[Gianni Spagnolo © 22A6]
Era questa una minaccia, mimata con la mano mossa su e giù a palmo aperto e con un ghigno poco rassicurante, ricorrente al tempo in cui c’era ancora memoria che l’olio non era sempre un toccasana. Ancora fresco era infatti il ricordo degli squadristi fascisti che usavano l’olio di ricino per intimidire gli avversari, con la cosiddetta “purga del sovversivo”. La somministrazione coatta di grandi quantità di questo olio causava inevitabilmente nel malcapitato un’improvvisa e incontenibile scarica di diarrea, non propriamente gradita. Non per nulla era chiamata anche "curi curi".
Sempre olio era quello di fegato di merluzzo che veniva usato invece contro il rachitismo e l'avitaminosi, ma anche come panacea di tutti i mali e il cui sapore era spesso più sgradevole del male che doveva curare. Inoltre, se mal conservato, el spussava vento e tera, tant’è che la sua somministrazione ai bambini avveniva talvolta schiacciando loro il naso fra il pollice e l’indice, così da obbligarli ad aprire la bocca e impedendo di annusare i miasmi del prodotto che veniva versato in gola con una repentina mossa del cucchiaio.
Sarà per questo che la nostra non era la civiltà dell’olio, bensì quella del burro e del grasso di maiale. Erano infatti questi i condimenti prevalenti dalle nostre parti, dove l’olio di oliva era raro e costoso e usato alla stregua d’un medicinale. D'altronde qui da noi non crescevano ulivi, mentre animali da latte e maiali erano alla comune portata. Il burro era un grasso disponibile, ma delicato e costoso e usato spesso come merce di scambio. Non era di facile conservazione nei mesi caldi, giacché irrancidiva facilmente, mentre strutto e lardo si prestavano meglio ad essere conservati tutto l’anno e quindi costituivano il condimento principe della cucina dei tempi passati. Per la verità c’era anche l’olio di noci, dato che nell’Alta Valle dell’Astico gli alberi di noce erano molto diffusi, ma veniva usato più che altro come lampante, perché irrancidisce facilmente e non si presta alla cottura.
Prender l’olio non era quindi una cosa granché piacevole, perché associata a stati di debilitazione, costipazioni intestinali o violente prevaricazioni. L’olio d’oliva o di semi era poi riservato ai deboli di stomaco o ai convalescenti; ecco perciò che l’olio in genere non godeva da noi di buona stampa. D’altra parte gli stomaci di allora allenati alla penuria e l’intensa attività fisica, avrebbero digerito e metabolizzato senza problemi anche il grasso rancido di tricheco.
Non così oggi, dove si sono invertiti i ruoli e i grassi tradizionali sono stati quasi espulsi dalla cucina perché accusati di ogni nefandezza, mentre l’olio d’oliva suepermegaextravergine è diventato il protagonista assoluto sia nel cotto che nel crudo; la panacea di tutti i mali, il condimento per eccellenza, il fulcro della tanto magnificata dieta mediterranea. Sono mode, passeranno; così come la corsa ai latticini dieteteci freschi a scapito dei formaggi stagionati. D’altar parte anche noi boomer, quando ancora c’era il formaggio di malga da bestie alimentate secondo natura, preferivamo già il formaggino morbido MIO, in quelle moderne e accattivanti confezioni cilindriche piene di spicchi di formaggino avvolto nell’alluminio dorato, che a scartarlo s’inmastciavimu tuti i dìe. Non so com’erano fatti quei formaggini, non lo voglio sapere. Credo vi si possa applicare lo stesso criterio che suggeriva Bismark a proposito delle leggi e delle salsicce: “Meno le persone sanno di come sono fatte le leggi e le salsicce e meglio dormono la notte.”
Nessun commento:
Posta un commento