“Ciao
comare, andò ze che te ve cussì bonòra? “ - “ A vao alla posta, me zé rivà un valia.” - “Da chi?” - “Dal me Mario”. - “
Ma andò laòrelo?” -
"IN TEL SIRU'. “I dise che i guadagna tanti schej là, zelo
vero?
Queste
erano, negli anni dal quarantasei al cinquantuno, le domande e
risposte che circolavano giornalmente nelle bocche di tutti gli
abitanti della Val de l'Astego.
A parte gli interessati, nessuno
sapeva dove si trovava realmente sto Siru'. Tutti ne parlavano
nelle decine di ostarie che vi erano, nelle cinque botteghe, nelle
strade e perfino al ”Casélo”, intanto che Checo pesava el
late. E che barufùni dala Mora, da parte dei ” veci
zamponeri”, tra un bicére de vin nero e una partìa de tresette
o de foràcio.
“Va
là, valà, valà, cossa vutu parlarme a mi ti, de laoro in
montagna. No te se che mi a 22 ani a faséa el baufuehrer (capo
cantiere) nella costruzione della Ferrovia della Jungfrau (Svizzera)
a 3475 metri, dove, se no te stavi tento, te tocàvi con la
testa el cielo. Cossa vutu che sia i 2000 metri del Sirù! E po'
cossa vutu parlare ti, che no te si mai sta fora dalla porta, se
parlasse Toni... almeno lu lè sta a fare el scalpellìn, con quei da
“Rentolà,” al barage della Bisorte (Modane, Francia).”--”
Senti..., senti” quela bruta rassa lì... i soliti sgaiùni, a
scoltàrli se disarìa che ze luri che i ga fato el mondo“.
Così per tutta la notte, da boni Sampieròti, sempre bastian contrari, (al giorno d'oggi ancor peggio), fino all'alba del lunedì,
confermando le loro verità con grandi pacche sulla tola e
... “steche...” che facevano sollevare il soffitto.
I
bicchieri pieni di un orribile pinpinéla, trabboccando, lasciavano
lo stampo del culo del goto nel vecchio legno. Le ceneri dei
sigari, (la prima parte fumata, ed il mozzicone “ciccato “), lo
spruzzo di saliva a pioggia che usciva dalla bocca, nell'eccitazione
del discorso, rendeva la tola più sporca che l'esterno del
caliéro dela polenta, cotta sul fogolàre. Ogni tanto, con il rovescio
della manica, ognuno di loro puliva prima la bocca e poi il suo
pezzetto di tavola.
Tutti
gli anni, verso la metà di aprile, Nichi da Ponteposta, un addetto
dell'impresa Peduzzi, appaltatrice dell'opera, partendo dall'ostaria dai Leoni e giù al Maso e a Barcarola raccoglieva i nomi
degli operai disponibili ad andare a lavorare.
Nei primi anni del
dopoguerra ed anche per qualche tempo dopo, l'impresa, per la
grande povertà e l'endemica mancanza di lavoro, trovava facilmente
manodopera non qualificata, docile e laboriosa nella nostra Valle.
Quanti Operai del Comune di San Pietro, di quello di Pedemonte o
Lastebasse, in quei cinque-sei anni, sono andati a lavorare alla
diga del SERRU', nel circondario di Ceresole Reale, in provincia di
Torino? QUANTI? TANTI,
TANTI e TANTI!
In
quegli anni là le famiglie Lucca e Pierotto partirono
definitivamente per il Belgio, lasciando
la contra' Valeri quasi vuota. Quelli che avevano una vera professione
trovavano lavoro in Svizzera anche se con un po' di difficoltà ed
angherie. I restanti... in Francia, specialmente nelle due
Savoie e non fu loro difficile
trovare impiego nelle dighe e nelle centrali di E.D.F.
Vogliamo
ricordare qui, con il soprannome delle loro famiglie alcuni di questi
veri Eroi del lavoro, che con il loro sacrificio e le loro rimesse
hanno sollevato la nostra Valle dalla miseria più nera.
I
Sc-iantisi, i Righele, i Mardemini, i Pertile, i Borana, gli
Spagnolo, i Boti, i Lorenzi, i Bonifaci (Baise) Olinto, el Bocia,
Bepi della Rossa, Cirillo Gioca, Checo Baise, (capo cava), i
Fontana “de aldequà e de aldelà del' Astego”, i Longhi, i
Scalzeri, i Sterchele, i Serafini, i Stefani...
E
tanti altri che mi perdoneranno di non averli nominati.
Quelli
che si recavano nel Serrù, partivano al mattino presto da casa, con
una vecchia valigia di cartone che conteneva qualche indumento: due
camicie, un paio di pantaloni da lavoro, due paia di mutande lunghe, calze di lana, fatte a mano dalla mamma, importante per coloro che
sudavano ai piedi, il ferro da
barba, penna e carta da scrivere, un “santino“ per i più
religiosi. Quelli del
mestiere avevano in valigia anche il martello da carpentiere, la
mazzetta e la cazzuola.
Partivano da Vicenza, accatastati su un
vagone merci, a volte scoperto, ed arrivavano a Torino verso sera, appena in tempo per prendere l'ultimo
treno per Ponte Canavese. A quell'ora, non vi era alcun mezzo per
proseguire ed arrivare a destinazione, per cui erano costretti a
cercare un luogo dove pernottare. Il più sovente in una teda
sopra il fieno, che qualche contadino, impietosito, concedeva loro. Al
mattino in corriera, come erano partiti il giorno prima dalla Val
d'Astico, arrivavano a Ceresole Reale, dove un camion scoperto dell'impresa, li attendeva per portarli per una strada stretta ed irta, piena di buche e dossi, dalla pianura... ai duemila metri
di altezza, ai piedi della diga del Serrù. Il cantoniere consegnava
loro due coperte sdruscite, che
di coperte avevano solo il nome, un sacco che dovevano
riempire di paglia e che avrebbe servito loro da materasso. Assegnava
loro il numero della baracca in cui avrebbero dovuto passare sei
mesi di vita comunitaria.
Queste
baracche, in gran numero, erano costruite in lamiera, veri forni
crematori d'estate e frigoriferi d'autunno. Contenevano una
sessantina di persone. Un piccolo corridoio nel mezzo e dalle parti i castelli: tre brande una sopra l'altra alla marinara,
dicevano, con un sorriso sarcastico, tanto si ondeggiava. L'intimità
e l'igiene?.. tutte parole senza senso in questi luoghi dove in un
primo tempo anche i bisogni naturali erano costretti a farli nella
natura. Toccare l'acqua, a quella altezza, era vivamente
sconsigliato, perchè causava crepe sulle dita e sul palmo della
mano. Ed allora, spingere i vagonetti di calcestruzzo, posare i sassi faccia vista sul davanti della diga, toccare la malta con le
mani, diventava un martirio. Le palme dei piedi racchiuse nei
scarponi diventavano bianche dal sudore e la notte rosse e
brucianti. Gli odori di sudore delle “pesse da pìe”, fatte con
vecchie camicie, erano così forti che con il passare del tempo
nessuno li sentiva più. Il mangiare? Tutti i giorni: al
mattino il caffè, che di caffè aveva solo il nome, con due pezzi di
pane; a mezzo giorno la pasta asciutta e alla sera il solito
minestrone... Diremmo, non si pativa la fame, ma per i giovani era
dura, molto dura...
Ceresole
Reale è un piccolo comune del Piemonte di 170 abitanti, in
provincia di Torino. Fa parte della Comunità Montana Valli del'Orco
e Soana nel Parco Nazionale del gran Paradiso. Si chiama “reale“ perchè i re Sabaudi ne avevano fatto la loro riserva di caccia,
tracciando sentieri e sopratutto salvando i camosci e gli Stambecchi
dalla loro totale estinzione. Gli Stambecchi, nel secolo passato, furono oggetto di una caccia spietata, perchè si credeva che le
loro carni avessero potere “afrodisiaco” e terapeutico.
La
diga del “SERRU'” (2275 m.s.l. ) si trova lungo la strada che da
Ceresole sale
al col del Nivolet. Fa parte di un complesso di dighe che formano
dei laghi artificiali (sei) per l'alimentatazione delle varie
centrali idroelettriche.
Ai
piedi di questa diga in costruzione, vi erano le baracche, un luogo
molto simile ai Lager tedeschi per il tenore di vita. Dante se
avesse visto, ne avrebbe fatto una bolgia dell'inferno. Ma qui
soggiornavano non prigionieri, ma uomini liberi, ma solo di
nome. Erano Veneti, Abruzzesi, Siciliani che erano costretti a
vivere e a lavorare in condizioni disumane, lontani dalle loro
famiglie, da metà di aprile alla metà di Ottobre, per la mancanza
di lavoro e per la miseria e povertà delle loro regioni. Non il solleone dell'estate, non il freddo, il vento o le
bufere di neve, frequenti qui in questa “gola”, arrestavano
questi martiri del lavoro. Al libretto della spesa da
Stefanin, dale Polacche o da Conte mancava ancora solo qualche
riga... la somma da pagare era sempre salata.
Furono
presi dalla disperazione quell'anno, che una squadra di Abruzzesi in pieno
mese di luglio, il migliore della stagione, si misero in sciopero per
lunghi eterni
quindici giorni. A quel tempo, quando si faceva sciopero era
sciopero... per
tutti. Quelli che facevano i furbi sentivano subito il
fischio dei manganelli sopra le loro teste! Ed allora che
fare? Va bene un po' di pulizia i primi due tre giorni e poi…
I
piu impazienti, coraggiosi ed esperti, legata la valigia con delle
corde a mo' di zaino sulle spalle, notte tempo, evitando la
sorveglianza delle Finanze di cui conoscevano le abitudini, si
dirigevano chi per il colle della Losa in Val d'Isere sulla
Tarantaise, chi per il colle del Carro a Bonneval sur Arc nella
Maurienne.
Alloggiati
piu o meno come in Italia, in Francia, anche se clandestini, trovavano facilmente lavoro. Le grandi imprese avevano sempre
bisogno di manodopera per la costruzione di dighe, gallerie, condotte
per E.D.F.. In Francia si guadagnava molto di più che in Italia.
Il problema era come poter mandare i soldi della paga a casa.
I
regolari con un libretto speciale potevano inviare a casa legalmente
il settanta per cento dei soldi che erano scritti sulla busta paga.
Ora il clandestino non aveva questo libretto, perciò bisognava
ricorrere a mille astuzie, a mille stratagemmi, non sempre andava
bene... ed allora addio soldi...
Tra
quelli che restavano ancora “nel SIRU'”, dopo qualche giorno di
tentennamento, i piu' tacà alle còtole dela fémena, colsero
l'occasione dello sciopero e, tra le risate e i sarcasmi dei
compagni, presero il conto e ritornarono alle loro famiglie. Per
loro il Sirù sarebbe finito per sempre. Altri bisognosi di
aggiornarsi un po' e vedere delle persone civili, si recarono per
qualche giorno a
Torino... per visitare la Torre Antonelliana ed il
Valentino; borbottavano fra
i denti, a quelli che con un sorriso, tra l' ironico ed il comprensivo, chiedevano il motivo della scampagnata...
Quell'anno
il Natale fu meno generoso con i bambini e le Ostarie meno piene... ed
i libretti furono anneriti molto prima...
Questi
Esseri, gli Emigranti ed Emigrati, che con il loro lavoro e spesso
con il
dono della loro vita, per un secolo e mezzo, hanno fatto vivere una
Valle priva
di tutto, e che crisi è stata tutta la loro vita? Pensate voi
che abbiano diritto
di un luogo che li ricordi? Ebbene, qualcuno aveva pensato di sì!
Ora
qualche discendente nei commenti dice che sono soldi buttati!
Che lui per
ricordare suo padre non è disposto, a causa della crisi, a
rinunciare al gelato, al cappuccino con panino brioché al bar,
alle scampagnate con gli amici a Venezia a mangiare il pesce e alle
vacanze.....alle Seychelles...? Che tristezza...
Lino Bonifaci
Molto contenta di leggere questo racconto, Lino. Certe cose devono essere ricordate, hai ragione ! Ho cercato se trovavo traccia, nelle vecchie cartoline ricevute dai nonni Menara di Valpegara, anni 40, di questo cantiere. Precisamente, no, ma, il 28.8.1943, ho 2 cartoline scritte da un cantiere a Cervinia da mio cugino Alessandro Fontana, timbro " Plan Maison-Belvedere- A tu per tu con Cervinio" Non conosco il lavoro che faceva a quel momento. Poi un'altra scritta sempre da lui, da cantiere Goliet -Girola- Cervinia, in 1943.
RispondiEliminaUna cartolina del 16.4.1943 è stata scritta da mio nonno materno Sartori Gio Batta Lello,Cantiere Tarnasco, impresa Peduzzi- Gravedona- prov; Como.
Forse questi nomi ti parleranno.
Ciao Lino, è vero ti sei dimenticato anche di mio papà Carraro Antonio.Anche lui parlava spesso di questa diga sul Serù.
RispondiEliminaDa un Luigi Agostini, bei BahnerMüller C.Berne Suisse. Altra cartolina Pasqua 47? (non riesco a leggere bene) Conosci LIno ? Sicuramente di Valpegara.
RispondiEliminaCara Odette
EliminaLa cartolina della Pasqua 47 é stata scritta sicuramente dal mio nonno, Luigi Agostini, figlio di Antonio Agostini e Meneghina Agostini, che in quell'anno ha lavorato alla Svizzera in quella ditta, in un paese vicino a Interlaken.
In questo lavoro faceva il muratore e anche lo scalpellino.
Il mio papa Luigi, che segue sempre il blog, ha trovato il tuo commento e mi ha chiesto di rispondere e salutarvi a tutti, anche se un pó tardi, per Natale e Capodanno!
Salutti!
Sofia, grazie per il messaggio. Ho inviato una copia della cartolina alla Carla, forse avrà il tuo mail. Cosi potrai vedere il scritto di tuo nonno. Ne ho un'altra anche di Francesco Agostini. Saluti a tutti voi ed auguri di buon anno 2015 con il piacere di leggervi sul blog.
EliminaFatto bene Lino a ricordarci anche del Serrù. Quante pene sule Alpi Occidentali, da una parte e dall’altra del confine, e anche in mezzo, nelle terribili traversate da clandestini. Poi sono anche riusciti a mandarci a dare scarpate nelle reni alla Francia abbattuta dal caporale col ciuffo. La stessa che prima e anche poi ci ha accolto a frotte. Pori grami sempre! Queste storie andrebbero incise sulla pietra, su ogni parete della valle, per non dimenticare. Ecco cosa si bisognerebbe fare: un unico, grande, immenso ed eterno monumento. Ma sai bene che a nessuno piace ricordare la miseria, solo i popoli forti riescono a farne un’epopea, gli altri preferiscono dimenticare.
RispondiEliminaGrazie Lino per il racconto, è giusto ricordarsi sempre dei nostri emigranti e delle immense difficoltà che hanno dovuto sopportare, purtroppo la crisi stà colpendo molto duro in Italia e i problemi del momento molte volte fanno dimenticare le sofferenze passate dai nostri emigranti. Un abbraccio gino
RispondiEliminaBellissimo racconto
RispondiEliminaCerto,Adriano,c'era anche tuo padre.Faceva coppia con Bepi Boti,I S-ciantisi e vi lavorarono
RispondiEliminaper parecchi anni per la costruzione di quella diga,e dopo per altri lavori sempre assieme.
Gino,non è la crisi credimi. Loro sono nati,vissuti e morti con la crisi,una peggiore dell'altra.
Solo che vivevano e tribulavano con la speranza di un mondo migliore. Quella speranza
nell'avvenire che sembra non ci sia piu al giorno d'oggi.
Odette, i nomi della Peduzzi o della Girola erano nomi di imprese che a quei tempi circolavano
RispondiEliminafra tutti gli operai della Valle.Tutti le conoscevano. Chi con l' una chi con l'altra avevano lavorato
nelle dighe,nelle gallerie(e qui molti ci lasciarono la vita) nelle strade del Piemonte ed altrove.
Per poter lavorare in Svizzera era molto piu' difficile perchè bisognava passare visite e saper
lavorare. In quegli anni là avevo due fratelli anch'io che lavoravano a Zurigo.
Don Sponcio,parole sante,che valgono piu' di una predica. Parole buttate al vento per i cuori
RispondiEliminadi ghiaccio della odierna gioventu'....
Hai ragione Lino la crisi e molto dura c'era anche allora ma le speranze erano molto alte, anche ragazzi della mia classe andavano all'estero per lavori duri ma era il periodo del boom economico: Ora purtroppo la crisi è in tutta Europa e il lavoro non richiede solo sacrifici e buona volontà ma sembra una gran corsa a chi sa lavorare meglio di lingua che concretamente, speriamo comunque che qualcosa cambi anche se comincio ad avere qualche dubbio.Il racconto come sempre è molto emozionante, Floriana
RispondiEliminaBuon giorno a tutti. Ho scritto un messaggio lunghissimo sull'emigrazione che il computer ha ritenuto offensivo nei confronti di chi vive di pregiudizi e l'ha cancellato, meglio! Spero non cancelli questo.
RispondiEliminaGrazie Lino, credo che questo tuo racconto sia molto migliore di ogni mia risposta all'anonimo del post sull'emigrazione.
Grazie Don, farò mia la tua ultima frase, orgoglioso di non aver mai dimenticato la dignitosa povertà da cui provengo e di aver trasmesso questa sola ricchezza ai figli.
MIO PADRE HA LAVORATO SUL SERRU'.
Auguro a tutti un buon Natale con le parole di padre David Maria Turoldo:
Ma quando facevo il pastore
Allora ero certo del tuo Natale.
I campi bianchi di brina,
I campi rotti al gracidio dei corvi (…)
I tronchi degli alberi parevano
Creature piene di ferite;
mia madre era parente
della vergine,
tutta in faccende
finalmente serena.
Io portavo le pecore fino al sagrato
E sapevo d’essere uomo vero
Del tuo regale presepio.
David Maria Turoldo
Bel post Lino, bravo. Doveroso non dimenticare del tutto le vicende che hanno condizionato il nostro passato e che purtroppo potrebbero ripetersi per l'avvenire, magari sotto altre forme. Forse oggi manca però la cosa più voluminosa che mettevano allora in valigia: la Speranza.
RispondiEliminaGrazie Lino Baise
RispondiEliminaGrazie per il tuo racconto che ho appena finito, non ti nascondo che ha il fegato ingrossato per il ritorno al Mio passato che mi hai fatto tornare alla mente.
I nomi delle ditte mi rimbombano nelle orecchie, Torno Pedussi Girola Lodigiani, nelle osterie della Valdastico, sopratutto in questo periodo nominarle era come nominare i dieci comandamenti, e sotto sotto sono rimaste impresse nella mia mente perchè anche mio padre è stato nel SERU', Il Serù mi ha permesso di farmi le prime scarpe da festa fatte dai Bonati dai Lucca, questi cantieri mi hanno permesso comperare la prime braghe longhe che non siano di mio fratello, il serù mi ha permesso di tugliermi le bustine delle calze lunghe di lena fatte a mano, in quell'epoca ho imparato a capire gli orari della corriera aspettavo mio padre che abbrustolito dalle intemperie arrivava DAI LAURI, allora ho conosciuto "Milieto" che saliva sopra la corriera Della SITA a raccogliere la valigia di mio padre, allora incantato per serate intere nella vecchia cucina di casa che sapeva da minestrone e ossi de macio ad ascoltare mio padre che raccontava di " Bolognini, di cemento, di gallerie di vagonetti di diga e raccontava sopratutto DELL'EMIGRAZIONE degli stenti dell'intera Vallata dell'Astico, e non solo, ma dei Posenati, dei Tonedati ecc. ecc.
Cosa ci è rimasto caro Lino?
NIENTE, perchè sono arrivati i giovani saputelli, quelli del codino, i barbette che sanno tutto loro vogliono far rinascere la valle con il formaggio con le tasse sui capannoni in ribasso e sulle case che il SERU' ha permesso ai nostri padri di costruire,
CI RIFIUTANO IL PARCO DEGLI EMIGRANTI , prendono in giro Mario Crosato Luciano Baga Ermanno che da diversi anni con il comitrato EMIGRANTI si stanno battendo peer lasciare in valle un segno indelebile degli emigrante quelli che tu ha così bene descritto facendomi tremare le vene.
Grazie Lino Baise ti vorrei vicino per abbracciarti forte ed onorarti come uno degli ultimi di qella generazione e i giovani a cui è destinato il prossimo avvenire vogliono C A N C E L L A R E !!!!!!!!!!!!!!!!
Non bisogna fare di ogni erba un fascio... ci sono giovani molto in gamba
RispondiElimina