Avrò avuto circa 10-11 anni non di più, quindi eravamo negli
anni ‘64 -'65 non ero mai andato in
cerca di funghi in montagna, ma un giorno, Ruggero Toldo, ora Don
Ruggero, mi chiese, durante una lezione di pianoforte che mi impartiva da
qualche tempo dentro la canonica della chiesa, se avevo voglia di andare a
funghi con lui e con Angelo Sartori
“Baston”.
Io non ci pensai neanche un minuto, sognando già di uscire
dalla valle ed andare oltre i soliti panorami e i soliti luoghi.
Così una mattina mi preparai di buon’ora, vestito come un
vero montanaro, con il mio cestino di vimini sperando di riempirlo di tanta
prelibatezza. Sapevo però che andando in cerca di funghi per la prima volta e
non conoscendone le specie, avrei avuto qualche difficoltà per riempire il
cestino, ma confidavo nell’esperienza dello “zio” Angelo.
Arrivò presto lo “zio” con la sua Ford Cortina marrone
chiaro. Era di statura alta e di
corporatura grossa, guidava
sempre con il suo cappello in testa e portava occhialoni con la montatura
spessa e nera. Vestiva con una giacca da montanaro e pantaloni di velluto retti
da grosse bretelle.
Si fermò davanti a casa mia, scese ed aprì il baule della
Ford, indicandomi di metterci dentro il cestino. Mi sedetti sul sedile
posteriore, e lasciai il posto davanti a Ruggero.
Partiti, prendemmo la strada che conduce a Castelletto.
Durante il tragitto ebbi tutto il tempo per guardare la mia valle
dall’alto scoprendo ad ogni tornante
della strada, una meravigliosa veduta. Attraversammo Castelletto e ci fermammo a
Rotzo, per prendere il pane cotto nel forno a legna, dal quale usciva ancora, a
quell’ora tarda, quel profumo di pane che ora non si sente più. Lo “zio” aveva
pensato di portare qualche fetta di buona "sopressa" e un pezzo di buon formaggio, con annesso
nello zaino, anche un grosso bottiglione di vino nero.
Arrivati al piazzale Garibaldi, prima della salita che porta
a Campolongo, lo “zio” prese la strada sulla destra, quella che porta al monte
Erio, di lì in poi cambiò tre-quattro volte la direzione e in meno di mezz’ora
arrivammo in uno spiazzo, dove parcheggiò la sua Cortina.
Scendemmo tutti e tre e indossammo le nostre giacche
perché la temperatura non era più tanto estiva.
Lo “zio” parlottò con Ruggero dicendogli che lui avrebbe
preso la direzione verso il Verena: "Voi girate il bosco qui intorno e
fate attenzione a non perdervi!" aveva raccomandato a Ruggero".
Ruggero ed io così facemmo, ci inoltrammo nel bosco ed
incominciammo a perlustrare un po’ di qua e un po’ di là, ma soprattutto sotto
le piante perché lo “zio “ ci aveva detto che sotto di esse era più facile
trovare i porcini. Io a dire la verità non ne avevo mai visto uno in vita mia
quindi, ogni fungo che vedevo chiamavo Ruggero che mi dicesse se era commestibile o no.
Camminammo per qualche ora dopodiché ci dirigemmo verso il
punto di partenza, in quanto lo “zio” ci aveva dato appuntamento alle 11.30
circa dov’era parcheggiata la macchina.
Attendemmo che arrivasse anche “Zio Angelo”. Non passò molto
tempo dal nostro arrivo che sentimmo dei rami di alberi schioccare sotto il
peso dei passi di qualcuno che dopo poco sbucò dal bosco: era lui, sempre con
il suo cappello in testa e i suoi occhiali spessi neri.
Ci venne vicino e appoggiò il suo cesto vicino alla macchina,
incuriosito mi alzai e andai a curiosare cosa ci poteva essere dentro quel
cesto. Non ebbi neanche fiato per parlare nel vedere la meraviglia che conteneva: c’erano solo funghi prelibati, a
differenza di quello che avevamo trovato noi.
Il contenuto era formato da “porcini, brise, cochi e una manciata di finferli", noi invece
nel cesto avevamo, dei funghii rossi, satéle, qualche recia e un piccolo porcino che aveva trovato Ruggero. Però io non
mi ero avvilito per non aver trovato funghi, ero contento comunque per aver
avuto la possibilità di stare in un luogo nuovo, nel silenzio, ma nello stesso
tempo tra il vociare del vento quando soffiava tra le piante.
Così Angelo aprì il baule del Ford Cortina e ne estrasse lo
zaino; non vedevo l’ora di addentare quel pane fresco con magari una bella
fetta di sopressa. Questo mio desiderio non tardò molto ad
arrivare e me lo gustai piano piano.
Così fecero anche lo “zio” e Ruggero. Chiacchierammo un po’
e Angelo incominciò a raccontarci di quante volte in quei posti aveva trovato
un sacco di funghi.
La ricerca non finiva lì perché Angelo ci aveva detto che
dopo lo spuntino sarebbe andato a fare un’altra perlustrazione poco più in là nell’altro lato del bosco. Si alzò, mise tutto nello zaino e lo ripose nel
baule della macchina.
Nel chiudere il cofano sentii che lo “zio” imprecò con un
paio di mòccoli alzai lo sguardo e vidi che della chiave che teneva in mano
gli restava solo l’impugnatura, la sua testa si muoveva in segno negativo e le
sue labbra si erano serrate forse per impedire che qualche altro
mòccolo uscisse.
Fu così che la nostra caccia ai funghi finì proprio in quel
momento, lo “zio” si tolse la giacca e non essendo state chiuse le porte “per
fortuna” prese una scatoletta che conteneva degli attrezzi e cominciò ad
armeggiare sotto al volante. Io e Ruggero eravamo lì, dispiaciuti di questo
incidente, ma Angelo con il suo fare bonario ci rassicurò dicendo che di lì a
poco avrebbe risolto il problema e che sarebbe riuscito a mettere in moto la
macchina anche se la chiave d’accensione si era spezzata.
Trafficò per un bel po’ in quella posizione sdraiato sul
fianco, finché vidi che teneva in mano una sbrancà di fili elettrici e
nell’altra un piccolo pezzo di metallo a forma cilindrica; usci dalla macchina
e si sistemò seduto poco lontano da noi sotto un pino. Io ero un po’ preoccupato in quanto sapendo che la chiave
rotta era quella dell’accensione, pensavo già che avremmo dovuto tornare a casa
a piedi, e se cosi fosse stato saremmo arrivati a notte inoltrata.
Lo vidi armeggiare con questo cilindretto, lo vidi togliere
dei piccoli chiodini di metallo, poi mise in tasca la mano e ne estrasse una
chiave e tenendola stretta con la mano, con l’altra cercava di modificarla con
una piccola limetta, ad un certo punto la infilò nel cilindretto e nello stesso
tempo prese dei rametti sottilissimi secchi di pino tagliati di varie misure e
incominciò a infilarli nei buchi da dove aveva tolto quei chiodini. Ogni tanto
girava la chiave che aveva infilato nel cilindro.
Io guardai incuriosito, ma non capivo cosa stesse facendo,
ad un certo punto lo vidi sorridere: e fu quando riuscì a far girare la chiave
nel cilindretto, la girò più volte e più volte la portò nella stessa posizione.
Finché, con la mano destra sollevò la falda davanti del cappello e con grande
soddisfazione rise una seconda volta e il suo viso assunse quella espressione piena di soddisfazione. Si girò, ci
guardò e disse:
Eco, desso se pol nare a casa, nela vita ghe vole un po’ de
fantasia e tanta tanta pasiensa
Dal momento che la chiave si era rotta erano passate circa
due ore e mezza.
Riprese posizione sotto il volante e trafficò con i fili per
un’altra ½ ora, finché ne uscì ancora più soddisfatto.
Si sedette al volante, fece un attimo di pausa, sospirò
profondamente ci guardò e girò la chiave dentro il cilindretto, io, sbalordito
sentii il rombo del motore che rispondeva al comando della chiave e metteva in moto.
Grande fu il sollievo da parte mia ed archiviai le mie paure
del ritorno a casa a piedi o di dormire lì nel bosco.
Vidi che anche Ruggero era
più rilassato, al punto che chiese: ma par caso ghetu na seconda ciave dela macchina?
Angelo rispose: "No di sicuro, queste macchine sono
dotate di una sola chiave che chiude le porte e che serve anche per la messa in
moto".
Ma allora, chiese
Ruggero: "con che chiave hai messo
in moto la macchina e hai avviato il motore?"
“l a c i
a v e d e c a s a”
Io non ebbi il coraggio di dire niente, talmente rimasi sbalordito nel pensare a quale magia avesse
fatto ricorso quell’uomo.
Pensai: ma com’è possibile che una chiave di casa possa
andare bene nella serratura/cilindretto di avviamento di una macchina? Quale
marchingegno aveva escogitato quell’uomo per rimediare a quel problema?
Rimasi per anni con questa domanda, finché un giorno un po’
più grandicello passai a trovarlo a casa sua, così colsi l’occasione di
chiedergli spiegazioni in merito.
Ascoltandolo, rimasi ancora una volta sbalordito dalle sue
chiare spiegazioni e dalla pazienza con la quale mi spiegava anche i piccoli
dettagli, ascoltandolo, mi sembrava di tornare
indietro nel tempo, qualche anno
prima, quando eravamo tutti e tre ancora
in quella situazione irreale.
Non dimenticherò mai nella mia vita la genialità che si
racchiudeva in quell’uomo.
Nico Sartori
Bel ricordo d’infanzia di Nico al quale il « zio » Angelo era apparso, quel giorno li, come un dio della mitologia, tale Janus, capace di aprire tutte le porte e dunque risolvere tutti I misteri del suo mondo di bambino.
RispondiEliminaMomenti di vita che restano, poi, incisi per sempre nella nostra memoria d'infanzia.
Grandissimi ricordi che si sono stampigliati a fuoco nel mio cervello, se ci penso rivivo ogni secondo di quella giornata. Mitico "zio" Angelo
EliminaMitico? un gran fincon che el ve ga parà dal'altra parte tanto xè vero che lù le rivà co la sesta piena e valtri lo ghi vardà sù pal muso
EliminaMitico anche nel senso dei funghi, perchè poi ci invitò a casa sua per un buon risotto con i fughi.
EliminaBravo come sempre Nico...
RispondiEliminaGrazie caro "paesan" e cognonimo
EliminaCarissimo Nico, racconto bello come sempre, mi sembra di vederti nel bosco pensieroso in attesa dell'avvio della macchina e sorridente alla sua ripartenza!!!Guarda che mancano pochi giorni all'alba .............a presto Floriana
RispondiEliminaMi raccomando Florianna, non scalpitare troppo altrimenti potresti rovinare il pavimento di casa. Si certo manca poco all'alba e ti giuro che non vedo l'ora anch'io, spero di vedere tuti quelli che conosco. Ciao e a presto
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