Ci
sono profumi, situazioni, immagini, rumori che evocano ricordi e in
un attimo ci si trova a ripercorrere momenti di vita vissuta. I
nostri cinque sensi ci aiutano e i cassetti della memoria lentamente
si aprono…
Nevica,
candidi bianchi fiocchi, danzando si posano in ogni dove, modificando
ogni cosa che toccano, la mente va indietro nel tempo… e mi rivedo…
Sono a letto con mia nonna, nel grande letto così alto che mi devo
arrampicare, coperta da una trapunta pesante e da un cuscino con una
fantasia floreale leggero, pieno di piume che scalda i piedi. Sono
affossata come in un caldo nido, nel materasso de “péna” che è
un giaciglio usuale: sotto due materassi di crine per tenere
sollevato il tutto. Sul grande comò troneggia una sveglia che con il
suo forte ticchettio fa sentire bene il passare del tempo; le
finestre con qualche “sfesa” lasciata appositamente sui vetri
perché entrasse aria “bona” e i balconi aperti perché la luce
del giorno risvegli dolcemente.
La
mia casa è proprio di fianco alla chiesa, i rintocchi del campanile
mi giungono ovattati e mi fanno capire che fuori sta nevicando…
anche il rumore del “trajòn” che passa per la strada, condotto
da Patrizio da Settecà, mi porta dentro a una giornata diversa dalle
solite; la notte sembra non finire mai, ma quando arriva il mattino,
il paesaggio è cambiato e si sentono rumori di badili che liberano
dalla neve le porte d’entrata delle case.
I
ricordi mi vedono poi a “slissigare”con la slitta costruita da
mio papà, sulla “Riva” o al “Borgo” con compagni di scuola e
di giochi: non avendo nel guardaroba pantaloni, ritornavo a casa
tutta fradicia, con la calzamaglia e il vestito pesante, inzuppato…, ma
ecco la mamma che mi faceva cambiare e mi metteva vicino alla stufa, con
la porta del forno aperta. Mi sembra di sentire il viso infuocato per
lo sbalzo termico, i piedi con le “bugànse”, la sensazione di
essermi divertita e il bisogno di riposare…
Poi
a scuola, a palle di neve nel cortile, senza mezze misure: ai maschi
poco interessava se eravamo femmine, arrivavano bombe che ti facevano
cadere a terra o ti riempivano viso, collo e il resto di neve
gelata...
E ancora... una volta un ultimo dell’anno passato con la
compagnia che frequentavo, al ristorante da Gek a Castana: dalle
grandi finestre si vedeva la neve cadere copiosa e si pensava con
preoccupazione al ritorno. Una volta partiti, nonostante
l’attenzione, non si riusciva a tenere in strada le auto, tanta era
la neve caduta! Lì, ho avuto veramente paura, siamo dovuti scendere
dalle auto! Dopo ore e vari tentativi per scendere dalla galleria ad
Arsiero e poi fare la discesa per portarsi in piano, siamo tornati a
casa che era quasi mattina, ma quell’episodio mi è sempre rimasto
impresso nella mente!
La
cosa che mi ha fatto odiare la neve sono stati gli inverni in cui,
per problemi di salute di uno dei miei genitori, le nevicate erano
sinonimo di fatica, tribolazione, preoccupazione. Oltre che a dover
spalare la neve per fare un varco dalla stalla alla strada, si doveva
andare a prendere il fieno per alimentare le mucche e il fienile era
distante dalla stalla. Mi vedo ancora con la mia mamma a fare una
strada a forza di badilate (non con le pale che usiamo ora), a non
riuscire ad andare avanti, tanto che a metà percorso per arrivare
all’ex pollaio diventato fienile, ci siamo fermate e abbiamo deciso
di portare a mano le balle di fieno per riempire il piccolo carretto.
Abbiamo fatto tanta fatica, in mezzo alla neve camminare non è
facile e con un peso poi diventa più faticoso! Da lì con il
carretto, tirando come due mule, abbiamo portato il fieno fino a
casa: eravamo stremate!
Un giorno poi, mentre con il badile pulivo
l’entrata della stalla, sono passati i soliti amici per andare
all’Osteria al Monumento, di fronte a casa mia e uno mi saluta e mi
dice: - Vuoi una mano? -
Io rincuorata e sollevata rispondo che
volentieri accetto! Il giovane mi viene incontro, mi tende la mano e
mi dice: - Piacere! - E se ne va all’osteria! Sono rimasta talmente
male per quel gesto, quella presa in giro, che ho odiato sempre di
più la neve! Poi la vita è continuata e grazie ai miei figli e ai
loro giochi, la neve è tornata a essere da me accettata, accolta, ma
mai amata…
Ho odiato la neve trasformata in ghiaccio, quando mi ha
tolto un fratello, ho odiato il bosco per avermi portato via mio
papà, ma poi il forte richiamo che sento dalla natura, ha reso tutto
questo meno pesante, anche se sempre presente. E quando riesco a
scrivere qualcosa sull’incanto che sa portare la neve, penso alle
sofferenze, ai disagi, ma sono contenta di essere ancora capace,
nonostante tutto, di guardarmi intorno, di scorgere il bello che mi
circonda e di saper apprezzare ogni dono che ricevo.
Lucia Marangoni
Bravissima Lucia, grazie per queste testimonianze
RispondiEliminastupenda!
RispondiEliminaGenio
Brava Lucia,
RispondiEliminaBellissime parole.