venerdì 3 maggio 2013

L'aereo misterioso


Era un pomeriggio del settembre del 1989; verso la metà di questo mese la natura si veste di meravigliosi colori.
Io e mia moglie desideravamo, visto le previsioni meteo di quel periodo, di andare a fare una bella camminata in montagna. Ciascuno di noi proponeva un proprio itinerario, finché siamo arrivati ad un accordo di percorrere e salire la montagna del Becco di Filadonna, montagna che fino a quel momento vedevo in tutta la sua maestosità dalla contrà Lucca, precisamente dalla fontana e che mi ha sempre affascinato, perché chiude il catino della nostra valle a nord, come un sasso messo lì apposta per proteggerci.
Partimmo il giorno successivo di buon mattino e ci recammo al Sindec, subito dopo la galleria sulla strada che da Carbonare porta verso la Val di Centa, Levico e Caldonazzo.
Proprio di fronte al Bar del Sindec, il sentiero incomincia con due tre scalini di sasso e subito si inoltra nel bosco, con andamento non troppo ripido, abbastanza facile.  
Sapevamo che ad un certo punto avremmo trovato un rifugio, la Casarotta, il qual era già stato bruciato una volta.
Arrivammo appunto a questo rifugio dopo un’ora di cammino; lì eravamo ancora quasi in mezzo al bosco, composto di carpini, faggi, qualche pino e qualche larice. Osservando bene ci si accorgeva che le foglie dei faggi e carpini, incominciavano la loro lenta trasformazione di colore, si sentivano già rumori diversi allo scuotere delle foglie mosse dal vento.

Ci riposammo un po’ sulle panche che c’erano fuori, nel piccolo terrazzo di terra davanti al rifugio. Aprimmo la porta ed entrammo tanto per curiosare un po’.
Dentro c’era tutto l’occorrente per prepararci un buon pasto: c’erano dei pacchi di spaghetti e dello scatolame con sughi di diverso tipo; poi, appeso alla porta dalla parte interna, c’era un foglio di carta dentro una busta di plastica trasparente con scritto un semplice regolamento da rispettare per quelli che facevano uso del cibo e di quant’altro nel rifugio. In pratica, dopo aver usufruito di quello che occorreva, veniva chiesto di mettere in  un'apposta cassetta un’offerta, in base a quello che si aveva utilizzato.
Ripartimmo per la cima, da lì in poi il sentiero incominciava a inerpicarsi diretto senza “zigzagare“; era un sentiero durissimo, sconnesso e le radici dei pini avevano creato nel suo tracciato degli scalini talmente alti che in qualche occasione dovevamo salire con le ginocchia. 
Questo contribuiva a spezzare il ritmo della nostra comminata, rendendo ancora più faticosa la salita. I colori che si incontravano durante la salita, finché eravamo in mezzo al bosco, erano meravigliosi; regnava un silenzio assoluto ed era stupendo, ogni tanto per riprendere un po’ di fiato ci fermavamo lì in mezzo al sentiero in piedi ad ascoltare questo silenzio che ci procurava gioia e una tranquillità interiore così grande da darci la forza e la voglia di continuare a salire. 
Man mano che salivamo, il bosco si faceva meno fitto e incominciavano ad apparire i mughi che strisciavano sul terreno lastricato di rocce, per effetto dello schiacciamento della neve. Ora si presentava la possibilità di vedere un panorama sempre più vasto e sempre più bello, si sentivano i versi dei caprioli e degli stambecchi, i canti degli uccelli e il gracchiare delle cornacchie, magari accompagnate da qualche vecchio corvo.  
La salita era veramente faticosa e le gambe incominciavano a sentire i muscoli dei polpacci e delle cosce tendersi e farsi sempre più duri, sulla schiena ognuno di noi aveva il proprio zaino, dentro ci eravamo portati un abbigliamento consono al luogo dove eravamo, poi avevamo comperato del pane e degli affettati con un po’ di frutta e delle bottiglie di acqua a  Carbonare. Dentro lo zaino avevo anche la macchina fotografica, indispensabile quando ci si trova in luoghi come questi.
Ci fermammo un po’ in uno spuntone di roccia per ammirare il panorama che da questa posizione era proprio fantastico, con l’occasione ci rinfrescammo  con un sorso d’acqua che avevamo nello zaino. Dopo questa breve sosta riprendemmo a salire, l’aria era ancora abbastanza fresca e il cielo era di uno smagliante blu senza neanche una nuvola. I mughi che prima ci accompagnavano durante il percorso erano completamente spariti, tutto era diventato ghiaioso, lastre di roccia e grossi massi di roccia staccatisi dalle pareti. Guardando in sù capivamo di essere quasi arrivati alla cima, eravamo proprio sotto a quelle punte di roccia grigia che nei giorni precedenti vedevo dalla fontana “dei  Lucca”.
In questo tratto il sentiero era veramente ripido e faticavo non poco a salire anche se avevo portato con me un paletto di legno come appoggio in caso di bisogno, solo che in alcuni casi mi accorsi che qualche volta quel paletto mi creava qualche impedimento, ma comunque non lo mollai mai, lo consideravo quasi un compagno di queste mie camminate.
Arrivammo proprio sotto gli spuntoni di roccia, eravamo molto prossimi alla cima, ma ad un certo punto ci trovammo davanti un muro di roccia alto circa 4 metri e  il sentiero finiva proprio lì.
Guardai mia moglie con aria un po’ stupita, come a chiedere: “e adesso?”
Dopo esserci consultati ci accorgemmo, che su questa parete c’erano segnati degli appigli, ed erano stati praticati dei fori abbastanza grandi per farci entrare le punte dei piedi, cosi capimmo che per quel breve tratto bisognava arrampicarsi.
A me venne spontanea  una domanda:
“Ma quando sarò in cima a questa parete, cosa ci sarà al di là?”
Immaginavo, mentre salivo, che non ci fosse niente, che da lì si vedesse tutta la Valsugana. Invece, quando la mia testa fece capolino dall’altra parte, mi accorsi con soddisfazione che c’era una valle e che in fondo a questa c’erano due torri e un piccolo puntino rosso proprio sotto la torre più piccola. Era il bivacco della vigolana.
Ci sedemmo per un attimo su un ripiano di roccia all’ombra, perché ora il sole era bruciante, vedemmo una persona arrivare alla nostra sinistra con passo spedito. Ci salutò dopo aver fatto due chiacchiere. Era una persona anziana che era salita dal Sindec ancora quando era buio, perché aveva voluto vedere l’alba dal Becco di Filadonna.
Riprendemmo il cammino alla nostra sinistra come indicava la segnaletica, ora il sentiero era diventato completamente piano, salvo qualche saliscendi delle rocce; dopo 10 minuti di marcia ci trovammo davanti ad una croce ai piedi della quale era seduta una persona e lì il fiato mi abbandonò per un istante.
C’era un piccolo pianoro, e proprio in cima allo strapiombo avevano eretto una croce, la veduta era mozzafiato, mi misi di fianco alla croce, tenendomi con la mano per sicurezza e mi sporsi per vedere esattamente lo strapiombo. Sotto si vedeva gran parte della Valsugana, i tetti rossi delle case sembravano  grappoli di ribes rossi  talmente erano diventati piccoli, tutte le dimensioni avevano preso misure diverse, sembrava di essere in un altro mondo.
La persona che era seduta di fianco alla croce ci disse che il Becco di Filadonna era quel piccolo pianoro di circa 3/4 mq alla nostra destra e al quale si poteva accedere tramite un piccolo sentiero largo circa 70 cm ricavato nella roccia e nel quale avevano messo una corda di acciaio per sicurezza.
Rimanemmo lì in silenzio come facevamo in tutte le cime che avevamo visitato, io contemplavo la bellezza di quelle immagini pensando che forse non le avrei  mai più riviste se non nelle mie fotografie e nei miei ricordi. 
Le torri che avevamo alle nostre spalle dove c’era il bivacco, sembravano talmente vicine che ci venne la voglia di andare anche lì. Poi  però abbandonammo l’idea, perché il nostro vicino ci disse che il tempo di percorrenza era di un altro paio d'ore.
Però non volevo scendere da quella meravigliosa cima senza aver messo i miei piedi proprio in quel piccolo spiazzo di roccia del Becco di Filadonna, cosi mi feci coraggio e attraversai quel piccolo sentiero di circa una trentina di metri, tenendomi alla corda di acciaio e lo raggiunsi; anche da lì  la vista era meravigliosa, gli occhi mi si sgranavano, sentivo l’aria che mi asciugava le pupille.
Ad un certo punto quasi per caso vidi un piccolo aereo che “non era un aliante” e volava molto più basso della nostra altezza, lo vedevo bene e distinguevo la parte superiore delle sue ali, cosa che non mi era mai successo nella mia vita vedere un aereo da sopra. 
Qualche cosa però mi incuriosì, c’era una cosa che non era nella normalità, vedevo l’aereo che svolazzava, lì sotto, ma stranamente non sentivo il rombo del suo motore, anche se qualche volta si vedeva che faceva delle virate e delle ascese. Questa strana sensazione mi rimase nella mente e ancora adesso non ne conosco la ragione.
Dopo aver mangiato i nostri buonissimi panini e bevuto l’acqua che avevamo portato, decidemmo di riprendere il sentiero per il ritorno. Dopo essere scesi  da quella parete che prima avevamo scalato e ripreso il normale sentiero del ritorno, inciampai in un grosso sasso e caddi rovinosamente  su uno spuntone di mugo spezzato prendendo un forte colpo sulla schiena; rimasi per qualche attimo come paralizzato, con un fortissimo dolore alla schiena, non riuscivo più ad alzarmi, mia moglie preoccupata mi si avvicinò e piano piano mi aiutò ad alzarmi, dovetti fare una sosta più lunga del solito per riprendermi. Riprendemmo dunque la discesa con più cautela per non cadere una seconda volta. Arrivammo al rifugio Casarotta che era già pomeriggio inoltrato, facemmo una pausa sulle panche dove ci eravamo fermati il mattino per riprendere un po’ di forze, poi continuammo ancora la discesa, arrivando al parcheggio che erano le 17.30 circa.
Molto soddisfatti di quella camminata ci guardammo e mia moglie mi abbracciò, penso sia stato un abbraccio per dirmi “bravo, ma sentii che essendo sulle punte le sue gambe tremavano come fosse seduta sopra ad un martello pneumatico, da lì capii che anche lei era proprio stanca.
Ancora oggi quando dalla fontana dei Lucca guardo quella montagna, rivivo ogni volta questa giornata meravigliosa.

Nico Sartori


13 commenti:

  1. Bella avventura, Nico. Tua moglie, poveretta, l'hai massacrata doppiamente in questa "scampagnata" con caduta.
    Ma dopo, a casa, quando si è ripresa...! :-)))
    L'aereo con ogni probabilità stava "lottando" con le correnti!

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    1. Caro Alago, te poso dire che seben che xero pi xovane e prestante la xe stà proprio dura. El sentiero nol xera miga come quelo che ga traccià la forestale i sti ultimi anni, ma ben più irto

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  2. Scolta Nico, .. te ve sul Portule e te te perdi, .. sula Vigolàna e te te insàchi e te ris-ci de copàrte. Vardare la television in poltrona con la covertina sui denoci, no vero?
    Varda che scherso setu,.. ti seita scrivere (ogni tanto bion anca che leche, sonò me parè fora). Pensete che mi da boceta a navo da quele parte col me poro sàntolo che el taiava bosco, alora i disèa "Nemo in Scanùcia" Dò in te la busa ghe xe ancora El Palasso, la gran malga dei Trapp. Desso ghe sarà solo sidrùni e rododendri.

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  3. Gino de Giani Minai3 maggio 2013 alle ore 20:37

    Caro Nico(& Anna)

    Mai mi avevi detto di aver fatto il becco... io l'ho fatto dalla parte del bivacco Vigolana e poi giù per il Casarotta, sinceramente uno dei trekking più duri che abbia mai fatto, ci vediamo domani o dopodomani per un caffè ai Lucca un Abbraccio Gino

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    1. Ben dai compaesa che la prossima volta che se trovemo davanti magari a dun calice de Clos Domethia, a te conto tutte le me aventure dealta montagna.

      Ciao se sentemo

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  4. Ben valà cio',che te si sta bravo a farle..ma adesso ti si ancora piu' bravo a contarle!!!
    Tanto de capelo,ti si sta coraggioso ......

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    1. E ma ti menoncia te lo se che a son bravo a fare tante robe giusto. Sopratutto al fugassa, come quela che te ghe saggià da Pasqua

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  5. sinistroso inpenitente4 maggio 2013 alle ore 01:55

    Mi Sponcio, me gavaria spetà da ti:"Bravo Nico,ti te ghe fato ..el Beco di Filadona...e mi a go fato in bicicleta Scanuppia(in italian,scritto sula tabela)malga Palazzo( dei TRAPPP cio')che xe la salita piu' dura del mondo!!Saria sta una gran bala ma certe te lo gavaria credesto tanto che te se contarle ben. Mi el Beco de Filadonna a me lo go pagà do volte in quisti ultimi diese ani.Una volta con tri matti che i me ga fatto tanto correre,che me parea d'essere riva ancora prima de essere partio!!!Qualche ano fa,con dei parenti,semo partie piano, piano ,macchine fotografiche a tracolla,riposini,bibite fresche,panini ,una cosa de lusso!!!!!
    Gera quasi notte quando ca semo rivà a casa!!! Ma quanto che xe sta belo !!!!!!!

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    1. Sponcio no fa mai quel che te te speti ch'el fassa.

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  6. Carissimi Nico e Anne come sempre riuscite a farmi viaggiare nei posti meravigliosi dove non posso andare!!!! Sono contenta che il "nostro giorno" si sta avvicinando e vi aspetto con tanta emozione, salutoni affettuosi Floriana

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    1. E si dai Florianna, finalmente tra un po' ci ritroveremo. Non so quanti anni siano passati dall'ultima volta che ci siamo visti, ma suppongo tanti.
      Anche se non ci puoi andare prova ad immaginare come possono essere questi meravigliosi posti.
      Ciao e grazie

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  7. A mì me vien le vertigini solo a léserlo...

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