mercoledì 12 gennaio 2022

I Marangoni

[Gianni Spagnolo © 22A10]

Marangoni è un antico cognome della nostra zona, presente particolarmente a Pedescala e, un tempo, a Rotzo, dove un Marangon d’Albaredo è documentato già nel Medioevo. È un cognome di origine etimologica professionale, dato che si riferisce all’attività esercitata dal capostipite, ossia il carpentiere, o il falegname in genere. Marangòn è infatti il corrispondente veneto di falegname. 

Era questi un mestiere importante una volta, dove la maggior parte delle cose d’uso comune era fatta di legno. Il marangon, il mastro d'ascia, era l’artigiano tipico dell’Arsenale Veneto, che fu la prima fabbrica al mondo ad adottare la produzione di serie e che sosteneva il primato navale di Venezia. Anche a bordo delle navi della Serenissima il marangon era figura fondamentale, considerato che l’intero naviglio era costruito in legno e necessitava di costante manutenzione. Curiosamente in veneto, marangon è chiamato anche il cormorano, l’uccello marino celebre per i suoi tuffi e le sue abilità natatorie. Perciò c’è chi farebbe derivare il termine proprio dal tuffo del cormorano, assimilando a quello che faceva il falegname del vascello per fare le sue ispezioni sott’acqua alla carena della nave. Il parallelo pare tuttavia piuttosto fantasioso, essendo più probabile che marangon derivi da “marra”, termine antico per ascia, che è appunto il suo  principale strumento di lavoro. Altra ipotesi potrebbe riferirsi al becco seghettato dello smergo, uccello simile al cormorano e talvolta confuso con esso, che lo assocerebbe alla sega, altro strumento tipico del falegname. Rimane quindi il dubbio circa la primogenitura del vocabolo, ossia se fu l’uccello a prestarlo all’artigiano o viceversa. Recentemente i cormorani sono stati visti risalire anche l’Astico fino all’altezza dei nostri paesi, forse memori di antiche parentele ;-). 

Le nostre piccole comunità non si potevano permettere eccessive specializzazioni professionali e tutti dovevano industriarsi al loro meglio, ricorrendo a terzi soltanto quando la situazione lo imponeva.  Gli artigiani locali dovevano perciò disporre di molte competenze diverse. Ecco quindi che il marangon doveva spesso esercitare un’ampia gamma di lavori: doveva essere mobiliere, bottaro, carraro, ruaro, costruttore di attrezzi agricoli e perfino fabbro e maniscalco. Perciò da noi lo si chiamava più propriamente “Mistro” ossia mastro, maestro, che ha una comune radice sia nel latino “magister” che nel germanico “Meister”.  Mistro era anche lo stagnino, il famoso pignatàro che girava i paesi con il suo cane ( da cui il detto: "l'è come el can del pignatàro", per definire un girovago inconcludente) e altri artigiani itineranti che fornivano quelle prestazioni che necessitavano di una clientela estesa, non potendo sostenersi con l'attività stanziale.

A San Pietro erano infatti chiamati “Mistri” i fratelli Nicolussi che esercitavano la falegnameria, particolarmente Francesco (Chéco Mistro) che aveva bottega nel sottochiesa. Un mistro più completo e versatile era invece Joani Lorenzi (Carnavale), che aveva bottega in l’Ara e la cui arte era probabilmente tramandata di padre in figlio da secoli [clica chìve]. Nel suo laboratorio, che frequentavo con curiosità da bambino, oltre a un’infinità di utensili ed attrezzi appesi ai muri, c’era un grande tornio di legno e anche, in un angolo, la forgia. Joani infatti costruiva pure ruote, carri, botti, sostituiva cerchioni, forgiava ferri e ferrava i muli. Marangon identifica dunque più propriamente il carpentiere, il mastro d’ascia, che aveva nella daldòra il suo attrezzo d’elezione.


Nessun commento:

Posta un commento

Girovagando

  Il passo internazionale “Los Libertadores”, conosciuto anche come Cristo Redentore, è una delle rotte più spettacolari che collegano l...