sabato 9 febbraio 2019

La miseria aguzza l'ingegno... se è vero!!!





Da bambini ci divertivamo per ore nei prati, senza portarci niente. Facevamo “orecchini” con gli steli cavi del tarassaco (pissacan, brusaoci, "rejite"), aperti e messi nelle fontane ad arricciarsi.
A volte trovavamo un arbusto di fusaggine (“bareta del prete”): le piccole lucide bacche arancioni sembravano perline, e a noi piaceva infilarle con uno spago sottile per farne braccialetti, effimeri e bellissimi.
Facevamo scoppiare le infiorescenze a palloncino della Silene (“s-ciopavisi”, “s-ciopeti”), e ci divertivamo a lanciarci i corimbi uncinati della bardana ("gleva"), o ad appiccicarci addosso le foglie di fagiolo o di zucca, rubate agli orti.
Poi, naturalmente, finiva che ci inseguivamo con un lungo stelo di ortica, tra grida e schiamazzi. Girava la leggenda che bastava trattenere il fiato nel tempo in cui si strappava lo stelo per non urticarsi le mani.
Dopo la battaglia delle ortiche, un bell’impacco di foglie di farfaraccio (slavasso) bagnate d’acqua ci faceva calmare l’irritazione. Le stesse immense foglie che, accuratamente scelte, raccoglievamo per farcene un elegante ombrellino, come il Tòtoro di Miyazaki.
Delle ortiche “matte” (lamio) si usava succhiare i dolcissimi fiori.
Altre volte, invece, cercavamo il sapore acidulo del “pan-e-vin”, l’acetosa (“faffen”, “stebba”), di cui raccoglievamo i polloni freschi per masticarli.
I più pazzi si arrampicavano sugli strapiombi, e raccoglievano anche i rami della dulcamara, per tenerli in bocca finchè lasciavano un sapore dolce.
Ah, come si giocava bene, nel parco giochi attrezzato direttamente da Madre Natura.
(da comunità dei Cimbri)

1 commento:

  1. Mammamia che bello leggere queste cose che nostalgia!!!!!eravamo ppoveri e felici!

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