'infibulazione non è reato e ti obbligano a matrimoni combinati a
tredici, quattordici anni".
E infatti l'energia e la passione di questi ragazzi è contagiosa. E
permette di affrontare all'insegnante Brigitte Cervoni, professoressa di
francese, temi difficili e situazioni spinose. In classe si parla di
religione ("una ragazza ad un certo punto dice Non sappiamo neanche noi se Dio esiste! Se
non fosse venuta in una scuola laica in Francia non avrebbe mai potuto
avere un dubbio del genere" sottolinea Bertucelli), dei propri paesi di
origine, dei loro sentimenti, ma soprattutto dei loro sogni e del loro
futuro. L'insegnante ha montato un progetto pedagogico di un film sulla
differenza e sulla somiglianza, realizzato dai ragazzi stessi e premiato
in un festival dedicato al cinema fatto dagli studenti. Ed è bellissimo
leggere le emozioni (imbarazzo, commozione, gioia) sui volti dei
ragazzi che si rivedono sul grande schermo accanto alle loro famiglie.
Il film si svolge in classe durante le lezioni, negli incontri con i genitori per consegnare le pagelle, nel lavoro di realizzazione del loro film. Come una sorta di ritornello visivo ci sono anche i momenti di ricreazione, il cortile del titolo originale (La cour de Babele, il cortile di Babele) è visto dall'alto. "E' complicato girare nel cortile di una scuola - spiega la regista - Gli adolescenti non si parlano. Ascoltano la musica. Si spintonano. E non hanno voglia di essere filmati davanti a tutta la suola che si ferma per guardali. Il cortile m'ispirava più dall'alto. Ero in classe e li aspettavo. Vedevo questi alberi. Osservavo. Poi arrivavano con la loro professoressa. Ho visto le stagioni passare senza avere un'idea chiara di ciò che avrei fatto di tutto questo materiale raccolto".
(segnalato da Odette)
Il film si svolge in classe durante le lezioni, negli incontri con i genitori per consegnare le pagelle, nel lavoro di realizzazione del loro film. Come una sorta di ritornello visivo ci sono anche i momenti di ricreazione, il cortile del titolo originale (La cour de Babele, il cortile di Babele) è visto dall'alto. "E' complicato girare nel cortile di una scuola - spiega la regista - Gli adolescenti non si parlano. Ascoltano la musica. Si spintonano. E non hanno voglia di essere filmati davanti a tutta la suola che si ferma per guardali. Il cortile m'ispirava più dall'alto. Ero in classe e li aspettavo. Vedevo questi alberi. Osservavo. Poi arrivavano con la loro professoressa. Ho visto le stagioni passare senza avere un'idea chiara di ciò che avrei fatto di tutto questo materiale raccolto".
(segnalato da Odette)
Ah, ecco perchè si scrive squola, e non scquola! mejo la scuèla del Don!
RispondiEliminaLa diversità, vista tante volte con sospetto, qualche volta paura, è, come lo dimostra questo documentario, elemento di unione e integrazione, e si può dire anche di arricchimento.
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