“Tornano per dissetarsi e nutrirsi, per allontanare le
malvagità o per giocare a carte. Per assistere alla
Messa o recitare il rosario lungo le vie del paese. Tante sono le credenze legate al ritorno dei defunti nelle diverse zone d’Italia. Si tratta di tradizioni nate dall’idea che la vita e la morte siano comunque, sempre, inevitabilmente associate. Ma non solo: rappresentano anche il modo, per i vivi, per continuare a mantenere forti legami con i propri defunti, per sentirli più vicini.
Queste tradizioni si trovavano fino a poco tempo fa anche a nord della provincia di Verona, nel territorio lessinico, un tempo abitato dai cimbri. Anche se Bruno Schweizer, che condusse delle ricerche negli anni ’40 del secolo scorso, documenta che, in alcuni paesi cimbri, la ricorrenza del giorno di Ognisanti veniva festeggiata cuocendo “la minestra dei morti” (di suppa von di armel sel), erano le zucche in questo contesto le vere protagoniste di quelle manifestazioni giocose dei bambini che caratterizzavano il periodo dei morti nella montagna veronese.
La zucca, il cui ciclo vegetativo si conclude proprio nel periodo dedicato alla commemorazione dei defunti, era il simbolo che le antiche popolazioni che abitavano anche il nostro territorio attribuivano all’anima degli estinti.
malvagità o per giocare a carte. Per assistere alla
Messa o recitare il rosario lungo le vie del paese. Tante sono le credenze legate al ritorno dei defunti nelle diverse zone d’Italia. Si tratta di tradizioni nate dall’idea che la vita e la morte siano comunque, sempre, inevitabilmente associate. Ma non solo: rappresentano anche il modo, per i vivi, per continuare a mantenere forti legami con i propri defunti, per sentirli più vicini.
Queste tradizioni si trovavano fino a poco tempo fa anche a nord della provincia di Verona, nel territorio lessinico, un tempo abitato dai cimbri. Anche se Bruno Schweizer, che condusse delle ricerche negli anni ’40 del secolo scorso, documenta che, in alcuni paesi cimbri, la ricorrenza del giorno di Ognisanti veniva festeggiata cuocendo “la minestra dei morti” (di suppa von di armel sel), erano le zucche in questo contesto le vere protagoniste di quelle manifestazioni giocose dei bambini che caratterizzavano il periodo dei morti nella montagna veronese.
La zucca, il cui ciclo vegetativo si conclude proprio nel periodo dedicato alla commemorazione dei defunti, era il simbolo che le antiche popolazioni che abitavano anche il nostro territorio attribuivano all’anima degli estinti.
A tal proposito un informatore di Roverè veronese racconta: “La zucca era montata su di un bastone che il mascherato teneva in mano; un tabarro, infine, ne copriva la testa e il resto del corpo; queste mascherate venivano chiamate Lumiere”. La zucca era posta sulla testa e la persona sembrava così molto più alta del normale e il tutto le conferiva un aspetto particolarmente spettrale.
Le persone che componevano il piccolo corteo “terrifico” erano generalmente tre. Gli altri due avevano dei tabarri scuri e un cappellaccio nero in testa. Non portavano una vera e propria maschera sul viso, ma potevano avere il volto dipinto (ad esempio potevano disegnarsi dei baffi) per rendersi meno riconoscibili. Si appostavano fuori dalle stalle ed aspettavano che le persone uscissero dai filò. Le prime volte che le persone vedevano questo mascheramento si spaventavano moltissimo, poi ci facevano l’abitudine. Gli intervistati ricordano, però, che anche qualche anziano, che nel tempo avrebbe dovuto essersi abituato, reagiva con una certa emotività alla loro vista. Questi scherzi venivano organizzati nei 15 giorni compresi tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre.
Nel vicentino antiche tradizioni legate al periodo dei morti si sono in parte conservate: in alcuni paesi, nelle campagne intorno a Vicenza, la mattina del due novembre le donne si alzano più presto del solito e si allontanano dalla casa dopo aver rifatto i letti per bene, perché le povere anime del purgatorio possano trovarvi riposo per l’intera giornata.
Altre tradizioni si stanno perdendo o sono definitivamente estinte. A ricordarle sono ormai solo gli anziani, preziosi custodi delle tradizioni popolari e delle celebrazioni religiose di un tempo; e sono loro a riportare la memoria a quella usanza che, all’inizio del secolo scorso, portava nelle campagne dell’Alto vicentino a svuotare le zucche, dipingerle e farle assumere forma di teschi all’interno dei quali porre una candela.
Altre tradizioni si stanno perdendo o sono definitivamente estinte. A ricordarle sono ormai solo gli anziani, preziosi custodi delle tradizioni popolari e delle celebrazioni religiose di un tempo; e sono loro a riportare la memoria a quella usanza che, all’inizio del secolo scorso, portava nelle campagne dell’Alto vicentino a svuotare le zucche, dipingerle e farle assumere forma di teschi all’interno dei quali porre una candela.
Dalle testimonianze del professor Terenzio Sartore di Marano, vicentino, coordinatore di un gruppo di ricerca sulla civiltà rurale, leggiamo: “Da giovane, ho sempre visto questa zucca trasformata in morto. La morte con la “suca”, detta anche “suca dei morti”, o testa da morti, era uno scherzo un po’ macabro che si faceva ai bambini o alle ragazze quando si sapeva dovevano passare di sera, soli, per qualche luogo isolato”.
Ieri sera con mamma, tranquille davanti al fuoco della stufa, chiacchieravamo riguardo le tradizioni di un tempo qui a San Pietro per i Santi e i morti e ne è uscito un ricordo che sì, anche a San Pietro svuotavano le zucche e le mettevano sulle finestre con dentro la candelina. Qualcuno sa qualcosa in più?
RispondiEliminaDa noi rimane la tradizione di visitare il cimitero la sera dei Santi, ma anche in questa occasione si nota che oramai siamo sempre meno. Oramai, numericamente parlando, il "vero" Paese è purtroppo là.
E anche l'usanza di "spaelàr castégne" sta perdendo purtroppo alla grande! In una mano chi sta resistendo...
La sera dei Santi, per ricordare i miei morti, io metto da parecchi anni un lumino acceso sulla finestra e spero sempre di vederne altri, ma non ne ho mai visti.
La settimana prima delle feste dei Santi e dei Morti noi giovani andavamo di sera da casa in casa a cantare delle canzoni che riguardavano le "povere" anime del purgatorio, delle loro pene e del loro desiderio di essere redente. I contadini per quel periodo infornavano delle speciali pagnotte di pane che si chiamavano "picilan" ([pane] per favore] che mettevano nella gerla dei cantori mascherati dalla faccia bianca come le anime del Purgatorio. Infatti ci bagnavamo il viso ed i capelli, e poi soffiavamo in un piatto pieno di farina chiudendo gli occhi. Le pagnotte raccolte venivano messe a disposizione dei "poveri" del paese, affinché non soffrissero la fame.
RispondiEliminaUn'altra tradizione era quella di preparare di nuovo la tavola, dopo la cena della festa di Ognissanti. Si mettevano in tavola le specialità della famiglia, dei dolci, un bicchiere di vino, perché quella notte, i morti della famiglia tornavano a casa loro e i discendenti, riconoscenti, desideravano che godessero ancora una volta delle gioie della vita terrena, nella loro casa al caldo. Questa tradizione è sparita, forse un modo un po' pagano, ma genuino di ricordare gli antenati.
La sera del primo di novembre, so passato per il cimitero a dare un saluto e una preghiera a tutti i morti compresi quelli della mia famiglia. È una serata che emotivamente mi coinvolge moltissimo e poi mi fa stare male per tutta la sera, pensando a tutti della famiglia che sono li. Parenti e amici che non hanno avuto la fortuna che ho avuto io. Oltre a questo, mi ha deluso e amareggiato il fatto che quasi in tutto il cimitero bisognava stare attenti a dove si mettevano i piedi, talmente pochi erano i lampioni funzionanti (su 12 ne funzionavano 3) anche quello in entrata era morto. Veramente deludente, nessuno dell'amministrazione comunale che abbia pensato di controllare? Per l'anno prossimo, mi prenderò il tempo di passare la sera prima per controllare quanti lampioni moribondi ci sono e poi riferiró al consigliere di riferimento, se c'è. ADRIANO F.
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