Il filò di solito si faceva nelle
stalle, il luogo più caldo della casa, grazie al fiato delle bestie
che erano quasi sempre parecchie, dato che servivano per i lavori di
traino e di aratura.
Dopo cena la famiglia vi si trasferiva al completo e spesso si univa loro qualche vicino o qualche giovanotto che faceva la corte alle ragazze di casa.
A meno che non fosse festa, i contadini non stavano mai con le mani in mano, c’era sempre qualcosa da fare.
C’era chi aggiustava gli attrezzi, chi intrecciava cesti di vimini, chi faceva le scope con i rami di saggina, chi sgranava le pannocchie, chi preparava le trappole per gli uccelli da mettere presso i pagliai nell’aia il giorno dopo, tanti erano i piccoli lavori di tutti i giorni.
Ma più di tutti lavoravano le donne che con l’inizio dell’inverno avevano rimontato il telaio e ripreso il lavoro della filatura e della tessitura, senza contare il lavoro a ferri per le calze e le maglie di tutta la famiglia che di certo una volta non si compravano nei negozi come ora.
Ma mentre le mani erano occupate in cento cose, fiorivano i racconti e le storie più o meno fantasiose sui fatti recenti o passati relativi alla comunità, ai ricordi, agli avvenimenti di guerra o semplicemente ispirati a favole o a storie di paura che incantavano soprattutto i più piccoli.
Tanti una volta erano i luoghi dove si diceva che “ci si vedeva” o “ci si sentiva”, specialmente di notte lungo strade fiancheggiate da grandi siepi, in palazzi disabitati o nei pressi di mulini, ponti e conventi…
Perché in campagna una volta le notti erano veramente buie, di un buio che oggi non possiamo nemmeno immaginare, e anche con la luna, chi si trovava a dover viaggiare dopo il tramonto lo faceva sempre con passo svelto e attento ad ogni rumore, che anche il rumore dei propri passi poteva dare l’impressione di essere seguiti e di avere a che fare con un fantasma o un’anima in pena.
Così nascevano i racconti di paura che, un po’ veri e un po’ inventati, si raccontavano un inverno dopo l’altro nei filò, quando ancora non esistevano radio e televisione.
Dopo cena la famiglia vi si trasferiva al completo e spesso si univa loro qualche vicino o qualche giovanotto che faceva la corte alle ragazze di casa.
A meno che non fosse festa, i contadini non stavano mai con le mani in mano, c’era sempre qualcosa da fare.
C’era chi aggiustava gli attrezzi, chi intrecciava cesti di vimini, chi faceva le scope con i rami di saggina, chi sgranava le pannocchie, chi preparava le trappole per gli uccelli da mettere presso i pagliai nell’aia il giorno dopo, tanti erano i piccoli lavori di tutti i giorni.
Ma più di tutti lavoravano le donne che con l’inizio dell’inverno avevano rimontato il telaio e ripreso il lavoro della filatura e della tessitura, senza contare il lavoro a ferri per le calze e le maglie di tutta la famiglia che di certo una volta non si compravano nei negozi come ora.
Ma mentre le mani erano occupate in cento cose, fiorivano i racconti e le storie più o meno fantasiose sui fatti recenti o passati relativi alla comunità, ai ricordi, agli avvenimenti di guerra o semplicemente ispirati a favole o a storie di paura che incantavano soprattutto i più piccoli.
Tanti una volta erano i luoghi dove si diceva che “ci si vedeva” o “ci si sentiva”, specialmente di notte lungo strade fiancheggiate da grandi siepi, in palazzi disabitati o nei pressi di mulini, ponti e conventi…
Perché in campagna una volta le notti erano veramente buie, di un buio che oggi non possiamo nemmeno immaginare, e anche con la luna, chi si trovava a dover viaggiare dopo il tramonto lo faceva sempre con passo svelto e attento ad ogni rumore, che anche il rumore dei propri passi poteva dare l’impressione di essere seguiti e di avere a che fare con un fantasma o un’anima in pena.
Così nascevano i racconti di paura che, un po’ veri e un po’ inventati, si raccontavano un inverno dopo l’altro nei filò, quando ancora non esistevano radio e televisione.
la campagna appena ieri
Una sera che era buio scendevo per andare a casa dalla strada del capitello dei Fozati e arrivato a fare la curva della valle dell'orco vedo dopo la curva una cosa bianca che galleggiava nell'aria. Ho avuto un momento di smarrimento ma ho continuato la strada e ho incrociato e salutato un amico che saliva ai Costa con una camicia bianca.questa era la cosa bianca che galleggiava nell'aria dovuta al camminare e non si vedeva il resto della persona perché coperto dal muretto. Ma al momento un po' di paura ho avuto per una cosa che subito non ho capito cosa era. Sentire parlare della valle dell'orco creava sempre un certo nervosismo e paura allora. Francesco Lorenzi
RispondiEliminaÈ possibile avere questa immagine in buona risoluzione?
RispondiEliminaSolo per una ricerca personale nessun profitto.