Non ci volle molto a saperlo, in paese le voci volano basse e
veloci, dalla panchina qualcuno lanciò la sfida, ma… torniamo all’inizio della
storia.
Il pomeriggio festivo non prometteva niente di nuovo, nuvoloni neri si
addensavano sopra Tonezza e il tuffo nelle acque gelide del Gorgo era rimandato
a giorni migliori.
Dopo aver ascoltato
un disco nella sala del biliardo e aver vinto la battaglia tra tilt e punti
del flipper, la panchina vicino alla
fontana ci offrì il riposino
pomeridiano, fatto di chiacchiere e stupidaggini varie. Una decina di ragazzi,
tutti della piazza e dintorni, a parlare di calcio e di altre amenità;
il Moro
Lusso mandò la sorella Orsola a intimarci il silenzio, el moro zé in
leto... parlè pian... povera Orsola quante parole oscene alle spalle.
Fulgido
cominciò a produrre gelato con la macchina vicino alla porta del bar, era
sempre un bel vedere, quella crema profumata di fresco e di latte ci dava felicità e le cinquanta lire,
paghetta della nonna Togna, finirono nelle mani del gelataio, ma che buono che era.
Ci arrivò alle orecchie una notizia tragica, una brutta caduta dalla vespa
tolse la vita a un uomo della zona e come era prassi del tempo, non fu portato
in ospedale, ma ricomposto nella cappella
del nostro cimitero.
Le menti assonnate e annoiate di quel pomeriggio
partorirono l’idea di andare a vedere il povero defunto, il problema era come e in che modo ci si poteva avvicinare alla salma, visto che immaginavamo
che la cappella fosse chiusa.
Con curiosità e baldanza, tutta la truppa si
incamminò verso il cimitero e arrivati al cancello, notammo con sorpresa che non
c’era nessuno nei paraggi. In silenzio e in fila indiana ci avvicinammo alla
porta della cappella. Nico aprì la pesante porta, in un silenzio tombale
entrammo tutti al cospetto di don Antonio ma lo sfortunato vespista non era lì,
bisognava aprire un’altra porta, quella
della cella mortuaria. Il coraggioso Nico abbassò la maniglia,il cigolio
delle cerniere ci annunciò che la porta era aperta, ritornammo tutti due passi
indietro, nessuno aveva il coraggio di avanzare, qualcuno aveva intravisto che
il cadavere era coperto da un lenzuolo di colore scuro, bisognava avere il
coraggio di togliere questa coperta, al momento eravamo timorosi e impauriti ma
dovevamo finire la missione. L’amico Daniele si propose volontario e ci sfidò,
nessuno si oppose.
Tenendoci per mano formammo una fila indiana, Daniele
davanti, Nico secondo, io terzo, lo sguardo avanti e le gambe pronte a una
picchiata verso l’esterno, il resto della combriccola rideva e si avvicinava.
Nella penombra di quella squallida stanza ci avvicinammo al letto di marmo, non
respiravamo, lentamente la mano del primo si avvicinò al viso dell’uomo, prese
un lembo della coperta e tirò verso se stesso, la coperta tirata verso di noi
fece sì che la testa dello sfortunato vespista si reclinasse di scatto dalla
nostra parte; da questo punto in poi non ricordo più
niente, solo che in pochissimi secondi eravamo già in piazza sconvolti e
inebetiti, la paura ci fece correre come dei pazzi , non sentendo che eravamo
nel mezzo di un forte temporale estivo. Ripensandoci ora, quanto sciocchi si era..., ma quanto liberi eravamo allora!...
Piero Lorenzi
Un altro po' che ce ne racconti, ti mettono a Gaeta e buttano via le chiavi
RispondiEliminaE dai, a Gaeta. Piero non è mica militare, al massimo lo affiderebbero ai servizi sociali, lo metterebbero ai domiciliari o ai lavori socialmente utili, .. come pulire la Singela.
EliminaPiero il giorno 2 giugno hai visto che c'è da pulire la singela! arrivi a fagiuolo!
EliminaLa miseria aguzza l'ingegno. Erano tempi che bisognava inventarsi la vita ed eravamo maestri nel farlo. Adoperavamo quello che avevamo a disposizione condito dall'incoscienza di quell'età meravigliosa. Ora NON si divertono al nostro pari caro Piero te lo garantisco io. Mi fanno pena, non per colpa loro però.
RispondiEliminaIl ricordo dei tempi passati ci fa pensare a periodi in cui ci si divertiva molto di più, forse è dovuto al fatto che eravamo + giovani e carichi di speranze...
RispondiEliminaHo nitido il ricordo del tipico odore del bar da Fulgido quando andavo a prendermi il cono da 30 lire quando andava bene o quello da 20. I gusti erano da contare su una mano. Nel banco c'erano dei buchi con coperchio dove c'era dentro il gelato. Era una conquista anche poter arrivare a un gelato e come lo gustavamo! Ora in piazza c'è il deserto! Che tristezza quando vengo sù e passo di là. Fortuna che c'è ancora la Marina speriamo lei resista ancora a lungo. Non so se sbaglio, ma in certi posti di San Pietro sono di più i gatti e i cani che la gente, sbaglio?
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