venerdì 17 maggio 2013

I prodotti de.co Vicentini - la patata posenata e i fagioli di Posina






Posina
Lo spigolo nord-ovest della provincia di Vicenza è occupato dalla valle dell’Astico, che ha in Arsiero il suo capoluogo. Qui si stacca la strada che imbocca la valle del torrente Posina: due monti, il Priaforà e il Cimone, formano una gola, la stretta degli Stancari, che si supera in galleria; all’uscita è un nuovo paesaggio che sembra essere fuori dal tempo. La strada con qualche tornante si porta presso il torrente e poi prosegue fino al centro abitato di Castana, dove si presenta un bivio: a sinistra prosegue la valle principale, che costituisce il comune di Posina; a destra si apre quella del torrente Zara, che comprende il territorio del comune di Laghi; a dividerle è la mole dolomitica del Monte Maio (m 1500).
È un quadro in cui domina il verde e dove l’acqua è protagonista. L’acqua dei torrenti, così ricchi di trote da essere un’attrazione sportiva e aver dato rinomanza ai ristoranti della zona, ma anche l’acqua che affiora mineralizzata dalla viva roccia per esser messa in bottiglia e portare il nome delle Fonti di Posina in giro per il mondo.

 
La patata posenata
La montagna vicentina è per antica tradizione un distretto favorevole alla coltura della patata, risorsa importantissima per l’economia locale laddove cereali e altri prodotti stentano a svilupparsi.
Da varie fonti, fin dall’Ottocento, si hanno notizie delle località di rinomata coltivazione nel Vicentino. Tra queste spicca Posina, che nel 1942 il direttore dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige, il professor Enrico Avanzi, massima autorità in materia di genetica agraria, segnala come titolare di una varietà autoctona, la patata Posenata.
Questo riscontro storico è sintomatico della qualità e della continuità della produzione locale, da attribuirsi soprattutto alle condizioni pedoclimatiche della valle. Si sa che gli ortaggi prediligono i terreni freschi e ben drenati, con una presenza di materia organica adeguata alla fruttificazione.
Tutto ciò si verifica a Posina e dintorni sia nelle terre ghiaiose dei fondovalle, di formazione glaciale, sia sulle terrazze dei versanti, colmate con lo stesso terriccio, portato ad adeguata fertilità con una concimazione di letame maturo. Quanto alla tecnica di coltivazione è interessante notare come certe abitudini del passato, motivate a prima vista dall’esiguità delle terre coltivabili, vadano incontro a precise esigenze delle piante. Il riferimento è per la pratica della consociazione, per cui il fagiolo viene abbinato al mais, utilizzandone gli steli come sostegno, oppure coltivato in strisce alternate alle patate con vantaggi mutui: il legume da una parte giova alle piante consociate per la sua proprietà di cedere azoto al suolo, mentre dall’altra trae vantaggio da un impianto diradato che riduce il rischio di muffe grazie alla migliore ventilazione.
A ciò si aggiunga il ruolo dell’umidità ambientale, che a Posina risulta elevata soprattutto di notte, preziosa alleata per mantenere il terreno alla giusta freschezza evitando sia le sofferenza da siccità che eventuali eccessi nell’irrigazione.
Persa di vista la storica patata Posenata, oggi la coltura riguarda le migliori varietà moderne – Bintje, Desirée, Agria e altre – selezionate in funzione della realtà pedoclimatica locale. A tal proposito risale agli anni Ottanta una campagna di studio avviata dall’Istituto di Genetica e Sperimentazione Agraria «Strampelli» di Lonigo con la collaborazione di produttori e ristoratori locali: obiettivo, la verifica del rendimento  delle diverse varietà a seconda del luogo di produzione e della destinazione gastronomica, dalla cottura lessa a quella fritta, dalla trasformazione in purè o in gnocchi.
I risultati di quella verifica si godono ancora oggi, visto il numero cospicuo di locali – una trentina fra ristoranti, trattorie e rifugi di 8 località del comprensorio – che tengono in menù gnocchi rigorosamente casalinghi e altre specialità affini. Il principale appuntamento gastronomico è la festa della patata naturale dell'alto Astico e di Tonezza, che ha luogo nei fine settimana a cavallo tra settembre e ottobre: l’occasione è ghiotta perché si possono degustare a prezzi di favore gnocchi in cinque differenti varianti di sugo: burro e salvia, pomodoro e basilico, ragù di carne, funghi porcini e quattro formaggi.
Più avanti, l’ultima domenica di ottobre si sale per acquisti a Posina per la mostra mercato dei prodotti tipici di Posina. A patto di arrivare presto perché patate, fagioli e  quant’altro ci mettono ben poco a prendere il volo. Da segnalare, infine, la simpatica iniziativa della «Confraternita del gnoco de patate delle convalli di Posina, Astico e Altopiano di Tonezza», fondata con il nobile obbiettivo di diffondere notizia delle bontà di questi luoghi montani.
 



I fagioli di Posina

La produzione agricola di Posina ha un elemento di storico orgoglio nei fagioli, che un bollettino agronomico del 1936 elenca tra i più apprezzati sul mercato a livello nazionale.
Il riferimento è per il legume che ancora oggi va sotto il nome di Scalda, termine che potrebbe avere un significato diretto, riferito al valore nutritivo dei legumi, ma anche radici nella lingua dei Cimbri, la popolazione di stirpe germanica che nel Medioevo si insediò tra le montagne dell’Alto Vicentino.
Il testo e la foto che corredano la scheda redatta oltre settant’anni fa trovano conferma nell’osservazione diretta del prodotto. Il fagiolo Scalda ha forma globosa, dimensioni medio-piccole (12 x 8 mm) e colore bianco-livido con qualche zebrinatura verdastra che converge verso l’ombelico bianco cerchiato di giallo-arancione, mentre nel prodotto secco il colore di fondo tende al marrone chiaro e le striature al dorato.
Da osservazioni sul campo si hanno ulteriori dati su questa varietà rampicante, che supera i due metri di altezza e continua a crescere su se stessa oltre l’infrascatura; il fiore è bianco scritto di viola; il baccello è dritto e lungo circa 15 cm, contiene 5-6 semi per una produttività media di 3 kg per pianta.
In genere la coltura prosegue fino a maturazione dei baccelli senza particolari trattamenti vista la minima incidenza di malattie o quant’altro. Quanto alla conservazione, la pratica tradizionale consiste nel lasciare i baccelli a seccare sulla pianta per quanto possibile e poi stenderli al coperto su graticci, soprattutto nelle soffitte aperte e ventilate.
In passato la sgranatura avveniva poco prima del consumo o dello smercio ponendo cura nel tenere i fagioli in doppio sacchetto, di tela internamente, di carta da pane esternamente, talora infilando una posata di metallo tra i fagioli per tenere lontano le muffe o il famigerato tonchio, un tarlo che si sviluppa nel seme riducendolo in polvere.
Quanto all’utilizzo, la rinomanza del fagiolo Scalda viene tanto dal sapore, particolarmente dolce, quanto dalla consistenza, gradevolmente farinosa. La buccia ha il doppio pregio di reggere bene alla cottura senza risultare coriacea; i fagioli, dunque, non si disfano nel minestrone e sono adatti alle preparazioni tanto stufate quanto in insalata; passati al setaccio danno una base per la pasta e fagioli chiara e cremosa.
Accanto allo Scalda, che è un fagiolo vero e proprio, – scientificamente, Phaseolus vulgaris, – nella valle di Posina si coltiva anche la Fasòla, che appartiene a una specie diversa, – Phaseolus coccineus o Phaseolus multiflorus – comunemente detto Fagiolo di Spagna o Fagiolo del Papa.
I caratteri distintivi di più immediata percezione sono la grandezza del seme, – quasi il doppio del precedente, – e il suo aspetto, – piatto e leggermente a rene, con buccia di vario colore, dal bianco al nero, passando per il crema e il violetto.
La specie più tipica a Posina e dintorni è il cosiddetto Fagiolo di Spagna Rosso, a seme di colore vinoso con punteggiatura nera, donde l’appellativo popolare di Fasòla del diavolo, e ombelico bianco cerchiato di marrone. Inconfondibile è anche la pianta, che dimostra eccezionale esuberanza, crescendo oltre i quattro metri di altezza, e risalta per la fioritura a grappoli rossi.
Dai coltivatori vengono dettagli agronomici in chiave locale: la semina, che ha luogo ai primi di maggio in vista di una raccolta tardiva, tra settembre e ottobre, prolungata fino ai primi geli; lo sviluppo, oltre i due metri con crescita su se stessa oltre l’infrascatura; i baccelli, verdi e ricurvi, presenti in numero di 10-12 per pianta, lunghi oltre 50 cm e contenenti 8-10 semi; i fagioli, grandi (3 x 1,5 cm) e caratteristici per la buccia croccante e la polpa dallo spiccato gusto di castagna, adatti innanzitutto al consumo in insalata ma anche valido ingrediente delle minestre cui conferiscono gusto e colore.




Laghi

Laghi è comune montano del quadrante nord-occidentale della provincia, al confine con il Trentino. Da Arsiero, capoluogo della Valdastico, si imbocca la strada che supera la strettoia tra il Priaforà e il Cimone accedendo all’appartata valle del Posina. A Castana, pochi chilometri più a monte, si devia risalendo il corso del torrente Zara fino al capoluogo, che sorge a 550 metri di quota, a margine dei due specchi d’acqua che danno nome al comune.
Sullo sfondo della valle risaltano il monte Maio e il Cimone dei Laghi, due vette che sfiorano i 1500 metri. Nel nome delle contrade e delle famiglie che le abitano, come anche nella parlata locale, restano tracce della civiltà dei Cimbri, la popolazione di origine bavarese che nel Medioevo ha colonizzato le montagne tra l’Altopiano di Asiago e i Monti Lessini.


Gli ortaggi di Laghi   
Laghi condivide con Posina un ambiente eccezionale per integrità. Alzando lo sguardo il paesaggio spazia dal fondovalle, dove si trovano distese coltivate tra siepi e boschetti, alle terrazze dei versanti, sorrette da muretti a secco, soprattutto intorno agli abitati; poi, oltre la fascia dei carpini e dei faggi, si aprono gli alpeggi con i pascoli e le malghe, con l’immancabile orto d’alta quota. I prodotti coltivati sono ancora oggi le patate, primo vanto della zona grazie a una celebrata offerta di gnocchi, e i fagioli, di pari rinomanza anche se oggi prodotti soprattutto per l’autoconsumo, con menzione aggiuntiva per un altro ortaggio di montagna, il cavolo cappuccio, che trova tradizionale sbocco nella preparazione dei crauti.
Una bella iniziativa, per incoraggiare la produzione, è quella del mercatino di Natale, che diventa occasione per vendere le eccedenze delle produzioni familiari.
A che cosa si deve la bontà degli ortaggi di Laghi? Alle varietà coltivate, certo, ma anche e soprattutto alle condizioni pedoclimatiche della valle. Nel caso dei fagioli è risaputo che questi legumi prediligono i terreni freschi e ben drenati, con basso tenore di argilla, dunque, ma anche di calcare, perché il fagiolo non risulti coriaceo, e una presenza di materia organica adeguata all’esuberanza delle piante.
Tutto ciò si verifica a Laghi e dintorni sia nelle terre ghiaiose dei fondovalle, di formazione glaciale, sia sulle terrazze dei versanti, colmate con lo stesso terriccio, da portare ad adeguata fertilità con una concimazione di letame maturo. Determinante è anche la costante ventilazione della valle, che limita naturalmente l’insorgere di muffe e analoghi problemi. D’altra parte l’umidità ambientale, elevata soprattutto di notte, si rivela preziosa alleata nel momento in cui basta per mantenere il terreno alla giusta freschezza evitando sia le sofferenza da siccità che eventuali eccessi nell’irrigazione.
Discorso analogo si può fare per la patata, che anzi la tradizione vuole consociata al fagiolo, con reciproco vantaggio. Detto questo delle pratiche aziendali, che si ripetono oggi tal quali al passato, si dovrebbe trovare fondata motivazione anche per l’eccellenza di sapore di questi ortaggi di montagna: la scienza arriverà prima o poi a quantificare chimicamente anche questi caratteri e ad attribuirne il merito a questo o a quel fattore pedoclimatico.

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