Giornata
uggiosa quella di ieri, 4 dicembre 2014: pioggia forte il mattino e
pioggerella durante il pomeriggio, ma era, ripeto, il 4 dicembre,
ricorrenza di santa Barbara e santa Barbara è festeggiata non solo
nella chiesa cattolica, ma pure in quella ortodossa ed è invocata
contro la morte improvvisa per fuoco, quindi patrona dei minatori,
protettrice da fulmini e saette, patrona degli addetti alla
preparazione e custodia degli esplosivi, della Marina Militare
italiana, dei Vigili del Fuoco, delle armi di Artiglieria e Genio,
dei geologhi, dei montanari, dei lavoratori nelle attività minerarie
e petrolifere, degli architetti, dei campanari, di torri e fortezze,
dei dipendenti ANAS, dei Cantonieri ecc., insomma, una miriade di
persone! Santa Barbara nacque nel 273 d.C. in Asia Minore (Izmit –
Turchia) ma poi si trasferì a Scandriglia (provincia di Rieti)
perché il padre era collaboratore dell’imperatore Massimo Erculeo
che gli aveva donato ricchi possedimenti in Sabina. Si dice che
Barbara fosse molto intelligente oltre ad essere molto bella, e
quindi era richiesta da molti pretendenti però non aveva alcuna
intenzione di sposarsi bensì di consacrarsi a Dio. Il padre
(Dioscuro) non accettava assolutamente questa sua decisione e fece
costruire una torre per rinchiudere Barbara al suo interno; prima di
entrarvi Barbara volle immergersi per tre volte nell’acqua di una
specie di piscina vicino alla torre per ricevere il battesimo, poi
fece realizzare tre finestre nella torre stessa in nome della
Trinità. Il padre, visto che la figlia si professava cristiana
nonostante il suo parere contrario, la trascinò dal giudice Marciano
perché fosse torturata ed uccisa. Pare fossero compiute su di lei
torture incredibili, alle quali miracolosamente sopravvisse, finchè
il padre stesso eseguì la sentenza capitale decisa dal giudice, il
taglio della testa. Appena eseguita la sentenza, una saetta dal cielo
lo incenerì. Le reliquie della martire nel 1009 furono portate nella
chiesa di s.Giovanni a Torcello: questa è la storia di S. Barbara,
che poi, nella tradizione popolare, si arricchisce sempre di nuovi
particolari, ma resta il fatto che S. Barbara è anche patrona della
mia contrada, di Valpegara, ed io, per l’occasione, cerco, ormai da
anni, di tornarci.
La cappellina a lei dedicata, nella piccola
piazza, rimane illuminata, e nel vecchio “casélo” si celebra la
Messa; ieri sera è stata fatta alle 19.30 e don Giorgio ha pure
portato un “poster” della santa. C’erano circa trenta persone,
tra cui quattro bimbi e tre ragazzi, ma io sentivo presenti anche
tutti quelli che rivedo, anno dopo anno, nei vari pannelli appesi
alle pareti e che contengono molte fotografie degli abitanti della
Valpegara di un tempo, persone in maggioranza già… andate avanti,
ma che amo immaginare accanto, soprattutto in quest’occasione;
terminata la Messa, chi ha potuto e voluto si è fermato per un
momento di allegra condivisione di polenta, salsicce, vin brulé,
formaggio, cioccolato caldo preparati dai solerti volontari... io sono
ripartita quasi subito perché il tempo non era al meglio e la strada
da fare non proprio breve; uscendo dal “casélo” ho percorso, nel
buio e nel silenzio quieto della tarda sera, le stradine a me note,
sostando davanti alla mia casa natia; sentivo particolarmente vicino
il nonno, nonno Fortunato, avvolto nel suo tabarro nero, con il
capello floscio sulla testa e quell’aroma di trinciato a poco
prezzo che metteva nella pipa e d’un tratto sono tornata bimba con
la sua voce che mi diceva “te si stà brava a vegnère sù anca
stasera” e quella mia terra improvvisamente si è animata di voci,
di suoni e di canti, come quand’ero bambina ed ogni suo angolo, per
la ricorrenza, si riempiva di persone che scendevano da Tonezza o
salivano dai vari paesi della zona per la gioia di stare assieme...
c’era persino l’albero della cuccagna! No, non si sentiva il
freddo allora, solo, ripeto, la gioia di condividere momenti di festa
con l’allegria travolgente che contraddistingueva un tempo non
proprio così lontano. Ciao terra mia, ciao S. Barbara e… grazie;
certe emozioni fanno bene al cuore, lo fanno vivere e respirare.
Ada
Cara Ada, Grazie per questa evocazione. La foto è bellissima. Sui pannelli appesi al Casélo di Valpegara avrai visto anche la foto di una vecchia festa di Santa Barbara, anni 20, quando Valpegara era una della contrà più popolate della Valle. Su questa foto ci sono tante persone, care al mio cuore, tra le quali la più importante, mia mamma ancora ragazzina. Grazie ancora.
RispondiEliminaMeglio ora mai contenti di nulla o meglio quando ci gustavamo un pezzo di mandolato a Valpegara e Casotto?
RispondiEliminaA volte, qualche profumo fa ritornare ricordi passati ed è bello farsi avvolgere ... poi si rimettono i piedi per terra. Anche a Pedescala c'è stata, domenica 7, la processione con S. Barbara, non tanta gente al seguito e anch'io ho ripensato a quando, piccina, vedevo i minatori che lavoravano in cava, andare a messa, pregare e far festa alla loro Santa. Non sono passati tanti anni, ma sembrano cose tanto lontane... Ai bambini ho stampato un'immagine e la storia in beve di S.Barbara: non è molto, ma qualcosa bisogna pur fare perchè tutto non venga scordato..Lucia
RispondiEliminaS. Barbara dei minatori infatti. Lucia, parli a giusta ragione dei minatori della cava ma ricordiamo anche tutti gli emigrati della Valle che hanno lavorato nelle miniere del Minnesota(USA), fine XIX°s. inizio XX°s, poi quelli che sono andati nelle miniere del Belgio e della Francia, anni 40-50.
EliminaCon il Belgio, c'era l'intesa fra i due governi (legge del 19.10.1945) secondo la quale questo Stato si impegnava a dare 24 quintali di carbone all'anno a l'Italia, per ogni Italiano che andava lavorare nelle sue miniere. (i Belgi non volevano più scendere!)
23000 vicentini hanno accettato.
Berto Barbarani, uno dei maggiori poeti veneti del novecento.ha scritto una bellissima poesia sull'emigrazione in America " I va in Merica"
(Allego, in ricordo al poeta ; c'è posto credo)
I VA IN MERICA
Fulminadi da un fraco de tempesta,
l’erba dei prè par ’na metà passìa,
brusà le vigne da la malatia
che no lassa i vilani mai de pèsta;
ipotecado tuto quel che resta,
col forrnento che val ’na carestia,
ogni paese el g’a la so angonia
e le fameie un pelagroso a testa!
Crepà la vaca che dasea el formaio,
morta la dona a partor ’na fiola,
protestà le cambiale dal notaio,
una festa, seradi a l’ostaria,
co un gran pugno batù sora la tola:
"Porca Italia" i bastiema: "andemo via!"
E i se conta in fra tuti. – In quanti sio?
Apena diese, che pol far strapasso;
el resto done co i putini in brasso,
el resto, veci e puteleti a drio.
Ma a star qua, no se magna no, par dio,
bisognarà pur farlo sto gran passo,
se l’inverno el ne capita col giasso,
pori nualtri, el ghe ne fa un desìo!
Drento l’Otobre, carghi de fagoti,
dopo aver dito mal de tuti i siori,
dopo aver fusilà tri quatro goti;
co la testa sbarlota imbriagada,
i se da du struconi in tra de lori,
e tontonando i ciapa su la strada!