[Gianni Spagnolo © 21N28]
Correva quel decennio del secolo scorso in cui passò il mondo vecchio e s’affacciò d’imperio quello nuovo. Un'enorme scopa aleggiava sulla Valle, come il biblico ventilabro, per spazzar via l'antico e far posto al moderno.
Sul paesello garriva da ormai cent’anni il patrio tricolore, che aveva passato due guerre perdendo l’orpello sabaudo. Un vento nuovo e gagliardo lo sventolava, penetrando fin oltre le porte della Chiesa, dove, sull’onda del Concilio, divelleva balaustre, spostava altari e portava lingua e musica nuova. Si scioglievano i nodi antichi e se ne creavano di più freschi e seducenti.
Il paese era scosso fin dalle fondamenta dalla frenesia del nuovo e nulla sarebbe più stato come prima. Chiudevano le stalle, sparivano le posse e i cessi esterni, le vecchie fontane lasciavano il passo ai parcheggi della motorizzazione di massa. Cessava il casèlo e le botteghe rottamavano sèssole, sacchi e bassacune per far posto a sfavillanti prodotti preconfezionati. Lucenti elettrodomestici scalzavano riti e consuetudini fossilizzate da secoli; basta lavandare alle fontane, basta càneve col vedólo dei capussi nel cantòn, basta el butiéro fora dala finestra, basta filò in stala. Rénte ala fornèla rivava el gas cola bonbola blu spussolente, tólta dala Rosina o da Catinòn. Parfìn la polenta desso la se cusinava sul gas co la pignata de luminio dal mànego fora drito. Calieri, mescole, panari, brundi, farsore e tanti altri pignatamìnti del vecio mondo i finiva inbusà in càneve e granari.
Sulle strade ormai tutte lucide di nero godròn arrancavano furgoncini stracarichi di sfavillante e moderna mercanzia. Vasche, catini, scolapaste e chincaglierie di Moplén, e … le careghéte. Chi ha inventato la permuta delle careghéte avrebbe certamente meritato, se esistesse, il Nobel del marketing.
Le careghéte erano delle seggioline per bambini con un telaio portante di ferro cromato o verniciato sul quale erano avvolti fili tubolari di plastica colorata intrecciati a formare la seduta e la spalliera. Rappresentavano la quint’essenza della modernità ed erano rivolte specificatamente ai piccoli. Gli ambulanti scambiavano furbescamente la careghéta con un caliero di rame. On caliéro par na careghéta, senplice ciò! E geniale! N'ocor gnanca tirar fora schéi, varatì!
I bambini stravedevano per quella careghéta colorata, moderna, morbida e luccicante; altro che cuéle grande de paja e mede scorajà che girava par casa. La modernità e, soprattutto, la dimensione specifica per bambini di quelle seggiole, le rendevano l’oggetto del desiderio di ogni fanciullo in fiore. L’insistenza dei bambini per entrare in possesso di quella careghéta incontrava quello delle mamme di sbarazzarsi dei caliéri dal culo bombato e ingranissà, diventati ormai inutili ingombri nella moderna economia domestica. Missieri e Madòne, spinti ai margini dalla frenesia del nuovo, restavano mestamente a guardare l’impari lotta fra la tradizione e il progresso che già stava sconvolgendo l'arredo di casa.
Lo scambio era impari, ma il valore aggiunto pendeva tutto a favore di quella careghéta, mentre l’augusto e spento rame, o il bronzo di quelle pentole, che avevano passato due guerre e sfamato con fatica almeno un paio di generazioni, cedeva il passo alla bassa lega di quei tubolari, cromati o verniciati alla buona e avvolti da plastica dozzinale.
Anch’io ho avuto la mia bella careghéta blu; era il mio orgoglio e il mio trono. Ci stavo solo io, non dovevo condividerla con i grandi, che non c'entravano neanche: era tutta mia!
Non so che fine abbia fatto quella seggiolina, l’ultimo ricordo che ne ho è della plastica sfibrata dall’uso. In granaro, però, ci sono ancora quattro caliéri dal fondo ingranissà. Qualcuno ha ancora i ganci di bronzo, alla vecchia maniera. Si sono presi la rivincita, sono sopravvissuti alle careghéte, perché rame e bronzo sfidano i secoli meglio che ferrasso e plastica. Contrappassi della storia e rivincite della memoria.
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