giovedì 27 gennaio 2022

Solari lustri

 

[Gianni Spagnolo © 22A22]

Per delle strane circostanze mi sono trovato a cimentarmi in un’operazione che avevo visto fare molte volte da bambino, ma mai attuato in prima persona, anche perché ne ero stato pesantemente scottato. 

Si trattava di lavare con acua de bojo e verechina un solaro de legno, vecchio di 70 anni, d'una stanza che da allora non era stata quasi più usata. L’ho quindi affrontata ricorrendo alle mie reminiscenze di bambino, quando queste pulizie erano ricorrenti ad ogni primavera. Una volta passai da testimone ad attore tirandomi addosso la pentola di acqua che bolliva sulla stufa, ustionandomi così il volto e il torace; perciò conservo un bruciante ricordo di quelle faccende domestiche. Brao furbo! Direte voi. Evvabbé, ... avevo solo quattro anni.

I solari delle nostre case, come pure le scale, erano in legno di abete al naturale, senza nessuna verniciatura o prodotto di protezione; perciò andavano lavati a fondo e disinfettati almeno una volta all’anno, armandosi di santa pazienza, guanti di gomma, bruschéto, strassòn, acua de bojo, verechina e … tanto ojo de gùmio. Era un lavoro da donne e per nulla gradito. Gli effluvi della varechina stceta (quella mefitica della bottiglia gialla col bechignólo, per intendersi), il lavorare chinati in denociòn a sfregare il legno col bruschéto di saggina, dover continuamente strizzare el strassòn, tirandosi dietro il tutto, era un’autentica penitenza e i caldi vapori dell’ipoclorito di sodio bruciavano i polmoni sensa réchie.

Ancor peggiore era l’esperienza delle fémene della generazione precedente, che dovevano fare queste pulizie usando l’acqua di risulta della lissia e senza guanti di protezione, così che l’incontrollata causticità di quel detergente, ecologico, ma tremendo, rendeva le mani pallide, avvizzite e brucianti se solo avevano l’accenno di qualche crepa o ferita. Un po’ aiutava lo spazzolone dal lungo manico, ma non arrivava dappertutto e occorreva fregare con forza nei punti più sporchi o meno accessibili col bruschéto. In ogni caso el strassòn bisognava strucarlo per bene sempre a mano. Quando arrivarono in paese i guanti di gomma e la varechina fu dunque un grande progresso; quest'ultima si andava a prenderla alla bisogna in bottega col butigliòn. Bisognava fare però un po’ di attenzione, dato che alcuni negozianti erano più devoti al Battista di altri e quindi si doveva faticare di più per ottenere lo stesso splendore. Poi arrivò quella confezionata nella famosa bottiglia giallo canarino con inciso il lugubre simbolo della morte, dotata di un beccuccio dosatore laterale con il coperchio a vite; così almeno la concentrazione dell’ipoclorito sodico era garantita e costante, anche se l’odore da pisso era lo stesso.

Perciò io prudentemente ho usato il mocio, lo strucamocio e l’ACE, quella inodore. Almeno che il progresso serva a qualcosa. Ancamassa, ciò!


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