domenica 12 maggio 2013

I prodotti de.co Vicentini: el rampùssolo de Vilàga e i bisi de Possòlo


Villaga
Anticamente Villaga era chiamata col termine latino "Viraga", presente nel Regesto del 1262 e negli Statuti del 1275 e citato in vari documenti della seconda metà del secolo XIII. Secondo la tradizione, il toponimo deriva forse da "viridum", verde, riferito alla conca verde in cui si trova il paese, adagiato ai piedi dei Colli Berici.

villaga


Le origini di Villaga appaiono legate al periodo longobardo, confermate dalla dedicazione della chiesa parrocchiale a S. Michele Arcangelo. I Longobardi, infatti, riconoscevano nell'Arcangelo S. Michele armato il patrono del loro sentimento cavalleresco. Probabilmente Villaga venne fondata dopo che Vicenza divenne sede di uno dei 36 ducati del regno longobardo. In un documento del 1066 e in uno successivo del 1268, Villaga risulta compresa nella curia di Barbarano. La chiesa parrocchiale era infatti un'antica cappella della vicina pieve di Barbarano; più tardi divenne matrice della chiesa e parrocchia di Santa Lucia di Pozzolo.
Storicamente il Comune di Villaga nacque in seguito alle modifiche che riguardarono l'ordinamento del territorio vicentino a partire dal Duecento, epoca in cui venne smembrata la giurisdizione di Barbarano e furono creati i tre Comuni autonomi di Barbarano, Mossano e Villaga.
Fin dal secolo XIII i Conti Barbarano, antichi feudatari della Chiesa vicentina, avevano vasti possedimenti nella zona compresa tra Barbarano, Villaga e Sossano. Di questa nobile famiglia, tra le più antiche del Vicentino, rimane a Villaga il simbolo che tuttora lo contrassegna: lo stemma araldico, identico a quello degli antichi padroni, raffigurante il leone illeopardito con la coda biforcata e rampante di nero.
Nel territorio di Villaga possiamo annoverare anche la presenza significativa di ordini cavallereschi quali i Templari e i Cavalieri di Malta. Essi fondarono due ospizi, in soccorso dei pellegrini che, passando per la Riviera Berica, intendevano imbarcarsi a Venezia per raggiungere la Terrasanta o recarsi a Roma attraverso la via Romea e l'Appennino. E' certo infatti - come sostiene lo studioso Antonio Verlato - che a Villaga esistevano due "mansio" o ospedali, uno detto di S. Silvestro, presso l'omonima villa, con chiesetta verso la contrada di Noseo; l'altro, detto di S. Giovanni Decollato, un tempo esistente in località Motta, sopra le colline di Toara. Si può pertanto sostenere che tali istituzioni religiose siano sbocciate dalla capillare presenza dell'ordine benedettino nell'area del Basso Vicentino, fin da epoche precedenti al Mille.

Il Comune di Villaga ha istituito nel 2012 il registro delle denominazioni comunali a cui iscriverà a breve due prodotti :
El rampùssolo de Vilàga e i bisi de Possòlo.

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I bisi di Pozzolo

Ogni anno a Pozzolo di Villaga la primavera è annunciata dalla raccolta dei "BISI". I buoni piselli di Pozzolo, infatti, arrivano presto, favoriti dalla particolare composizione del suolo e da un clima ideale.
Qui, su questo grande altopiano dei Colli Berici, l’esposizione al sole e le coltivazioni su rive o terrazzi in "costiera" - sempre miti anche nelle fredde giornate d’inverno - permettono una produzione precoce e soprattutto conferiscono ai bisi de Possòlo un sapore davvero unico.
Non a caso nel passato si tenevano a maggio veri e propri mercati, con acquirenti "forestieri" che andavano poi a vendere i bisi nelle città vicine, per la delizia dei palati di tanti buongustai.

pisellli.pozzolo


Una tradizione, quella della coltivazione dei piselli, che non è andata perduta, anzi. I buoni, e delicatissimi bisi de Possòlo rimangono il migliore condimento per le tajadéle de casa, e il caratteristico risi e bisi è ancor oggi un piatto richiestissimo. Queste ed altre specialità si possono assaporare, nel rispetto della tradizione, in tante trattorie del territorio, che ancor oggi privilegiano una cucina tipica, semplice e genuina.
L’Amministrazione Comunale continua il proprio impegno nella valorizzazione di questo prelibato prodotto e più in generale, del territorio collinare, promuovendo il mese dei bisi de Possòlo; tra maggio e giugno saranno loro i protagonisti dei menu nei locali di Villaga, Toara e appunto, Pozzolo, in un suggestivo viaggio gastronomico nel nostro territorio.


 
Il rampuzzolo de Villaga

Dalla favola dei fratelli Grimm che tutti i bambini almeno una volta si sono sentiti raccontare, ad una versione di successo nientemeno che della Barbie, ovvero la più celebre bambola al mondo.
Strano destino, quello del raperonzolo, nome latino Campanula rapunculus L., celebre grazie alla protagonista di una favola, e non sicuramente per merito della croccantezza della sua radice che nel gusto ricorda molto la dolcezza della noce e della nocciola.
Tanto per chiarire, si tratta probabilmente dell’erba spontanea più pregiata che esista in Italia, di sicuro nel Veneto, viste le cifre a cui viene venduta. Al tempo stesso però è anche una delle meno conosciute, se è vero che soltanto in poche zone - tra cui il vicentino - il consumo non è limitato a rari appassionati, ma ha una sua diffusione.

Il “rampusolo”, come viene chiamato nel Vicentino, cresce ai margini dei vicoli di campagna e delle strade, fino ad 800-1.000 metri di altezza, e già d’inverno la sua bianca radice è sviluppata nel terreno, talvolta piccola e tonda, quando fa più fatica ad affondare, altrimenti - se la terra è tenera - più lunga e affusolata.
Il raperonzolo, pianta erbacea annua o biennale appartenente alla famiglia delle Campanulacee, è una delle moltissime specie del genere Campanula presenti nella nostra flora spontanea. I suoi fiori, dalla corolla blu o lilla a forma di campanella, hanno suggerito il nome del genere che deriva dal latino e significa piccola campana. Il nome rapunculus (dal latino rapa) è derivato, invece, dall’uso culinario che si è sempre fatto della sua radice.
Le prime ad essere raccolte sono le rosette basali delle foglie con le radici sottili, che si mangiano crude in insalata; sul finire dell’inverno si raccoglieranno, invece, le radici ormai ingrossate che si consumeranno cotte, da sole o assieme alle foglie, e condite come tutte le altre radici. Il sapore dolciastro e gradevole di queste ultime è dovuto al fatto che le riserve, come in genere in tutte le Campanulacee, sono costituite da inulina anziché da amido. Quando poi appariranno, si potranno gustare anche i fiori. Queste graziose campanelle si possono infatti includere nell’elenco dei fiori commestibili
che, con le loro variopinte corolle, rendono gradevoli alla vista le “misticanze” esaltandone anche il sapore.

Se trovarle e raccoglierle non è semplice, pulirle a casa lo è ancora meno: le foglie più belle vanno isolate e le radici, anche quelle di pochi centimetri vanno grattate una per una senza staccarle dalle foglioline per togliere la pellicina che avvolge la rapa e che ne limita la croccantezza.

Immagine

La ricetta classica, prevede che si debba passarli velocemente nell’acqua calda, scolarli e condirli con una battuta di lardo bollente e una spruzzata di aceto balsamico insieme a del salame fresco cotto alla brace e polenta di mais marano.

 

1 commento:

  1. Prima o poi, senza andare a Villaga, li troverò anche io questi rampunsoli!
    Verso agosto, quando le campanelle fioriscono, è facile individuarli... ma alla fine dell'inverno, con quelle foglie tanto simili ad altre, mi pare dì... a meno di farsi una "mappa" di dove si sono incontrati mentre erano in fiore.
    Dubito che siano mangiabili allora, ho provato ad "estirparne" uno in fiore... pareva un fil di ferro!
    Ma chi li ha assaggiati ne parla gran bene!
    Ce ne sono, o non ce ne sono da noi???

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