COS’È UN VIRUS?
Le epidemie virali possono diventare pandemie mortali nel giro di pochi giorni. Per prevenire la catastrofe, coraggiosi scienziati stanno contrattaccando con nuovi trattamenti e vaccini. Immagini dalla serie “BREAKTHROUGH – LA SCIENZA RIVOLUZIONARIA”.
“Anche all’interno della comunità scientifica questa domanda susciterebbe risposte diverse”, afferma Rachael Piltch-Loeb, ricercatrice e docente presso l’Emergency Preparedness Research, Evaluation & Practice Program (Programma di ricerca, valutazione e preparazione per le emergenze, NdT) della Harvard T.H. Chan School of Public Health.
“Non esiste una definizione su cosa significhi la ‘fine di una pandemia’”.
Una pandemia è, per definizione, una crisi globale.
L’attenuazione di alcune misure e interventi di sanità pubblica “hanno dato alle persone la sensazione che la crisi si stesse risolvendo”, afferma Piltch-Loeb. Quell’euforia ha portato molti a non vedere l’effettiva realtà dei fatti che rimane piuttosto cupa.
“Fino a che questo virus non sarà sotto controllo o quanto meno la sua diffusione non sarà limitata a livello globale, non possiamo considerarci fuori dall’emergenza”, continua Piltch-Loeb. Questo significa che la dichiarazione della ‘fine’ della pandemia potrebbe risultare un obiettivo a lungo termine che richiede condizioni differenti a seconda dei diversi punti di vista sulla questione.
Dove vanno a finire le malattie?
Quando la diffusione mondiale di una malattia viene messa sotto controllo in una determinata area, quella non si chiama più pandemia, ma diventa un’epidemia, secondo l’OMS.
Se il COVID-19 rimarrà presente a livello globale a quelli che gli esperti dell’OMS giudicano essere “livelli attesi o normali”, allora l’organizzazione ne modificherà la classificazione in malattia “endemica”.
A quel punto il virus SARS-CoV-2 sarà diventato un virus normalmente circolante che sarà “meno minaccioso via via che raggiungiamo l’immunità di gregge”, afferma Saad Omer, epidemiologo e direttore dello Yale Institute for Global Health.
Sono solo due le malattie che affliggono l’uomo o altri animali che sono state eradicate nella storia: il vaiolo, una malattia letale per l’uomo che si manifestava con la comparsa di dolorose vescicole su tutto il corpo, e la peste bovina, una patologia virale che uccideva i bovini.
In entrambi i casi fu un’intensa campagna vaccinale ad arrestare le nuove infezioni.
L’ultimo caso confermato di peste bovina è stato rilevato in Kenya nel 2001 mentre l’ultimo caso noto di vaiolo è stato registrato nel 1978 nel Regno Unito.
Joshua Epstein, professore di epidemiologia presso la School of Global Public Health dell’Università di New York e direttore fondatore dell’Agent-Based Modeling Laboratory (Laboratorio dei modelli basati su agenti, NdT), sostiene che l’eradicazione di una malattia è un evento talmente raro che dovremmo eliminare questo termine dal nostro vocabolario medico.
Le malattie “tornano nei propri serbatoi animali oppure mutano abbassando il loro livello”, afferma, “ma generalmente non spariscono del tutto dal bioma globale”.
La maggior parte delle cause delle passate pandemie sono tutt’oggi presenti: tra il 2010 e il 2015 oltre 3.000 persone hanno contratto il batterio che causa sia la peste bubbonica che la peste polmonare, secondo l’OMS.
E il virus che ha causato la pandemia di influenza del 1918 che devastò il mondo, uccidendo almeno 50 milioni di persone, alla fine è mutato trasformandosi in varianti meno letali, i cui discendenti sono diventati i ceppi dell’influenza stagionale.
Come successe nel caso dell’influenza del 1918, è probabile che il virus SARS-CoV-2 continui a mutare e che il sistema immunitario umano si adatti riuscendo infine a respingerlo senza bisogno di vaccini, ma non prima che molte persone vengano contagiate e muoiano. “Raggiungere l’immunità di gregge ‘con le maniere forti’ non è la soluzione più auspicabile”, afferma Omer.
Trovare modi per rallentare la diffusione della malattia e gestire i suoi effetti è di gran lunga il percorso più sicuro, affermano gli esperti. Oggi, ad esempio, il controllo dei parassiti e una migliore igiene ci proteggono dalla peste, mentre gli eventuali nuovi casi possono essere trattati con gli antibiotici.
Per altre malattie, come ad esempio l’influenza, anche i vaccini possono fare la differenza.
I vaccini disponibili contro il COVID- 19 sono estremamente sicuri ed efficaci, il che significa che raggiungere un numero sufficiente di vaccinati ci permetterebbe di giungere alla fine di questa pandemia prima e con meno vittime di quelle che provocherebbe la malattia non contrastata con i vaccini.
Perché sono necessari vaccini per tutti
Il direttore dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha dichiarato che l’obiettivo è quello di vaccinare entro settembre almeno il 10% della popolazione di ogni nazione con la prospettiva più ambiziosa di raggiungere il 40% di inoculazioni a livello globale entro la fine dell’anno e il 70% entro la metà del 2022.
Ad oggi la distribuzione dei vaccini rimane ampiamente disomogenea. Molte nazioni hanno subito forti perdite a causa del COVID-19 — incluse Indonesia, India e molti Stati africani — e stanno procedendo a ritmi molto più rallentati. Questo è dato in parte dal fatto che il Covax – il programma supportato dalle Nazioni Unite per la vaccinazione globale – ha lottato per procurare e fornire i vaccini ai Paesi più poveri del mondo. L’OMS ha esortato i Paesi più ricchi a donare dosi di vaccino alle nazioni più povere prima di procedere alla somministrazione del richiamo per le proprie popolazioni.
Anche in Paesi con forniture sufficienti, il ritmo delle vaccinazioni è influenzato dall’esitazione e dalla disinformazione.
Con maggiori opportunità di diffondersi e mutare, il virus ha sviluppato nuove varianti che sono non solo più contagiose, ma anche più elusive. La Delta è quella più contagiosa finora rilevata. Questa variante è stata individuata inizialmente in India, dove ad aprile ha contribuito a causare uno dei peggiori picchi di contagi a livello mondiale. Più recentemente, la Delta è stata tra le cause di una drammatica epidemia in Indonesia; i dati relativi agli anticorpi indicano che è stata contagiata oltre la metà della popolazione nella capitale Giacarta. Le prime ricerche indicano inoltre che la variante Lambda potrebbe essere resistente ad alcuni vaccini.
La complessità della lotta contro un virus che muta rapidamente “comporta il fatto che a volte si fanno due passi avanti e uno indietro”, afferma Michael Osterholm, direttore del Center for Infectious Disease Research and Policy (Centro per la ricerca e le politiche per le malattie infettive, NdT) dell’Università del Minnesota.
Chi sarà a decretare la fine della pandemia?
C’è un’altra opzione, affermano scienziati e storici: potrebbero essere le persone a decidere che la pandemia è finita, molto prima che lo dichiarino i governi.
È già successo in passato: l’influenza del 1918 infierì sulle tragiche conseguenze della Prima guerra mondiale e al termine del conflitto si percepiva “la sensazione di voler concludere quell’intero decennio e poter guardare a un futuro migliore”, afferma Naomi Rogers, professoressa di storia e storia della medicina presso l’Università Yale. Il mondo stava entrando nei “ruggenti anni venti” nonostante il virus dell’influenza stesse ancora circolando in tutti gli Stati Uniti.
Se la società dovesse tentare di dichiarare la fine della pandemia prima che lo facciano gli scienziati, ne dovremo subire le relative gravi conseguenze, inclusa la morte. La storia ci riporta esempi simili di passate pandemie. L’influenza non è più considerata una pandemia ed è diventata una malattia endemica; ogni anno negli USA muoiono d'influenza dalle 12.000 alle 61.000 persone in base alle stime del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie.
“Se riusciamo ad abbassare la conta dei morti sotto una certa soglia e a riportare le nostre vite alla normalità, qualcuno potrebbe pensare che la pandemia è ‘finita’”, afferma Jagpreet Chhatwal, scienziato che studia i processi decisionali presso il Massachusetts General Hospital Institute for Technology Assessment di Boston. Di nuovo, i vaccini fanno la differenza. I decessi per COVID-19 negli USA sono stati contenuti nelle aree con il maggior numero di vaccinazioni.
A livello nazionale probabilmente sarà il Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie a dichiarare quando la pandemia avrà raggiunto lo stato di malattia endemica negli USA, afferma Piltch-Loeb. Allora si potrà individuare un percorso verso il ritorno a una sorta di normalità indipendentemente dalle dichiarazioni globali.
“Vogliamo tornare alla nostra vita prima del COVID”, afferma Andrew Azman, epidemiologo della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health. “Non c’è bisogno della dichiarazione dell’OMS perché la gente decida che la pandemia è finita”.
(da: Nazional Geographic)
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Dalla tragedia sanitaria che travolse l’impero ittita alle grandi pesti del Medioevo alla Spagnola di inizi Novecento: un quadro (poco confortante) della difficoltà dell’uomo a trovare rimedi di fronte alle epidemie
Ci si chiede quando finirà. E come. Nessuno è in grado di dirlo. Si cercano lumi nel passato, ma con idee poco chiare sulla biologia darwiniana delle pandemie. Dal punto di vista epidemiologico, la circolazione di un patogeno cessa o non fa più danni:
a) se scompare per cause naturali o socio-sanitarie;
b) quando non trova più ospiti suscettibili nella popolazione;
c) se evolve geneticamente diventando innocuo o tollerabile;
d) se il serbatoio o il vettore che lo trasmette per qualche motivo non sono più in grado di svolgere tale funzione.
Yersinia pestis
Le prime comunità o civiltà umane stabilmente dedite all’agricoltura che erano aggredite da qualche parassita zoonotico che tracimava da animali selvatici o addomesticati, spesso scomparivano. Il fenomeno del collasso delle popolazioni neolitiche intorno a 6/5mila anni fa, testimoniato da fosse comuni soprattutto nelle regioni asiatiche, è attribuito a una crisi agricola, ma forse vi concorsero specifiche malattie trasmissibili. In particolare, l’emergere del micidiale ceppo di Yersinia pestis che avrebbe colpito per millenni a venire, dotato di una mutazione che favoriva la peste polmonare che si trasmette anche per via aerea (a prescindere dalle pulci). La peste è chiamata in causa, insieme alla tularemia, anche per il declino e l’abbandono di Mohenjodaro (Valle dell’Indo) nel 1900 a.C. circa e per la tragedia sanitaria che nel 1200 a.C. circa devastò l’impero ittita.
Le pandemie in passato si accendevano, spegnevano, riaccendevano, eccetera, con il respiro demografico delle comunità umane. La crescita di numero e densità di ospiti suscettibili forniva opportunità di trasmissione per i parassiti. Il principio dell’azione di massa delle epidemie prevede che vastità e durata dipendono dal prodotto del numero di infetti per quello delle persone suscettibili. Nell’età classica, le pestilenze si interrompevano perché la mortalità o la fuga riducevano la densità delle agglomerazioni umane, e/o perché la popolazione acquisiva naturalmente l’immunità di gregge. In ogni caso le comunità ne uscivano devastate e spesso incapaci di riprendersi.
Atene
La pestilenza che colpì Atene nel 430 a.C. fu favorita dall’addensamento di 300mila ateniesi concentrati tra l’Acropoli, le Lunghe Mura e il Pireo. Quale che fosse l’agente, occorsero circa 100mila morti e circa cinque anni perché si arrestasse. Anche le epidemie di età romana più devastanti, da quella Antonina a quella di Cipriano, durarono per un certo periodo di tempo (dal 165 al 180 la prima, e dal 249 al 279 la seconda), fecero ognuna tra 5 e 8 milioni di morti. Alla loro estinzione concorsero sia lo spopolamento (decessi e fughe dalle città), sia la temporanea immunità di gregge. Iniziava la fine dell’Impero Romano.
I medici antichi non sapevano che fare. Ed erano vittime di un’allucinazione cognitiva. L’idea che le persone malate/impure sono contagiose è parte di un’euristica magica cablata nel nostro cervello. Su basi magico-intuitive forse si praticava da sempre il distanziamento sociale o fisico. Nel Levitico (13,3) Dio dice a Mosè e Aronne di isolare dai sani le persone con segni di impurità o malattia. Il razionalismo naturalistico portava i medici a credere che le epidemie fossero trasmesse dall’aria, per cui era inutile prescrivere l’isolamento.
La prima pandemia di peste, quella di Giustiniano, iniziava nel 541-2, in un contesto ecologico ed economico di crisi. Yersinia pestis, portato dal ratto nero continuava a manifestarsi non solo nella forma bubbonica trasmessa dalle pulci che, quando il ratto muore, si nutrono sull’uomo, ma anche polmonare. La letalità della peste, dovuta al fatto che non è una malattia dell’uomo ma dei roditori, variava dal 70% per la forma bubbonica al 100% per quelle setticemica e polmonare. La peste di Giustiniano, che uccise tra i 25 e i 100 milioni di individui, si spense in un paio di secoli per motivi demografici, per l’immunità di gregge e, forse, perché anche i ratti divennero resistenti alla malattia.
La lebbra era largamente diffusa nel Medioevo e alla fine del XIII secolo in Europa si stima vi fossero quasi ventimila lebbrosari. Era poco infettiva e cronica, ma suscitava ribrezzo e rifiuto. Nelle nostre latitudini probabilmente scomparve anche perché la ripresa economica e demografica favorì la circolazione della tubercolosi: sono due micobatteri e se un individuo entra in contatto col bacillo di Koch in teoria si immunizza contro quello di Hansen. E viceversa.
Peste Nera del Trecento
Nell’immaginario collettivo la pandemia spaventevole per antonomasia, più della Spagnola, è la Peste Nera del Trecento. L’impatto epidemiologico fu devastante: uccise in un lustro quasi un quarto della popolazione europea sempre per il fatto che circolava nella forma polmonare. Perché dopo quattro secoli si estinse la seconda pandemia di peste? Certamente un ruolo lo svolsero le fughe suggerite dal senso comune (Cito Longe Tarde), il miglioramento dell’igiene abitativa, di quella del corpo e dei vestiti, e probabilmente l’immunità e le dinamiche genetiche nelle popolazioni del parassita. Qualcuno attribuisce un ruolo anche alla sostituzione ecologica, durante la Piccola Glaciazione (1300-1800), della specie Rattus rattus con Rattus norvegicus, che è più resistente alla malattia.
L’introduzione, nel 1377, della quarantena contro la peste da parte dei Veneziani era base della costatazione che la malattia aveva un tempo di incubazione e quindi bastava isolare le persone a rischio e stare a vedere. La diffusione delle quarantene anche per controllare altre epidemie, scontava il fatto che funzionavano a seconda della biologia della malattia, ovvero quando la trasmissione era diretta (come il coronavirus) ma poco quando dipendeva da un vettore sconosciuto. In Nord America, nel Settecento, non funzionava contro la febbre gialla e, come fu nel caso di una micidiale epidemia a Filadelfia nel 1793, si doveva aspettare l’inverno perché il freddo uccidesse il vettore Aedes aegypti e così si interrompesse. Quarantene e lazzaretti, al di là di privazioni, discriminazioni e abusi verso le persone, e dei pregiudizi e ribellioni che scatenavano, segregavano i malati in condizioni di pessima igiene e senza cure, per cui sono testimonianze di un’umanità cognitivamente e moralmente arretrata.
Dopo che oltre il 90% delle popolazioni amerinde e del Pacifico furono sterminate dalle infezioni degli Europei, e mentre anche in Asia le epidemie si susseguivano fino a Novecento avanzato, a partire da metà Ottocento le epidemie/pandemie cominciarono a essere controllate su basi conoscitive. Così terminarono in Europa le pandemie di colera, dopo la scoperta che il vibrione si trasmette con l’acqua contaminata e che serve costruire fognature e potabilizzare l’acqua. L’arrivo dei vaccini consentì di farla finita con almeno due malattie spaventose: il micidiale vaiolo e la poliomielite (ormai presente solo in Afghanistan e Pakistan). Le pandemie di influenza oggi sono controllate dai vaccini, ma fino agli anni Cinquanta dipendevano da dinamiche evolutive tra ceppi virali in costante mutazione e ricombinazione: l’ipotesi più plausibile per la conclusione della Spagnola è che diminuirono per immunità di gregge i suscettibili e un ceppo meno aggressivo di H1N1 soppiantò quello micidiale, verosimilmente emerso negli ospedali militari francesi nell’agosto del 1918.
Possiamo ora immaginare con maggior cognizione come finirà la tragedia sanitaria in corso?
No.
Le misure non farmacologiche (distanziamento, mascherine, eccetera) contribuiscono, con costi sociali ed economici altissimi, a ridurre i danni sanitari, in attesa che vaccini e cure consentano un progressivo adattamento reciproco col parassita senza quasi più morti, o che l’immunità di gregge aiuti e che le pressioni selettive premino qualche variante di SARS CoV-2 meno patogena.
Fino ad allora sarà frustrante. Come la Regina Rossa in Alice attraverso lo specchio, stiamo correndo senza sosta per restare sempre allo stesso posto.
La scienza è l’unica risorsa di cui disponiamo per correre più veloci e per metter fine alla pandemia. Ma servirà tempo. E nessuno sa quanto.
(da Il sole 24 ore - Gilberto Corbelli)
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Prima del Coronavirus: le pandemie ed epidemie dal ‘900 a oggi
Covid-19 è l’ultima di una serie di pandemie che, dal Novecento a oggi, hanno sconvolto il nostro pianeta: dall’influenza spagnola all’epidemia SARS, dall’Ebola all'influenza aviaria, nell’ultimo secolo sono state molte le epidemie, la maggior parte delle quali sconfitte grazie al lavoro di ricercatori e medici di tutto il mondo.
L’influenza spagnola
L’influenza spagnola è stata un’epidemia influenzale che, nel biennio 1918-1920, ha causato la morte di quasi 50 milioni di persone. Il numero è impressionante anche perché a conti fatti la Prima Guerra Mondiale, altamente sanguinosa, aveva causato la metà delle vittime.
Il primo caso fu registrato negli Stati Uniti, ma la pandemia prese il nome di “Influenza spagnola” a causa della forte censura di guerra che, all’epoca, i giornali di tutto il mondo stavano attuando. I giornali spagnoli furono semplicemente i primi a parlare di pandemia, e così si credette che fosse limitata, appunto, alla sola Spagna.
Il virus influenzale, poi, si espanse con facilità insieme alle truppe sui fronti, facilitata dalla scarsa condizione igienica in cui i soldati erano costretti a vivere.
Questo virus è considerato l’antenato dei 4 ceppi di influenza: A, A/l’H1N1 e A/H3N2, e del virus A/H2N2. Questi virus hanno circolato fino al 1977, quando l’H1N1 è riemerso causando un’altra epidemia, chiamata influenza Russa, che si diffuse rapidamente colpendo soprattutto i giovani con meno di 25 anni con manifestazioni cliniche lievi, anche se tipicamente influenzali.
L’influenza Asiatica
Comparsa nella penisola di Yanan, in Cina, nel 1957, la pandemia asiatica è stata generata da un virus influenzale A, l’H2N2. L’influenza asiatica ha causato circa 2 milioni di morti ed era di origine aviaria: questo significa che il virus era presente negli uccelli e poi è stato trasmesso all’uomo, con conseguenze anche mortali.
La pandemia del 1968
Nel 1968 ci fu un’altra pandemia influenzale, generata a Hong Kong, dal sottotipo H3N2. La pandemia, che si diffuse in tutta l’Asia, non ebbe gravi conseguenze in Europa quanto negli Stati Uniti.
Questo accadde grazie al fatto che uno dei due antigeni di cui era composto il virus aveva già colpito, 11 anni prima, la popolazione asiatica, che aveva sviluppato l’immunità.
In tutto la pandemia del 1968 causò oltre un milione di vittime.
L’HIV
L’HIV è stata probabilmente la pandemia più importante della nostra storia recente, e ha ucciso più di 25 milioni di persone.
L’HIV (virus dell’immunodeficienza umana) non è di per sé un virus letale: nella pratica, provoca un progressivo indebolimento del sistema immunitario, attaccando e distruggendo i linfociti CD4, un particolare tipo di globuli bianchi responsabili della risposta immunitaria dell’organismo fino a renderlo vulnerabile nei confronti di altri virus, batteri, protozoi, funghi e tumori.
I primi casi registrati sono del 1981 e il virus ha colpito tutti i Paesi, in modo particolarmente grave quelli del Terzo Mondo. Il virus si trasmette principalmente in tre modi: per via sessuale, tramite rapporti non protetti; per via ematica, tramite il sangue; e per via verticale, ossia da madre al figlio durante il parto o attraverso l’allattamento.
In base alle conoscenze attuali, HIV è suddiviso in due ceppi: HIV-1 e HIV-2. Il primo dei due è prevalentemente localizzato in Europa, America e Africa centrale. HIV-2, invece, si trova in Africa occidentale.
Attualmente non esistono cure per l’eradicazione dell’infezione da HIV. Il trattamento dell’infezione da HIV consiste in un controllo del virus attraverso una combinazione di farmaci che blocca la replicazione del virus, riducendo carica virale e conseguentemente la distruzione del sistema immunitario.
La SARS
Il 2003 è l’anno della SARS (Sindrome Acuta Respiratoria Grave), una forma atipica e particolarmente grave di polmonite, che uccide immediatamente 800 persone. La SARS ha avuto origine in una provincia cinese ed è stata scoperta da un medico italiano, Carlo Urbani, morto della stessa malattia.
In totale, da novembre 2002 a luglio 2003, la SARS ha determinato 8096 casi in 17 Paesi, con un tasso di letalità del 10%.
L’influenza suina
Nel 2009 ci fu un nuovo allarme pandemia: l’influenza suina, causata da un virus del ceppo H1N1h, ha causato migliaia di morti e centinaia di migliaia di contagi. Il virus si è particolarmente sviluppato nel continente americano e ha colpito prevalentemente uomini adulti in buona salute.
L’infezione si trasmette da uomo a uomo per via aerea, come le comuni influenze: l’assunzione di carne di maiale non comporta la possibilità di contrarla.
L’Ebola
L’Ebola è stata scoperta nel 1976 nella Repubblica Domenicana del Congo e nel Sudan e, nel 2014, è stata riscontrata una nuova ondata di epidemia. Si tratta di un virus a RNA, che colpisce principalmente l’uomo e i primati, ma ne sono portatori anche i pipistrelli da frutta e causa una febbre emorragica che si trasmette attraverso fluidi corporei.
La mortalità è molto elevata: se non curata immediatamente, si calcola una percentuale di decessi del 50-90%.
L’importanza della Ricerca
Le epidemie si possono contrastare insieme, grazie a uno strumento prezioso: la Ricerca. È grazie alla Ricerca, infatti, che abbiamo terapie e vaccini contro alcune delle malattie più pericolose che hanno sconvolto il nostro Pianeta. Solo acquisendo informazioni sul virus e conoscendolo a fondo possiamo agire. Al momento conosciamo molto poco le risposte immunitarie nei confronti del Coronavirus SARS-CoV-2 che causa Covid-19: non sappiamo, ad esempio, se gli anticorpi siano protettivi né quanto duri la memoria immunologica. E non sappiamo con certezza se la nostra prima linea di difesa (l’immunità innata e che da sola gestisce ed elimina più del 90% dei virus e batteri che incontriamo) funzioni e possa essere attivata anche nei confronti del Coronavirus.
Per questi motivi anche la Ricerca Humanitas si è attivata coordinando diversi studi basati proprio sulla relazione tra sistema immunitario e Coronavirus SARS-CoV-2
con l’obiettivo di mettere a punto nuovi strumenti di diagnosi della malattia.
Scopri di più su: fondazionehumanitasricerca.it.
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Il tempo in cui era normale veder morire i bambini
La Peste, tableau du peintre suisse Arnold Böcklin, 1898
Si è «vedovi» quando si è perduto il proprio coniuge, «orfani» quando sono venuti a mancare i propri genitori, ma non esiste parola per definire chi ha vissuto la perdita di un figlio. Bisogna dire che, per secoli, vedere il proprio bambino morire di malattia è stato purtroppo «normale». In Svizzera, nel corso del 1876 (anno di inizio delle statistiche sulla mortalità), circa 200 bambini su 1000 morirono prima di raggiungere un anno d’età. Oggi, per fortuna, il tasso di mortalità infantile è sceso a circa 3,5 su 1000.
Si deve questo straordinario progresso soprattutto alla vaccinazione generalizzata, associata naturalmente all’igiene e a una buona alimentazione. Infatti, quando una popolazione è vaccinata in massa contro il microbo germe (virus o batterio) di una malattia contagiosa, beneficia di una immunità collettiva: anche se una persona è infetta, il contagio non può diffondersi perché le persone con le quali è a contatto sono già immunizzate, cosicché le persone che non possono essere vaccinate – in particolare i neonati e le persone con immunità ridotta – sono protette dalla resistenza del gruppo. Il tasso di vaccinazione che permette di raggiungere questa immunità collettiva dipende dalle malattie: più una malattia è contagiosa, più il tasso di vaccinazione necessario è deve essere alto. Ad esempio, è del 95% per il morbillo e del 70% per l’epatite B.
Le epidemie cambiano la Storia
Dalla più remota Antichità, le civiltà hanno dovuto affrontare varie ondate epidemiche che si sono spesso protratte per molti anni. Le più tristemente famose in Europa sono la peste, il colera, il vaiolo e il tifo. Accompagnando le carestie e le guerre, fluttuando con i grandi periodi di freddo, queste malattie contagiose hanno imperversato una dopo l’altra - o contemporaneamente - apparendo e scomparendo con il trascorrere dei secoli. La più impressionante è stata la peste nera che ha devastato l’Europa dal 1347 al 1352, sterminando tra il 25 e il 50% della popolazione, portando con sé grandi cambiamenti nell’economia, nella geopolitica e anche nella religione.
In seguito a queste epidemie, gli individui che sopravvivevano all’infezione erano immunizzati, cosicché, successivamente, le malattie infettive potevano colpire solo i bambini piccoli. Perciò, il morbillo è spesso percepito - a torto - come una malattia infantile. Esattamente come il vaiolo causato da un virus particolarmente contagioso che ha imperversato a lungo. Ma grazie a grandi campagne di vaccinazione condotte a partire dal 1958 su scala mondiale, il vaiolo ha potuto essere debellato nel 1979, cosicché la vaccinazione ha potuto essere interrotta. Anche la poliomielite o la difterite che colpiscono soprattutto i bambini di età inferiore a 5 anni, sono ormai sotto controllo nella maggior parte delle regioni del globo. Anche il morbillo, pur essendo molto contagioso, non circola più in alcune regioni del mondo dove il tasso di vaccinazione è sufficiente.
Nel XIX secolo, in Svizzera, è il colera ad aver segnato più a fondo gli animi. Ma se si tiene conto delle persone malate e dei decessi, il colera ha fatto meno vittime della tubercolosi o dell’influenza spagnola del 1918 che ha causato nel paese la morte di 21’000 persone, il 70% delle quali aveva tra 20 e 49 anni.
Fiammata, epidemia, pandemia
Infatti, ci sono tre parole per descrivere la portata di un contagio. Si parla di «fiammata» per descrivere l’improvvisa comparsa di qualche caso. Si parla di «epidemia» quando il contagio interessa una regione o qualche paese, e si parla di «pandemia» quando il contagio si diffonde in un intero continente o più.
Un’epidemia o una pandemia possono essere causate da un batterio o da un virus già noti, quando la percentuale di persone vaccinate non permette (o non permette più) la protezione attraverso l’immunità collettiva. Può anche essere dovuta a un batterio o a un virus comparsi recentemente, come l’AIDS nel 1983 o il coronavirus SARS nel 2002-2004.
Quanto all’influenza stagionale, si tratta di una malattia contagiosa causata da diversi ceppi di virus. Alcuni ceppi appaiono regolarmente attraverso mutazioni e incroci, creando nuove minacce per le popolazioni. Perciò, i vaccini contro l’influenza cercano di immunizzare le popolazioni contro diversi ceppi contemporaneamente: i virus già noti e i nuovi mutanti, quelli che gli specialisti temono di più perché potrebbero scatenare una nuova pandemia letale, come già avvenuto nel 1918, nel 1957, nel 1968 e 2009.
The “Pandemic Gap” in Switzerland across the 20th century (Swiss Medical Weekly, 12.11.2020)
Quattro famiglie di epidemie
Possiamo dividere le malattie epidemiche in quattro famiglie:
Le malattie che colpiscono l’apparato digerente: diarrea, colera, salmonella, ecc. Si trasmettono soprattutto attraverso l’acqua contaminata da germi fecali.
Le malattie i cui microbi si trasmettono da persona a persona attraverso goccioline emesse con tosse e starnuti: difterite, influenza, morbillo, tubercolosi, ecc. Il contagio avviene respirando queste goccioline infette sospese nell'aria o ricadute su alimenti od oggetti.
Le malattie a trasmissione sessuale: AIDS, sifilide, epatite B, papillomavirus umano, ecc.
Le malattie diffuse attraverso punture e morsi di animali (pulci, pidocchi, zecche, zanzare): malaria, febbre gialla, febbre tropicale, zika.
Una falsa sensazione di sicurezza
Ai nostri giorni, con i farmaci di cui disponiamo, possiamo avere la sensazione di essere al riparo da una grande epidemia come quelle che hanno funestato il passato. Si tratta di un errore: un’ecatombe è sempre possibile. Gli incessanti movimenti di merci e di persone attraverso l’intero pianeta ne aumentano il rischio. Tanto più che, per via di una sensazione di sicurezza dovuta al fatto che gli altri si vaccinano, troppe persone trascurano di vaccinarsi o di far vaccinare i propri figli: il tasso di vaccinazione scende allora sotto la soglia che assicura l’immunità collettiva... Così, nel corso degli ultimi decenni, la Svizzera ha conosciuto diverse grandi epidemie di pertosse (1994-1995) e di morbillo (2006-2009), malattie che si pensavano sotto controllo.
Vaccini per la protezione individuale
I vaccini non contribuiscono soltanto al controllo delle gravi malattie contagiose, ma anche alla loro eradicazione. Proteggono l’individuo anche da malattie non contagiose, come il tetano o la meningoencefalite da zecche. In questo caso, l’immunità collettiva non gioca alcun ruolo: si può contrarre una tale malattia anche se tutte le persone con le quali si è contato sono ben immunizzate.
(da: infovac)
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La storia dell’uomo è stata caratterizzata da decine di epidemie e pandemie, prima di quella determinata dal Sars-Cov-2. Le più importanti raccontate nel nuovo quaderno dedicato ai virus
La storia dell’uomo, così come quella degli animali, è stata caratterizzata da decine di epidemie e pandemie causate da virus ignoti e da altri che abbiamo imparato a conoscere molto bene. Nell’ultimo secolo, per esempio, la tristemente famosa influenza spagnola nel 1918 contagiò mezzo miliardo di persone uccidendone almeno 50 milioni, anche se alcune stime parlano di 100 milioni di morti.
Esiste anche un valore chiave per capire questo con concetto, chiamato R0: in epidemiologia è un valore numerico che rappresenta il numero medio di persone che vengono contagiate da ciascuna persona infetta. Se il suo valore è 2, significa che ogni malato contagia due sani. Più R0 è elevato, più l'agente patogeno si diffonde velocemente, mentre se questo valore è inferiore a 1 la malattia tende a estinguersi da sola nella popolazione. R0 non dipende solo dalle caratteristiche dell'agente infettivo: densità e mobilità della popolazione, condizioni igieniche e climatiche e numero di persone immuni o vaccinate possono limitare o favorire la diffusione di un virus.
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