【Gianni Spagnolo © 190202】
Sono salito al Monte Summano in una splendida e tersa giornata invernale, lungo il sentiero che consente ampi scorci sulle sottostante pianura. Ci vengo quattro o cinque volte all’anno; è una montagna comoda e accessibile in ogni stagione da tutti i versanti, inoltre offre una bella panoramica che spazia dal Carega al Grappa.
La prima volta che ci capitai avevo nove anni ed ero in gita col prete. Allora il panorama era un po’ diverso dall’attuale: le montagne che coronavano la piana avevano pendii assai meno boscosi e con diffuse e vistose ferite di cave e ghiaioni, non ultimo l’obbrobrio che lacerava il Summano proprio sotto di noi.
La pianura era decisamente meno edificata e costellata da distese di campi con i paesi raggruppati attorno alle chiese. I complessi delle industrie che ruotavano intorno alla manifattura tessile movimentavano un po’ quel paesaggio altrimenti ancora ampiamente agricolo, anche se l’incipiente industrializzazione diffusa cominciava a farsi vedere.
Il colpo d’occhio che si gode oggi dalla medesima prospettiva, consente di fare qualche riflessione sulla nostra mentalità, sul nostro modo di usare le risorse del territorio, sulla nostra progettualità.
Premetto che resto del parere che viviamo ancora in un ambiente complessivamente gradevole, nonostante tutto! Per quel che ho visto in giro per il mondo, la nostra piccola patria vicentina, pur con tutti i difetti che possiamo imputarle, rimane ancora un bel posto in cui stare. C'è senz'altro di meglio, indubbiamente, ma anche molto di peggio. Non sono nemmeno un paladino dell’inesistente buon tempo antico, cosciente che ogni epoca ha avuto le sue priorità e le sue magagne. Chi è consapevole delle devastazioni e dell’inquinamento degli anni del boom economico postbellico o dell’esasperato sfruttamento del suolo dei decenni precedenti, per tacere delle guerre, può permettersi anche un po’ d’indulgenza guardando ai nostri tempi.
L’uomo è destinato a modificare l’ambiente in cui vive: è una condanna che si porta appresso fin dai tempi della Torre di Babele. Nel Medioevo ha raso al suolo le foreste dell’Europa, ma pur le amene colline del Chianti sono opera sua. Dov’è arrivato lui ha lasciato il segno. Certo che c’è modo e modo di lasciarlo, il segno.
Ma cosa si vede poi dal Summano?
Paesi cresciuti estensivamente con una miriade di nuove costruzioni periferiche, ma con i centri lasciati deperire nei vincoli dell'urbanistica rurale. Un po’ come i morari lungo i fossi, dalle folte e ormai scarmigliate chiome, innestate su grossi tronchi cavi, marci dentro.
Sviluppo edilizio avvenuto prevalentemente a scapito della montagna, spopolandola di residenti. Un risucchio ingestito del quale oggi vediamo le conseguenze.
Ogni paese, anche il più minuscolo, con la sua Z.A.I. ritagliata a misura, talvolta in luoghi improbabili. Tutto all’insegna del piccolo è bello: lavoro sulla porta di casa e tutti imprenditori. Di un’imprenditoria un po’ particolare però, gran lavoratrice indubbiamente, estrosa e capace di fare le scarpe alle mosche, ma prevalentemente terzista e di limitati orizzonti e prospettive. Un nanismo industriale che oggi ci presenta il conto.
Ognuno per sé!
Il nostro modello di sviluppo industriale. Moto spontaneo e virtuoso del nostro particolare individualismo che ha creato un benessere diffuso e innegabile. Portato avanti da persone determinate, testarde e infaticabili come i muli, ma spesso anche sterili come loro e bisognosi di conducenti che non ci sono stati. Qualcosa di costruito su circostanze fortuite e irripetibili e perciò effimero.
La rete viaria. Un intrico caotico e malnato per innestarsi su un tronco di autostrada velleitaria quanto incompleta. Arteria che è passata evidentemente sul tracciato sbagliato, dato che per compensare la mancata curva a Schio si sono inventati in seguito una serie di raccordi in trincea che ricordano la linea Maginot. E poi rotonde dappertutto, quasi a compensare, quando ormai ne è venuta forse meno la necessità, l’assurdo e congestionato traffico dei tempi in cui Berta filava e nessuno fiatava.
Il nuovo ospedale poi lo lasciamo stare, per carità di patria.
Non sarebbe forse male, prima delle elezioni amministrative, portare i candidati di ogni schieramento in gita sul Summano in una bella giornata di sole e lasciarli ammirare per bene l'impronta delle politiche dei loro predecessori sul territorio che si estende ai loro piedi. Poi bisognerebbe dare loro qualche piccolo compitino, anche solo dei pensierini da scrivere. Che so, delle riflessioni su temi tipo: sinergia, consumo di territorio, razionalità delle comunicazioni, cementificazione, assetto idrogeologico, infrastrutture, servizi comuni, inquinamento ambientale, recupero del patrimonio edilizio, demolizioni & riconversioni, idee di futuro, trend demografici e professionali. Ecco, cose così, giusto per dirne alcune.
Intendiamoci: il politico lo votiamo noi, e quindi la responsabilità, nel bene e nel male, va condivisa. Perciò insieme agli aspiranti amministratori, sul Summano, dovremmo andarci in pellegrinaggio anche noi, come ai tempi dei Girolimini.
Questo finché scrutiamo la panoramica meridionale; se invece ci rivolgiamo a nord, verso la montagna, sorgono altre domande.
Il colpo d'occhio d'insieme non è male: agli spelacchiati declivi d'un tempo, al rampante susseguirsi di masiére fin sotto le rocce, ai vecchi campìgoli della malghe in disuso, s'è sostituito il bosco, in avanzamento ovunque e a suo modo. Un bosco disperato però, come si conviene ai pionieri: fatto di russe, visùni, robinie ed edere, almeno alle quote più basse. Roba bona da gnìnte, direbbe mio nonno. Anche lì i paesi hanno tentato di svilupparsi come in pianura, stesso stampo, senza però averne le condizioni. I ga fato nosse coi fighi sìchi, direbbe sempre mio nonno. Archeologia d'intenti.
Il colpo d'occhio d'insieme non è male: agli spelacchiati declivi d'un tempo, al rampante susseguirsi di masiére fin sotto le rocce, ai vecchi campìgoli della malghe in disuso, s'è sostituito il bosco, in avanzamento ovunque e a suo modo. Un bosco disperato però, come si conviene ai pionieri: fatto di russe, visùni, robinie ed edere, almeno alle quote più basse. Roba bona da gnìnte, direbbe mio nonno. Anche lì i paesi hanno tentato di svilupparsi come in pianura, stesso stampo, senza però averne le condizioni. I ga fato nosse coi fighi sìchi, direbbe sempre mio nonno. Archeologia d'intenti.
- Cosa ne sarà del patrimonio edilizio svalorizzato, fuorinorma o già fatiscente?
- Diamo lo spopolamento per irreversibile?
- Cosa ne sarà delle proprietà polverizzate in lotti minuscoli e con pletore di aventi diritto sparpagliati dall’Illinois al Nuovo Galles del Sud?
- Chi farà la manutenzione della montagna?
- Che idee ci sono sui terreni incolti, anche di pianura? Lasceremo via libera a rovi e robinie?
- È realistico pensare che basti accentrare i comuni e i servizi per sistemare le cose? O non sarà la solita tecnica della rana bollita?
- C’è qualcuno che ci sta pensando? Che ha delle idee e delle proposte in merito?
Ah..., ora che ci penso: ovvio che dove non ci saranno più persone non ci saranno neanche più voti da prendere e quindi la risposta me la sono già data.
Accidenti che ingenuo che sono!
Accidenti che ingenuo che sono!
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