lunedì 6 maggio 2013

I "Menònce"



Per molti versi la ricostruzione di Lino sul post "I Lucca" pubblicato ieri, è parecchio interessante. 

Lino è il nostro più antico testimone, prezioso  e appassionato tramandatore delle vecchie storie che la nostra generazione non ha potuto cogliere. 

Qualche volta polemizziamo amichevolmente in merito, dato che io sono assai cauto sull'attendibilità delle fonti orali non documentabili. 

Ho infatti potuto accertare che alcune delle tradizioni riguardo la provenienza delle nostre genti, poi riportate nei libri di storia locale, siano errate, inattendibili, o del tutto fantasiose. 

Questo soprattutto perché le fonti documentali, specie le più antiche, sono rare, frammentarie e assolutamente reticenti al riguardo. In questo contesto ognuno può sostenere ciò che vuole, sicuro di non poter essere efficacemente confutato. Ho però anche considerazione di come in passato si sia articolata la tradizione orale, con modi e forme tali da preservarne l’aderenza alla fonte originaria: è così infatti che si è tramandata la nostra civiltà fino e anche oltre l’avvento della scrittura. I miti fondativi classici furono trasmessi oralmente per secoli, prima di venire immortalati dalla parola scritta: e nel tramando orale la fedeltà alla matrice era sacrosanta.

Veniamo dunque all’asserita origine magiara dei Lucca. Essa è talmente fantasiosa e stramba da essere incredibile; ed è appunto per questo che merita considerazione. Come per i Vangeli l’elemento della incongruenza del dato rispetto al fine ne avvalora l’autenticità, così anche questa storia merita certamente una seria riflessione.
Molti soprannomi delle famiglie di San Piero che conosciamo, risalgono per lo più al secolo scorso o al massimo alla seconda metà dell’ottocento, quando si ebbe una importante crescita demografica e anche l’insediamento di nuove famiglie dai paesi limitrofi.  Allora anche i soprannomi prosperarono per differenziare le varie famiglie del  medesimo ceppo.

Prima d'allora invece, la popolazione rimase sostanzialmente stabile, con incrementi progressivi, ma marginali; anche a causa delle frequenti epidemie e carestie.  Così anche  i soprannomi furono per lungo tempo i pochi soliti. La menda più antica e strana che ho trovato è "Menonchie", che identificava le famiglie Lucca (o Luca, come si scriveva allora). A differenza delle altre, che evocavano comunque nomi o attributi, in veneto o in cimbro, Menònchie (ora corrotto in Menònce) non significa niente, non assomiglia a nessun vocabolo noto, non dice assolutamente nulla. 

Fino alla fine del cinquecento, pare che la contrà Lucca non esistesse. Nessuna famiglia Luca o Lucca è menzionata nel Lodo Piovene del 1578, che riportava tutti i capifamiglia terrieri della Villa. 

Però dal seicento in poi i Lucca esplosero, diventando in breve una delle schiatte più numerose del paese. Questo è invero un fatto un po' strano per l'epoca: da dove provenivano?
Sul post del  14 agosto scorso (Brandelli di Storia Patria: San Pietro approva il Lodo Piovene), avevo cercato di giustificare questo fatto ipotizzando la discendenza dei Lucca da quel "ser Luca q. Toldo" menzionato nell'elenco dei capofamiglia. Luca era allora un nome piuttosto inconsueto dalle nostre a parti e, come spesso avviene, potrebbe essere stato attribuito alla sua discendenza. Si tratta ovviamente solo di una supposizione, in mancanza di argomenti più convincenti.

Ora mi chiedo: quanto è verosimile la storia raccontata da Lino circa l’origine dei Lucca da una coppia di profughi magiari (ungheresi)?  
Dopo un iniziale assoluto scetticismo, peraltro manifestato anche a Lino, devo dire che mi sto ricredendo. Se la posticipiamo di qualche decennio (il dato temporale è spesso quello più labile nella trasmissione orale), la storia potrebbe anche essere verosimile.


Nel 1526, la sconfitta nella battaglia di Mohács contro l’esercito ottomano, fece del Regno d’Ungheria, (che allora comprendeva ben più vasti territori degli attuali) terra di conquista per i turchi, creando sconcerto nella popolazione e spingendo molti a fuggire verso territori cristiani, in primis quelli confinanti degli Asburgo.  


Non è quindi improbabile che una famiglia magiara avesse girovagato per l’Europa centrale in cerca di rifugio, finendo finalmente dalle nostre parti. Proveniva forse dall’Impero attraverso le Sléche: un percorso decisamente impervio e faticoso, date le condizioni della donna.
In lingua magiara i vocaboli Profugo e Rifugiato si traducono “Menekült” dove "menő" ha il significato di movimento, andare … da lì alla trasposizione in Menònchie, … il passo non è lungo (anche rifugio/asilo=menekültügyi; nella pronuncia madre può prefigurare, alterato dall'assimilazione locale, quel soprannome).

Forse l’uomo, oppure quel figlio si chiamavano Lukács, nome che passò ad indicare la stirpe.

Nel sito attuale di contrà Lucca allora non c’era nessun insediamento stabile, forse quei declivi erano coperti da radi boschi cedui, ma più verosimilmente da incolti pendii franosi e dilavati (com'erano le vicine Rive prima che  nel 1850 fossero terrazzate e ridotte a coltivazione), dato che altrimenti sarebbe stato improbabile che i sanpieròti avessero lasciato quelle terre ai nuovi arrivati.

L’attenzione dei paesani verso il cavallo (che dovette essere animale assai raro in zona) e la proposta di scambio di quel bene prezioso è parimenti un dettaglio che dà colore e valore alla storia (va anche considerato, ma qui siamo alle libere supposizioni, che il termine magiaro indicante in cavallo è = Mén. Magari fu la trattativa per il cavallo a fissare il soprannome)
Il motivo per cui il magiaro si diresse su per la montagna col cavallo e la moglie incinta, lasciando il carretto al bivio, non è dato a sapere. 

E' lecito supporre che gli abitanti della Rocchetta inizialmente non videro di buon occhio questi malconci stranieri e li respinsero; poi magari la pietà o la curiosità ebbero il sopravvento e così salirono a controllare…

Il maestro Giulio Lucca, come giustamente osserva Lino, non era un paesano ignorante da prender per buone acriticamente le storie dei filò; deve aver certamente riflettuto sia sulla solidità del racconto sia sulla credibilità e buona fede di chi gliel’aveva trasmesso. 
D’altra parte, se voleva inventare qualcosa sulle origini della propria schiatta, poteva, come spesso accade, trovare origini più  nobili e credibili, ne aveva sicuramente i mezzi intellettuali. 
Il fatto che l’abbia rivelato in confidenza di fronte a un bicchiere, forse certifica ulteriormente la sua consapevolezza sull’incredibilità del racconto e quindi la sua intrinseca veridicità.

In conclusione, tralasciando una volta tanto l’impossibile approccio scientifico e documentale e fidandomi delle sole prove indiziarie, sarei propenso a dare credito a questa strana storia sull’origine dei Lucca e ringrazio il baldo Lino Bonifaci Baise per avercela trasmessa.


Gianni Spagnolo


8 commenti:

  1. Gino de Giani Minai7 maggio 2013 alle ore 11:42

    Sempre molto interessante caro Coscri...bravo

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  2. un gusto leggere ste robe, chissa che un giorno venga scritto un libro dal titolo" la vera storia delle genti della valdastico" o qualcosa di simile, forza jani comincia a scrivere appunti... ciao

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    1. Grazie; c'è già un post pronto.
      Sui Lorenzi sto verificando un collegamento col Magnifico,.. con tutti gli esiliati che hanno fatto a Firenze a quei tempi,.. vuoi mai che uno non sia finito a San Piero a svegràr vanéde, come Dante. Così ti metto tra gli oriundi etrusco-latini, insieme a Lino e non rischi mescolanze con la gentaglia slàpara.

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  3. Tutti i nomi della "Villa" di San Pietro in Val d'Astico prima del settecento sono nomi di
    famiglie di origine Italiana(intendiamoci:veneti ,toscani etc). Parlavano il veneto,non avevano nessun rapporto con gli abitanti di Rotzo,se non per darsi qualche legnata negli Aldere,e nel bosco in montagna.Fino al 1578---LODO PIOVENE---.Dipendevano prima, dal monastero,dal comune di Padova ed infine dal comune di Vicenza a cui pagavano le tasse.A mia conoscenza a Sanpiero non si é mai e po mai parlato cimbro.Si parlo' qualche parola,in seguito all'invasione di "capelani" venuti dagli Altopiani!!!! Pero' se uno crede che i Sartori fiorentini,si siano trasformati in cimbri--Snaider--ad Asiago, per poi ritornar Sartori...

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    1. Caro Lino, sulle ascendenze dei Sartori, che peraltro erano documentati in valle fin dal 1400, son d'accordo con te. Meglio restare coi piedi per terra.
      Sul resto bisogna andarci molto cauti trattandosi di vicende vecchie di almeno mille anni sulle quali le rinimiscenze recenti, foss'anche di un paio di secoli, non sono idonee a definire certezza.
      Se leggi p.e. gli affidatari dei mansi di Rotzo nel 1200 non troverai nessun nome tedesco, ..eppure..

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    2. Angò mia capìo, com'ela sta storia dei Sartori?
      Sta tento a no tacàr a meter in discussion le tre fulgide "S" dela vale setu!
      Sul cimbro me sa che ghe xe robe che te scapa, o fursi che la to rassa ga desmentegà massa in pressa. Par quel ca so mi e de la me gente, me cato in quel che ghi scrito nela vulgare eloquentia.

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  4. Come volevo dimostrarti.Io credo molto dipiu' a quello che mi ha raccontato mio zio che a sua volta glielo aveva raccontato suo nonno etc. etc.che a tutti i Maccà,i Dal Pozzo e i Toldo!!!che raccontano la STORIA" ad usum Delphini."Nulla è certo,sicuro!!ma è per questo che io preferisco credere a uno dei miei che mi racconta cose tramandate di bocca in bocca.

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    1. Sono in tanti Lino a raccontare la Storia ad usum Delphini; anche chi lo fa oralmente però, può incorrere ancor più facilmente in questa categoria. Vale dunque sempre il principio della cautela e della pluralità dei riscontri. Ad onor del vero, forse gli unici autori che meno di tutti hanno indugiato in questo pregiudizio sono proprio i citati abati Dal Pozzo e Maccà. Sono anche i pochi che le carte antiche le hanno davvero studiate di persona, con un lavoro certosino e lungo una vita. Il Dal Pozzo, che aveva tutti gli strumenti per ergersi a maestro: epocali, culturali, linguistici e di accesso documentale, con una serietà e umiltà rare per l'epoca, formulò delle ipotesi, ma lasciò al lettore farsi la propria opinione. Il Maccà scrisse con attenzione alle chiese e incidentalmente registrò notazioni di carattere civile: è appunto per questo che sono attendibili.

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