Anticamente Villaga era chiamata col
termine latino "Viraga", presente nel Regesto del 1262 e negli Statuti
del 1275 e citato in vari documenti della seconda metà del secolo XIII.
Secondo la tradizione, il toponimo deriva forse da "viridum", verde,
riferito alla conca verde in cui si trova il paese, adagiato ai piedi
dei Colli Berici.
Le origini di Villaga appaiono legate al
periodo longobardo, confermate dalla dedicazione della chiesa
parrocchiale a S. Michele Arcangelo. I Longobardi, infatti,
riconoscevano nell'Arcangelo S. Michele armato il patrono del loro
sentimento cavalleresco. Probabilmente Villaga venne fondata dopo che
Vicenza divenne sede di uno dei 36 ducati del regno longobardo. In un
documento del 1066 e in uno successivo del 1268, Villaga risulta
compresa nella curia di Barbarano. La chiesa parrocchiale era infatti
un'antica cappella della vicina pieve di Barbarano; più tardi divenne
matrice della chiesa e parrocchia di Santa Lucia di Pozzolo.
Storicamente il Comune di Villaga nacque
in seguito alle modifiche che riguardarono l'ordinamento del territorio
vicentino a partire dal Duecento, epoca in cui venne smembrata la
giurisdizione di Barbarano e furono creati i tre Comuni autonomi di
Barbarano, Mossano e Villaga.
Fin dal secolo XIII i Conti Barbarano,
antichi feudatari della Chiesa vicentina, avevano vasti possedimenti
nella zona compresa tra Barbarano, Villaga e Sossano. Di questa nobile
famiglia, tra le più antiche del Vicentino, rimane a Villaga il simbolo
che tuttora lo contrassegna: lo stemma araldico, identico a quello degli
antichi padroni, raffigurante il leone illeopardito con la coda
biforcata e rampante di nero.
Nel territorio di Villaga possiamo
annoverare anche la presenza significativa di ordini cavallereschi quali
i Templari e i Cavalieri di Malta. Essi fondarono due ospizi, in
soccorso dei pellegrini che, passando per la Riviera Berica, intendevano
imbarcarsi a Venezia per raggiungere la Terrasanta o recarsi a Roma
attraverso la via Romea e l'Appennino. E' certo infatti - come sostiene
lo studioso Antonio Verlato - che a Villaga esistevano due "mansio" o
ospedali, uno detto di S. Silvestro, presso l'omonima villa, con
chiesetta verso la contrada di Noseo; l'altro, detto di S. Giovanni
Decollato, un tempo esistente in località Motta, sopra le colline di
Toara. Si può pertanto sostenere che tali istituzioni religiose siano
sbocciate dalla capillare presenza dell'ordine benedettino nell'area del
Basso Vicentino, fin da epoche precedenti al Mille.
Il Comune di Villaga ha istituito nel 2012 il registro delle denominazioni comunali a cui iscriverà a breve due prodotti :
El rampùssolo de Vilàga e i bisi de Possòlo.
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Ogni anno a Pozzolo di Villaga la primavera è
annunciata dalla raccolta dei "BISI". I buoni piselli di Pozzolo,
infatti, arrivano presto, favoriti dalla particolare composizione del
suolo e da un clima ideale.
Qui, su questo grande altopiano dei Colli Berici,
l’esposizione al sole e le coltivazioni su rive o terrazzi in "costiera"
- sempre miti anche nelle fredde giornate d’inverno - permettono una
produzione precoce e soprattutto conferiscono ai bisi de Possòlo un
sapore davvero unico.
Non a caso nel passato si tenevano a maggio veri e
propri mercati, con acquirenti "forestieri" che andavano poi a vendere i bisi nelle città vicine, per la delizia dei palati di tanti
buongustai.
Una tradizione, quella della coltivazione dei
piselli, che non è andata perduta, anzi. I buoni, e delicatissimi bisi
de Possòlo rimangono il migliore condimento per le tajadéle de casa, e
il caratteristico risi e bisi è ancor oggi un piatto richiestissimo.
Queste ed altre specialità si possono assaporare, nel rispetto della
tradizione, in tante trattorie del territorio, che ancor oggi
privilegiano una cucina tipica, semplice e genuina.
L’Amministrazione Comunale continua il proprio
impegno nella valorizzazione di questo prelibato prodotto e più in
generale, del territorio collinare, promuovendo il mese dei bisi de
Possòlo; tra maggio e giugno saranno loro i protagonisti dei menu nei
locali di Villaga, Toara e appunto, Pozzolo, in un suggestivo viaggio
gastronomico nel nostro territorio.
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Dalla favola dei fratelli Grimm che
tutti i bambini almeno una volta si sono sentiti raccontare, ad una
versione di successo nientemeno che della Barbie, ovvero la più celebre
bambola al mondo. Strano destino, quello del raperonzolo, nome latino Campanula rapunculus L.,
celebre grazie alla protagonista di una favola, e non sicuramente per
merito della croccantezza della sua radice che nel gusto ricorda molto
la dolcezza della noce e della nocciola.
Tanto per chiarire, si tratta
probabilmente dell’erba spontanea più pregiata che esista in Italia, di
sicuro nel Veneto, viste le cifre a cui viene venduta. Al tempo stesso
però è anche una delle meno conosciute, se è vero che soltanto in poche
zone - tra cui il vicentino - il consumo non è limitato a rari
appassionati, ma ha una sua diffusione.
Il “rampusolo”, come
viene chiamato nel Vicentino, cresce ai margini dei vicoli di campagna e
delle strade, fino ad 800-1.000 metri di altezza, e già d’inverno la
sua bianca radice è sviluppata nel terreno, talvolta piccola e tonda,
quando fa più fatica ad affondare, altrimenti - se la terra è tenera -
più lunga e affusolata.
Il raperonzolo, pianta erbacea annua o
biennale appartenente alla famiglia delle Campanulacee, è una delle
moltissime specie del genere Campanula presenti nella nostra
flora spontanea. I suoi fiori, dalla corolla blu o lilla a forma di
campanella, hanno suggerito il nome del genere che deriva dal latino e
significa piccola campana. Il nome rapunculus (dal latino rapa) è derivato, invece, dall’uso culinario che si è sempre fatto della sua radice.
Le prime ad essere
raccolte sono le rosette basali delle foglie con le radici sottili, che
si mangiano crude in insalata; sul finire dell’inverno si
raccoglieranno, invece, le radici ormai ingrossate che si consumeranno
cotte, da sole o assieme alle foglie, e condite come tutte le altre
radici. Il sapore dolciastro e gradevole di queste ultime è dovuto al
fatto che le riserve, come in genere in tutte le Campanulacee, sono
costituite da inulina anziché da amido. Quando poi appariranno, si
potranno gustare anche i fiori. Queste graziose campanelle si possono
infatti includere nell’elenco dei fiori commestibili che, con le loro variopinte corolle, rendono gradevoli alla vista le “misticanze” esaltandone anche il sapore.
Se
trovarle e raccoglierle non è semplice, pulirle a casa lo è ancora
meno: le foglie più belle vanno isolate e le radici, anche quelle di
pochi centimetri vanno grattate una per una senza staccarle dalle
foglioline per togliere la pellicina che avvolge la rapa e che ne limita
la croccantezza.
La ricetta classica, prevede che si debba passarli velocemente
nell’acqua calda, scolarli e condirli con una battuta di lardo bollente e
una spruzzata di aceto balsamico insieme a del salame fresco cotto alla
brace e polenta di mais marano.
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Prima o poi, senza andare a Villaga, li troverò anche io questi rampunsoli!
RispondiEliminaVerso agosto, quando le campanelle fioriscono, è facile individuarli... ma alla fine dell'inverno, con quelle foglie tanto simili ad altre, mi pare dì... a meno di farsi una "mappa" di dove si sono incontrati mentre erano in fiore.
Dubito che siano mangiabili allora, ho provato ad "estirparne" uno in fiore... pareva un fil di ferro!
Ma chi li ha assaggiati ne parla gran bene!
Ce ne sono, o non ce ne sono da noi???