venerdì 10 aprile 2015

Deforestazione: l’olio di palma è un flagello di dimensioni mostruose

Insieme all’industria del legno, quella dell’olio di palma è la maggiore responsabile della deforestazione nel sud-est asiatico, in particolare Malesia ed Indonesia. Tra il 2000 e il 2012 l'Indonesia ha perso più di 6 milioni di ettari di foresta tropicale (60.000 chilometri quadrati), un’area grande all’incirca come la superficie dell’intera Irlanda. E nel 2012 la deforestazione ha colpito ben 840mila ettari contro i 460mila del Brasile. E la principale causa di tutto questo si chiama olio di palma. L’olio di palma ha caratteristiche che lo rendono apparentemente indispensabile per le industrie dolciarie in generale (Ferrero e la sua nutella insegnano), anche perché “i costi esterni” non vengono caricati sul prodotto. In questo caso i costi esterni sono appunto rappresentati dalla scomparsa della foresta primaria. Al posto di un ambiente unico, ricchissimo di biodiversità, ecco estese piantagioni di arbusti tutti uguali volti a soddisfare le più svariate “esigenze” della nostra criminale società. Infatti, non è solo l’industria dolciaria ad assorbire questo prodotto. Anche quella cosmetica, le lavorazioni da forno, la produzione di biodiesel e di elettricità. Certo, oggi esiste l’olio di palma certificato. Vorrei davvero capire cosa significa “olio di palma sostenibile”. Forse che è prodotto ai margini delle foreste? Forse che non si sono abbattuti alberi pregiati per produrlo? Cosa significa “sostenibilità dell’olio di palma?”. Resta il fatto che con la richiesta che c’è in tutto il mondo è letteralmente impossibile che non si deforesti per produrre l’olio, ma intanto ecco la foglia di fico, sempre dell’Unione Europea. Ora bisogna dichiarare la provenienza e il tipo di olio che si usa nei prodotti. Sono le norme a tutela del consumatore che così può scegliere consapevolmente. Quando andate in un qualsiasi super-ipermercato cercate prodotti dolciari che non contengano olio di palma. Infatti, le maggiori industrie si sono già adeguate alla normativa europea.

(il fatto quotidiano - Fabio Bellocco)

Olio di colza: ecco perchè mette a rischio la nostra salute


Olio di colza: mette a rischio la nostra salute e le api

Cosa centrano le api con l’olio di colza? Prima di capirlo bisognerà fare un passo indietro e cominciare a chiarire cos’è l’olio di colza, anzi forse sarebbe meglio dire: cos’era!
L’olio di colza è un olio vegetale che si estrae dalla Brassica napus, la colza appunto, una pianta dai fiori gialli che ama i climi nordici (i maggiori produttori sono  Canada, Stati Uniti, Regno Unito, India del nord e Pakistan) dai cui semi si estrae quest’olio dai molti usi.

L’olio di colza iniziò a diffondersi nel 12oo quando nei freddi paesi del nord Europa veniva usato per alimentare le lampade ad olio che illuminavano le lunghe e scure notti del nord. Nel 1800 si pensò di utilizzarlo come carburante (ipotesi oggi tornata in auge), ma poi nel XIX secolo iniziò ad essere considerato come ingrediente della nascente industria alimentare.
Alcune ricerche, in seguito boicottate e contestate, lo categorizzavano però come un olio di bassissimo livello e potenzialmente dannoso per la salute umana e così è.
L’olio di colza, come l’olio di palma, è assolutamente stracolmo di acidi grassi saturi, quelli, scientificamente e indiscutibilmente  riconosciuti come fattore di rischio per l’apparato cardiovascolare e in particolar modo di acido erucico.
Quest’ultimo è tossico e per questo l’olio vegetale di colza è soggetto a limiti e restrizioni, che però non valgono a molto considerando la grande quantità di alimenti in cui è presente: biscotti, brodi e zuppe, dolciumi, creme spalmabili, torte, grissini, brioche e alcuni piatti pronti surgelati, conserve di tonno, sardine, funghi, carciofini, melanzane,  pomodori, alimenti fritti.
Nonostante questo però, l’olio di colza è presente spesso come ingrediente dei cibi confezionati, generalmente, essendo il più economico tra gli oli vegetali, si trova nei prodotti da discount e simili. 

Ora, e qui arriviamo anche alle api, la produzione attuale di colza è per la gran parte OGM, infatti insieme alla soia, al mais e al cotone, la colza fa parte dei 4 organismi geneticamente modificati maggiormente  immessi sul mercato. Non a caso proprio il Canada, l’India e il Pakistan sono tra i principali produttori ed anche tra i territori dove si coltivano con più facilità e meno restrizioni gli OGM.
A questo punto arriviamo a capire qual’è la connessione tra l’olio di colza e le api.
Le api muoiono a causa di un gene «marcatore» che è utilizzato nella modificazione della colza OGM canadese.  Questo gene si trasferiscenei batteri che colonizzano il sistema digerente delle api alterando per così dire, la loro flora batterica. I batteri si trasformano da bravi ospiti in killer spietati, facendo morire l’insetto. Le api si ammalano e muoiono. La colza OGM è sulle nostre tavole dal 1999. Nel 2007 la  Commissione Europea ha autorizzato l’uso di due ulteriori varietà di colza OGM per l’alimentazione del bestiame e per scopi industriali.

Cercare di evitarlo il più possibile salvaguarda la nostra salute e l’ambiente, non dobbiamo dimenticare che le api sono insetti sentinella, la loro salute è un termometro dello stato di benessere generale dell’ambiente.

1 commento:

  1. 2° mi l'oio mejo a xe quelo de gumio. El costa poco, el fa dimagrire, l'è tanto pratico e te lo cati dapartuto. Pecà ciò che nol va mìa ben par consar la salata o rostir le patate, ma no se pol mia gnanca pretender tuto

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