lunedì 15 dicembre 2014

Gli Emigranti di San Pietro nel Sirù (dal 1946 al 1951)

“Ciao comare, andò ze che te ve cussì bonòra? “ - “ A vao alla posta, me zé rivà un valia.” -  “Da chi?” -  “Dal me Mario”. -  “ Ma andò laòrelo?” -
"IN TEL SIRU'. “I dise che i guadagna tanti schej là, zelo vero?

Queste erano, negli anni dal quarantasei al cinquantuno, le domande e risposte che circolavano giornalmente nelle bocche di tutti gli abitanti della Val de l'Astego. 
A parte gli interessati, nessuno sapeva dove si trovava realmente sto Siru'. Tutti ne parlavano nelle decine di ostarie che vi erano, nelle cinque botteghe, nelle strade e perfino al ”Casélo”, intanto che Checo pesava el late. E che barufùni dala Mora, da parte dei ” veci zamponeri”, tra un bicére de vin nero e una partìa de tresette o de foràcio.
“Va là, valà, valà, cossa vutu parlarme a mi ti, de laoro in montagna. No te se che mi a 22 ani a faséa el baufuehrer (capo cantiere) nella costruzione della Ferrovia della Jungfrau (Svizzera) a 3475 metri, dove, se no te stavi tento, te tocàvi con la testa el cielo. Cossa vutu che sia i 2000 metri del Sirù! E po' cossa vutu parlare ti, che no te si mai sta fora dalla porta, se parlasse Toni... almeno lu lè sta a fare el scalpellìn, con quei da “Rentolà,” al barage della Bisorte (Modane, Francia).”--” Senti..., senti” quela bruta rassa lì... i soliti sgaiùni, a scoltàrli se disarìa che ze luri che i ga fato el mondo“.

Così per tutta la notte, da boni Sampieròti, sempre bastian contrari, (al giorno d'oggi ancor peggio), fino all'alba del lunedì, confermando le loro verità con grandi pacche sulla tola e ... “steche...” che facevano sollevare il soffitto.
I bicchieri pieni di un orribile pinpinéla, trabboccando, lasciavano lo stampo del culo del goto nel vecchio legno. Le ceneri dei sigari, (la prima parte fumata, ed il mozzicone “ciccato “), lo spruzzo di saliva a pioggia che usciva dalla bocca, nell'eccitazione del discorso, rendeva la tola più sporca che l'esterno del caliéro dela polenta, cotta sul fogolàre. Ogni tanto, con il rovescio della manica, ognuno di loro puliva prima la bocca e poi il suo pezzetto di tavola.
Tutti gli anni, verso la metà di aprile, Nichi da Ponteposta, un addetto dell'impresa Peduzzi, appaltatrice dell'opera, partendo dall'ostaria dai Leoni e giù al Maso e a Barcarola raccoglieva i nomi degli operai disponibili ad andare a lavorare. 
Nei primi anni del dopoguerra ed anche per qualche tempo dopo, l'impresa, per la grande povertà e l'endemica mancanza di lavoro, trovava facilmente manodopera non qualificata, docile e laboriosa nella nostra Valle. 
Quanti Operai del Comune di San Pietro, di quello di Pedemonte o Lastebasse, in quei cinque-sei anni, sono andati a lavorare alla diga del SERRU', nel circondario di Ceresole Reale, in provincia di Torino? QUANTI? TANTI, TANTI e TANTI!

In quegli anni là le famiglie Lucca e Pierotto partirono definitivamente per il Belgio, lasciando la contra' Valeri quasi vuota. Quelli che avevano una vera professione trovavano lavoro in Svizzera anche se con un po' di difficoltà ed angherie. I restanti... in Francia, specialmente nelle due Savoie e non fu loro difficile trovare impiego nelle dighe e nelle centrali di E.D.F.

Vogliamo ricordare qui, con il soprannome delle loro famiglie alcuni di questi veri Eroi del lavoro, che con il loro sacrificio e le loro rimesse hanno sollevato la nostra Valle dalla miseria più nera.
I Sc-iantisi, i Righele, i Mardemini, i Pertile, i Borana, gli Spagnolo, i Boti, i Lorenzi, i Bonifaci (Baise) Olinto, el Bocia, Bepi della Rossa, Cirillo Gioca, Checo Baise, (capo cava), i Fontana “de aldequà e de aldelà del' Astego”, i Longhi, i Scalzeri, i Sterchele, i Serafini, i Stefani...
E tanti altri che mi perdoneranno di non averli nominati.
Quelli che si recavano nel Serrù, partivano al mattino presto da casa, con una vecchia valigia di cartone che conteneva qualche indumento: due camicie, un paio di pantaloni da lavoro, due paia di mutande lunghe, calze di lana, fatte a mano dalla mamma, importante per coloro che sudavano ai piedi, il ferro da barba, penna e carta da scrivere, un “santino“ per i più religiosi. Quelli del mestiere avevano in valigia anche il martello da carpentiere, la mazzetta e la cazzuola. 
Partivano da Vicenza, accatastati su un vagone merci, a volte scoperto, ed arrivavano a Torino verso sera, appena in tempo per prendere l'ultimo treno per Ponte Canavese. A quell'ora, non vi era alcun mezzo per proseguire ed arrivare a destinazione, per cui erano costretti a cercare un luogo dove pernottare. Il più sovente in una teda sopra il fieno, che qualche contadino, impietosito, concedeva loro. Al mattino in corriera, come erano partiti il giorno prima dalla Val d'Astico, arrivavano a Ceresole Reale, dove un camion scoperto dell'impresa, li attendeva per portarli per una strada stretta ed irta, piena di buche e dossi, dalla pianura... ai duemila metri di altezza, ai piedi della diga del Serrù. Il cantoniere consegnava loro due coperte sdruscite, che di coperte avevano solo il nome, un sacco che dovevano riempire di paglia e che avrebbe servito loro da materasso. Assegnava loro il numero della baracca in cui avrebbero dovuto passare sei mesi di vita comunitaria.
Queste baracche, in gran numero, erano costruite in lamiera, veri forni crematori d'estate e frigoriferi d'autunno. Contenevano una sessantina di persone. Un piccolo corridoio nel mezzo e dalle parti i castelli: tre brande una sopra l'altra alla marinara, dicevano, con un sorriso sarcastico, tanto si ondeggiava. L'intimità e l'igiene?.. tutte parole senza senso in questi luoghi dove in un primo tempo anche i bisogni naturali erano costretti a farli nella natura. Toccare l'acqua, a quella altezza, era vivamente sconsigliato, perchè causava crepe sulle dita e sul palmo della mano. Ed allora, spingere i vagonetti di calcestruzzo, posare i sassi faccia vista sul davanti della diga, toccare la malta con le mani, diventava un martirio. Le palme dei piedi racchiuse nei scarponi diventavano bianche dal sudore e la notte rosse e brucianti. Gli odori di sudore delle “pesse da pìe”, fatte con vecchie camicie, erano così forti che con il passare del tempo nessuno li sentiva più. Il mangiare? Tutti i giorni: al mattino il caffè, che di caffè aveva solo il nome, con due pezzi di pane; a mezzo giorno la pasta asciutta e alla sera il solito minestrone... Diremmo, non si pativa la fame, ma per i giovani era dura, molto dura...

Ceresole Reale è un piccolo comune del Piemonte di 170 abitanti, in provincia di Torino. Fa parte della Comunità Montana Valli del'Orco e Soana nel Parco Nazionale del gran Paradiso. Si chiama “reale“ perchè i re Sabaudi ne avevano fatto la loro riserva di caccia, tracciando sentieri e sopratutto salvando i camosci e gli Stambecchi dalla loro totale estinzione. Gli Stambecchi, nel secolo passato, furono oggetto di una caccia spietata, perchè si credeva che le loro carni avessero potere “afrodisiaco” e terapeutico.
La diga del “SERRU'” (2275 m.s.l. ) si trova lungo la strada che da Ceresole sale al col del Nivolet. Fa parte di un complesso di dighe che formano dei laghi artificiali (sei) per l'alimentatazione delle varie centrali idroelettriche.
Ai piedi di questa diga in costruzione, vi erano le baracche, un luogo molto simile ai Lager tedeschi per il tenore di vita. Dante se avesse visto, ne avrebbe fatto una bolgia dell'inferno. Ma qui soggiornavano non prigionieri, ma uomini liberi, ma solo di nome. Erano Veneti, Abruzzesi, Siciliani che erano costretti a vivere e a lavorare in condizioni disumane, lontani dalle loro famiglie, da metà di aprile alla metà di Ottobre, per la mancanza di lavoro e per la miseria e povertà delle loro regioni. Non il solleone dell'estate, non il freddo, il vento o le bufere di neve, frequenti qui in questa “gola”, arrestavano questi martiri del lavoro. Al libretto della spesa da Stefanin, dale Polacche o da Conte mancava ancora solo qualche riga... la somma da pagare era sempre salata.
Furono presi dalla disperazione quell'anno, che una squadra di Abruzzesi in pieno mese di luglio, il migliore della stagione, si misero in sciopero per lunghi eterni quindici giorni. A quel tempo, quando si faceva sciopero era sciopero... per tutti. Quelli che facevano i furbi sentivano subito il fischio dei manganelli sopra le loro teste! Ed allora che fare? Va bene un po' di pulizia i primi due tre giorni e poi…
I piu impazienti, coraggiosi ed esperti, legata la valigia con delle corde a mo' di zaino sulle spalle, notte tempo, evitando la sorveglianza delle Finanze di cui conoscevano le abitudini, si dirigevano chi per il colle della Losa in Val d'Isere sulla Tarantaise, chi per il colle del Carro a Bonneval sur Arc nella Maurienne.
Alloggiati piu o meno come in Italia, in Francia, anche se clandestini, trovavano facilmente lavoro. Le grandi imprese avevano sempre bisogno di manodopera per la costruzione di dighe, gallerie, condotte per E.D.F.. In Francia si guadagnava molto di più che in Italia. Il problema era come poter mandare i soldi della paga a casa.
I regolari con un libretto speciale potevano inviare a casa legalmente il settanta per cento dei soldi che erano scritti sulla busta paga. Ora il clandestino non aveva questo libretto, perciò bisognava ricorrere a mille astuzie, a mille stratagemmi, non sempre andava bene... ed allora addio soldi...
Tra quelli che restavano ancora “nel SIRU'”, dopo qualche giorno di tentennamento, i piu' tacà alle còtole dela fémena, colsero l'occasione dello sciopero e, tra le risate e i sarcasmi dei compagni, presero il conto e ritornarono alle loro famiglie. Per loro il Sirù sarebbe finito per sempre. Altri bisognosi di aggiornarsi un po' e vedere delle persone civili, si recarono per qualche giorno a Torino... per visitare la Torre Antonelliana ed il Valentino; borbottavano fra i denti, a quelli che con un sorriso, tra l' ironico ed il comprensivo, chiedevano il motivo della scampagnata...

Quell'anno il Natale fu meno generoso con i bambini e le Ostarie meno piene... ed i libretti furono anneriti molto prima...

Questi Esseri, gli Emigranti ed Emigrati, che con il loro lavoro e spesso con il dono della loro vita, per un secolo e mezzo, hanno fatto vivere una Valle priva di tutto, e che crisi è stata tutta la loro vita? Pensate voi che abbiano diritto di un luogo che li ricordi? Ebbene, qualcuno aveva pensato di sì!
Ora qualche discendente nei commenti dice che sono soldi buttati! Che lui per ricordare suo padre non è disposto, a causa della crisi, a rinunciare al gelato, al cappuccino con panino brioché al bar, alle scampagnate con gli amici a Venezia a mangiare il pesce e alle vacanze.....alle Seychelles...? Che tristezza...
Lino Bonifaci

16 commenti:

  1. Molto contenta di leggere questo racconto, Lino. Certe cose devono essere ricordate, hai ragione ! Ho cercato se trovavo traccia, nelle vecchie cartoline ricevute dai nonni Menara di Valpegara, anni 40, di questo cantiere. Precisamente, no, ma, il 28.8.1943, ho 2 cartoline scritte da un cantiere a Cervinia da mio cugino Alessandro Fontana, timbro " Plan Maison-Belvedere- A tu per tu con Cervinio" Non conosco il lavoro che faceva a quel momento. Poi un'altra scritta sempre da lui, da cantiere Goliet -Girola- Cervinia, in 1943.
    Una cartolina del 16.4.1943 è stata scritta da mio nonno materno Sartori Gio Batta Lello,Cantiere Tarnasco, impresa Peduzzi- Gravedona- prov; Como.
    Forse questi nomi ti parleranno.

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  2. Ciao Lino, è vero ti sei dimenticato anche di mio papà Carraro Antonio.Anche lui parlava spesso di questa diga sul Serù.

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  3. Da un Luigi Agostini, bei BahnerMüller C.Berne Suisse. Altra cartolina Pasqua 47? (non riesco a leggere bene) Conosci LIno ? Sicuramente di Valpegara.

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    1. Cara Odette
      La cartolina della Pasqua 47 é stata scritta sicuramente dal mio nonno, Luigi Agostini, figlio di Antonio Agostini e Meneghina Agostini, che in quell'anno ha lavorato alla Svizzera in quella ditta, in un paese vicino a Interlaken.
      In questo lavoro faceva il muratore e anche lo scalpellino.
      Il mio papa Luigi, che segue sempre il blog, ha trovato il tuo commento e mi ha chiesto di rispondere e salutarvi a tutti, anche se un pó tardi, per Natale e Capodanno!
      Salutti!

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    2. Sofia, grazie per il messaggio. Ho inviato una copia della cartolina alla Carla, forse avrà il tuo mail. Cosi potrai vedere il scritto di tuo nonno. Ne ho un'altra anche di Francesco Agostini. Saluti a tutti voi ed auguri di buon anno 2015 con il piacere di leggervi sul blog.

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  4. Fatto bene Lino a ricordarci anche del Serrù. Quante pene sule Alpi Occidentali, da una parte e dall’altra del confine, e anche in mezzo, nelle terribili traversate da clandestini. Poi sono anche riusciti a mandarci a dare scarpate nelle reni alla Francia abbattuta dal caporale col ciuffo. La stessa che prima e anche poi ci ha accolto a frotte. Pori grami sempre! Queste storie andrebbero incise sulla pietra, su ogni parete della valle, per non dimenticare. Ecco cosa si bisognerebbe fare: un unico, grande, immenso ed eterno monumento. Ma sai bene che a nessuno piace ricordare la miseria, solo i popoli forti riescono a farne un’epopea, gli altri preferiscono dimenticare.

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  5. Grazie Lino per il racconto, è giusto ricordarsi sempre dei nostri emigranti e delle immense difficoltà che hanno dovuto sopportare, purtroppo la crisi stà colpendo molto duro in Italia e i problemi del momento molte volte fanno dimenticare le sofferenze passate dai nostri emigranti. Un abbraccio gino

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  6. Certo,Adriano,c'era anche tuo padre.Faceva coppia con Bepi Boti,I S-ciantisi e vi lavorarono
    per parecchi anni per la costruzione di quella diga,e dopo per altri lavori sempre assieme.
    Gino,non è la crisi credimi. Loro sono nati,vissuti e morti con la crisi,una peggiore dell'altra.
    Solo che vivevano e tribulavano con la speranza di un mondo migliore. Quella speranza
    nell'avvenire che sembra non ci sia piu al giorno d'oggi.

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  7. Odette, i nomi della Peduzzi o della Girola erano nomi di imprese che a quei tempi circolavano
    fra tutti gli operai della Valle.Tutti le conoscevano. Chi con l' una chi con l'altra avevano lavorato
    nelle dighe,nelle gallerie(e qui molti ci lasciarono la vita) nelle strade del Piemonte ed altrove.
    Per poter lavorare in Svizzera era molto piu' difficile perchè bisognava passare visite e saper
    lavorare. In quegli anni là avevo due fratelli anch'io che lavoravano a Zurigo.

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  8. Don Sponcio,parole sante,che valgono piu' di una predica. Parole buttate al vento per i cuori
    di ghiaccio della odierna gioventu'....

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  9. Hai ragione Lino la crisi e molto dura c'era anche allora ma le speranze erano molto alte, anche ragazzi della mia classe andavano all'estero per lavori duri ma era il periodo del boom economico: Ora purtroppo la crisi è in tutta Europa e il lavoro non richiede solo sacrifici e buona volontà ma sembra una gran corsa a chi sa lavorare meglio di lingua che concretamente, speriamo comunque che qualcosa cambi anche se comincio ad avere qualche dubbio.Il racconto come sempre è molto emozionante, Floriana

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  10. Andrea Nicolussi Golo12 dicembre 2014 alle ore 16:44

    Buon giorno a tutti. Ho scritto un messaggio lunghissimo sull'emigrazione che il computer ha ritenuto offensivo nei confronti di chi vive di pregiudizi e l'ha cancellato, meglio! Spero non cancelli questo.
    Grazie Lino, credo che questo tuo racconto sia molto migliore di ogni mia risposta all'anonimo del post sull'emigrazione.
    Grazie Don, farò mia la tua ultima frase, orgoglioso di non aver mai dimenticato la dignitosa povertà da cui provengo e di aver trasmesso questa sola ricchezza ai figli.
    MIO PADRE HA LAVORATO SUL SERRU'.  
     
    Auguro a tutti un buon Natale con le parole di padre David Maria Turoldo:
    Ma quando facevo il pastore                                           
    Allora ero certo del tuo Natale.                                            
    I campi bianchi di brina,                                                   
    I campi rotti al gracidio dei corvi (…)                                     
     
    I tronchi degli alberi parevano
    Creature piene di ferite;
    mia madre era parente
    della vergine,
    tutta in faccende
    finalmente serena.
    Io portavo le pecore fino al sagrato
    E sapevo d’essere uomo vero
    Del tuo regale presepio.
          
             David Maria Turoldo

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  11. Bel post Lino, bravo. Doveroso non dimenticare del tutto le vicende che hanno condizionato il nostro passato e che purtroppo potrebbero ripetersi per l'avvenire, magari sotto altre forme. Forse oggi manca però la cosa più voluminosa che mettevano allora in valigia: la Speranza.

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  12. SERU' PIAN TELESIO CERESOLE REALE14 dicembre 2014 alle ore 16:28

    Grazie Lino Baise
    Grazie per il tuo racconto che ho appena finito, non ti nascondo che ha il fegato ingrossato per il ritorno al Mio passato che mi hai fatto tornare alla mente.
    I nomi delle ditte mi rimbombano nelle orecchie, Torno Pedussi Girola Lodigiani, nelle osterie della Valdastico, sopratutto in questo periodo nominarle era come nominare i dieci comandamenti, e sotto sotto sono rimaste impresse nella mia mente perchè anche mio padre è stato nel SERU', Il Serù mi ha permesso di farmi le prime scarpe da festa fatte dai Bonati dai Lucca, questi cantieri mi hanno permesso comperare la prime braghe longhe che non siano di mio fratello, il serù mi ha permesso di tugliermi le bustine delle calze lunghe di lena fatte a mano, in quell'epoca ho imparato a capire gli orari della corriera aspettavo mio padre che abbrustolito dalle intemperie arrivava DAI LAURI, allora ho conosciuto "Milieto" che saliva sopra la corriera Della SITA a raccogliere la valigia di mio padre, allora incantato per serate intere nella vecchia cucina di casa che sapeva da minestrone e ossi de macio ad ascoltare mio padre che raccontava di " Bolognini, di cemento, di gallerie di vagonetti di diga e raccontava sopratutto DELL'EMIGRAZIONE degli stenti dell'intera Vallata dell'Astico, e non solo, ma dei Posenati, dei Tonedati ecc. ecc.
    Cosa ci è rimasto caro Lino?
    NIENTE, perchè sono arrivati i giovani saputelli, quelli del codino, i barbette che sanno tutto loro vogliono far rinascere la valle con il formaggio con le tasse sui capannoni in ribasso e sulle case che il SERU' ha permesso ai nostri padri di costruire,
    CI RIFIUTANO IL PARCO DEGLI EMIGRANTI , prendono in giro Mario Crosato Luciano Baga Ermanno che da diversi anni con il comitrato EMIGRANTI si stanno battendo peer lasciare in valle un segno indelebile degli emigrante quelli che tu ha così bene descritto facendomi tremare le vene.
    Grazie Lino Baise ti vorrei vicino per abbracciarti forte ed onorarti come uno degli ultimi di qella generazione e i giovani a cui è destinato il prossimo avvenire vogliono C A N C E L L A R E !!!!!!!!!!!!!!!!

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  13. Non bisogna fare di ogni erba un fascio... ci sono giovani molto in gamba

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