Ma poi, dopo il Natale, dopo la “Bona man” del primo giorno dell’anno nuovo, arrivavano i giorni dell’attesa, arrivava il momento magico del dono… arrivava la befana. “Viene, viene la befana. Vien dai monti a notte fonda. Com’è stanca! La circonda neve, gelo e tramontana. Viene, viene la befana…” Ce l’avevano insegnata a scuola questa tenera poesia del Pascoli. E noi aspettavamo che arrivasse. Fuori, il paese profumava di fumo e di resina di abete. Dentro le case le calze vuote, vicino al camino, come scrigni preziosi da riempire e poi, forzatamente, necessariamente, magicamente a letto! Eh sì... perché la vecchietta dall’orrido viso, ma dal cuore generoso, non sarebbe arrivata se i bimbi non fossero stati a letto e… addormentati! Dormivo, per necessità durante le feste quando la mia casa si riempiva di fratelli e di parenti che tornavano da lontano, dormivo per necessità in un lettone matrimoniale con altri due mie fratelli. Io, più piccolo, non ci stavo male là in mezzo a loro due, ma, in quella notte di attesa, di tensione e di paura, in quella notte fatata e fatale ci stavo proprio benissimo! Al sicuro, in mezzo, sotto le coperte e… spegnere la luce. Ma c’erano i rumori. Sì, perché nella notte in cui arrivava la befana i rumori erano tutti più vividi e netti, vicini, anche quelli che abitualmente erano consueti e lontani: una gallina chiocciava, per farsi largo tra le altre all’interno del pollaio sotto la finestra della camera e… “Eccola, l’ho sentita! La befana…!” Il vento faceva scricchiolare la vecchia grondaia arrugginita della legnaia e… “Eccola, l’ho sentita! La befana…!” In cucina mia madre chiudeva la credenza con un colpo secco, già udito mille e mille volte, ma, in quella sera magica… “Eccola, l’ho sentita! La befana…!” Il sonno arrivava, come sempre, ma più profondo e voluto e desiderato quella sera. Nessuno avrebbe potuto vedere il viso della vecchietta quando, sicuramente, avrebbe spiato in camera, scostando leggermente la porta, per controllare che, come dovuto, tutti i bambini dormissero! Passava, la befana e lasciava i suoi doni attesi, consueti e sempre nuovi: caramelle, qualche raro pezzetto di cioccolato, del torrone e poi castagne secche (le "stracca ganasse"!) qualche dattero, fichi secchi e mandarini. Ma mio Dio com’erano diversi, e buoni, i mandarini della befana! Di solito, ci trovavo anche un pezzetto di carbone… Uno screzio! Un ammonimento perché, se i doni erano meritati si poteva sempre, comunque fare meglio. Era un’indicazione quel carbone… Un invito al continuo, costante miglioramento per l’anno nuovo, appena iniziato! A casa eravamo in tanti e la befana lasciava un solo gioco, un unico gioco che era per tutti: costruzioni di legno, macchinine metalliche, un pallone e, solo negli ultimi anni, una bambola, per mia sorella Annamaria che, ultima ed unica femmina dopo sei figli maschi, meritava un dono speciale: la bambola parlante. Col disco in vinile, grande poco più di un ditale, posto in una “porticina” dietro la schiena, tra le scapole della malcapitata bambola! Peccato che Annamaria, femmina dopo sei maschi si divertisse di più con i palloni, le corde e le costruzioni rispetto ai giochi “da femmina” ai quali non era abituata! Una befana buona, parsimoniosa, ma gentile e generosa… Una befana per coltivare l’attesa di un dono. Una befana vera che veniva, che arrivava davvero dai monti… a notte fonda…
Lucio Spagnolo
Complimenti Lucio, insisti con i tuoi racconti, sono sempre graditissimi.
RispondiEliminaMi associo ai compliment, Lucio. Nello scrivere hai manina santa e lieve, nonché grande ispirazione.
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