sabato 25 gennaio 2020

Il tempo del gelo - di Dana Carmignani

Più che dalla fine delle feste, il primo mese dell’anno, si rappresentava al meglio col freddo. Cominciavano in questo periodo le gelate, che interessavano tutta la campagna, ma anche case e persone forzatamente.
Il fuoco in questo periodo non si spengeva mai. L’unico mezzo di sostentamento per bestie e cristiani andava tutto il giorno, producendo quel tanto di calore che bastava per vivere o sopravvivere ad inverni rigidi che proprio in questo mese e in quello dopo, davano i loro picchi più forti di un diaccio, che imperversava ovunque.
La brinata era spettacolare al mattino e così bianca spennellava prati e alberi che rimanevano incantati in posizioni che pareva fossero state prese di proposito dagli arbusti, come se giocassero a qualche gioco particolare che solo loro conoscevano.
Mani che si protraevano al cielo allargandosi come dita vogliose, o allungandosi al contrario verso terra come se cercassero un qualcosa di incommensurabile, mi rincorrevano in quelle mattine così gelide, mentre con la bicicletta, per seguire il mio compito di scolara, seguivo la strada, osservando intorno un cielo che si alzava sopra di me protettivo come sempre.
Il bello di quei giorni gelidi è che era bello, di solito sole e cielo azzurro, imperversavano dopo quelle mattinate, e insieme al freddo davano una consistenza strana alla giornata, perchè vedevi coesistere insieme pur se sembra strano, tutte le stagioni e potevi quasi toccarle.
Il rio gelato era un incanto, il ghiaccio bloccava l’acqua che si fermava in lastre piene di bollicine e che riflettevano la luce. I ghiaccioli pendevano dai tetti, dalle carrucole del pozzo, ogni rivoletto d’acqua era fermo ghiacciato in un istante che i primi raggi di sole avrebbe sbloccato, come se un incantesimo avesse fermato la vita stessa pensavo e poi la facesse di nuovo scorrere.
Anche la nostra vita, già difficile in quei giorni diventava più dura, ma io non la sentivo. Mi ero abituata a mettere i panni nel letto al mattino prima di indossarli, per scaldarli un po’. Le camere, come il resto della casa erano gelate, e poi mi precipitavo di sotto al fuoco che andava.
Non mi rendevo conto della difficoltà, era per tutti normale vivere in ristrettezze economiche e quella era la vita in inverno per i contadini, una serie di compiti che dovevi mettere in pratica tu lo volessi o no se volevi andare avanti.
Uno dei compiti del periodo che prevedeva quel gelo feroce, ma anche giornate splendide di sole e cielo azzurro, era la preparazione dei sostegni che sarebbero serviti per la vigna o altre piante.
Ecco, in quelle giornate nonno cominciava a tagliare le canne sulla puntina e le preparava per usarle... venivano tagliate a misura, appuntite in fondo e pelate. Venivano belle liscie levigate e sistemate per poi essere messe a sostegno delle piante di viti nella vigna o della pergola, anche di roseti o fiori... le canne servivano sempre. Insieme alle canne, si preparavano anche le calocchie, speciali pali di varie misure, sempre per lo stesso motivo di sostegno, solo che queste ultime si prendevano e si sbucciavano proprio come delle patate. Nonno eseguiva l’operazione a giornate intere, con quegli scarti di lavoro che si ammucchiavano ai suoi piedi, con me che osservavo ballettando intorno e pregustando già il falò che con quei residui si sarebbe fatto per l’ultimo giorno di carnevale. Infatti nonno, già preparava quell’incombenza, portando i resti di quelle pelature, sul prato davanti in preparazione di quel rito che a me e ad Argo, il nostro cane lupo, piaceva tanto.
Si tagliavano anche i salici, da noi “torchi”, per farne legacci di varie misure, che servivano per legare viti e tutto ciò che necessitava e per far cesti e canestri.
Si stava fermi a gennaio al gelo? No... si stava un po’ più accorti, tanto quanto il tempo lo permetteva, ma poi si lavorava e si usciva e si stava fuori, o almeno io stavo fuori, a ginocchia scoperte, senza guanti, senza cappello, senza niente, ma con la capacità di stabilire un contatto fra me e quella natura che mi ospitava, che poi non mi avrebbe abbandonato mai. Un contatto che anche in quelle gelide giornate di gennaio, trovava modo di esprimersi, fra mondi immaginari che, proprio per quello, per il gelo, mi sembravano ancor più immaginari e non reali.
Mi pareva di vivere esperienze che dovevo captare, imprimermi nel cervello come chiodi conficcati che bloccano emozioni che non devono scappare, che non devono esistere solo per un attimo, ma fermarsi, imprimersi nei ricordi, nella memoria, per continuare e continuare anche quando non ci sarebbero state più. Devono continuare perché tu le hai vissute certe emozioni, le hai viste, le hai toccate con mano e le hai sistemate dentro di te... questo dovevo fare in quei giorni gelati… sistemare la vita.

Nessun commento:

Posta un commento

Avvisi della settimana

Sabato 1 e domenica 2 febbraio alle porte delle chiese di tutta la valle ci sarà la vendita delle primule a favore del Centro di aiuto alla ...