Gli odori, i momenti, i rumori e i ricordi. I fiocchi raccontati da Mario Rigoni Stern: «Dirò di come le nevi, un tempo venivano indicate dalle mie parti» sull’altopiano di Asiago
Mario Rigoni Stern sull’altopiano di Asiago (Vittorio Giannella)
«Ho
tante nevi nella memoria. Nevi di slavine, nevi di alte quote, nevi di
montagne albanesi, di steppe russe, di lande polacche, e anche nevi di
gare», scrisse nel ‘93 su un «Quaderno» dell’Istituto di cultura cimbra
diretto da Sergio Bonato in un articolo poi ripreso nel libro «Le vite
sull’altopiano», «Ma non di queste intendo parlare: dirò di come le
nevi, un tempo venivano indicate dalle mie parti». A partire dalla
«Brüskalan» che secondo la vecchia Arnia era «la prima neve
dell’inverno». Perché sì, certo, «nevicava, anche a ottobre e a
novembre, ma questa autunnale è una neve fiacca, flaccida, che
interrompe il pascolo delle vacche sui prati sfalciati in settembre e il
lavoro del bosco quando il terreno non è ancora gelato». Una neve
fastidiosa il Giorno dei Morti «quando le ghirlande di latta e le felci
vere di bosco sgocciolano l’acqua della neve sulle tombe ripulite».
«Ma quando brüskalanava era diverso.
Il terreno, dopo l’estate di San Martino, era ben gelato e risuonava
sotto le nostre scarpe chiodate con brocche e giazzini. Se lo sentiva
nell’aria l’odore della prima neve: un odore pulito, leggero; più buono e
grato di quello della nebbia». Allora «sopra le nostre teste arruffate
cadevano le prime stille. Aprivamo la bocca verso l’alto per sentirle
sciogliersi sulla lingua». E «in breve la neve copriva la polvere delle
strade; l’erba secca sui pascoli, la segatura di faggio nei cortili, le
tombe nel cimitero. Le voci, i rumori del paese; i richiami dei passeri e
degli scriccioli si ovattavano e a questo punto la Brüskalan diventava
vera sneea: neve abbondante e leggera già dal molino del cielo».
Neve, neve, neve.
Sono tanti i libri Einaudi di Mario Rigoni Stern con la neve in
copertina. Da «Il sergente nella neve» a «Racconti di caccia», da
«Stagioni» a «Il bosco degli urogalli» da «Storia di Tönle» a «Ritorno
sul Don». Nevi dolci, nevi allegre, nevi da incubo, che ti trascinano
dentro la ritirata di Russia alla seconda riga: «Ho ancora nel naso
l’odore che faceva il grasso sul fucile mitragliatore arroventato. Ho
ancora nelle orecchie e sin dentro il cervello il rumore della neve che
crocchiava sotto le scarpe, gli sternuti e i colpi di tosse delle
vedette russe, il suono delle erbe secche battute dal vento sulle rive
del Don».
La neve che costò la vita al Marangoni,
«un ragazzo, anzi un bambino» che nella steppa sconfinata chiedeva «da
che parte è l’Italia, sergentmagiú?» e «una mattina, smontato all’alba,
era salito sull’orlo della trincea a prendere la neve per fare il caffè e
vi fu un solo colpo di fucile. Piombò giù nella trincea con un foro in
una tempia». La neve che mordeva i visi sconvolti degli alpini in
marcia: «Si levò il vento. Dapprima quasi insensibile, poi forte sino a
diventare tormenta. Veniva libero, immenso, dalla steppa senza limiti».
Neve di speranza, a volte:
«Nella ritirata dell’inverno una lepre correva in direzione della
colonna in marcia (...) Spaurita dalle grida correva tra le gambe dei
soldati e nessuno riusciva a prenderla. Quando alla fine scappò fuori le
spararono anche con i fucili e i mitragliatori. Correva a scatti e
lampeggi senza nessun senso, e vedendola correre così nella neve gli
venne il pensiero: “Se quella riesce a scappare uscirò anch’io”. Pregava
che si salvasse. La lepre si salvò ed ebbe fiducia. Ritornò congelato,
stravolto come la lepre, ma ritornò».
Poi la neve di pace:
«Venne il sole e tutto era nuovo e puro e, come incominciò a scaldare,
vedemmo gli scoiattoli attraversare di corsa la mulattiera, arrampicarsi
lesti sugli abeti e fermarsi poi a guardarci con quegli occhietti
allegri e stupiti». E quella delle stampe vendute da Tönle in giro per
l’Europa: «In una c’era raffigurato l’attacco notturno di un branco di
lupi a una slitta in corsa dentro una foresta carica di neve». E quella
dei balilla sciatori che, ricevuti dal regime «scii veri, di frassino,
con gli attacchi a leva» aspettavano frementi che «magari quella notte
stessa venisse la neve. Che venne! Era stato il duce che aveva fatto
nevicare!».
Sapeva tutto, «el Mario», delle nevi.
Soprattutto delle «sue». E spiegava che «quando l’inverno stava per
finire la sneea diventava haapar. Sulle rive al sole andava via per la
terra in mille e mille gocce e appariva il bruno del suolo. Era il tempo
che si sentivano le prime allodole: una mattina ti correva un brivido
per la pelle ed era il loro canto alto nel cielo sopra l’haapar».
Dopo l’haapar, scriveva, veniva l’«haarnust».
La neve che «verso la primavera, nelle ore calde, il sole ammorbidisce
nella superficie e che poi il freddo della notte indurisce». E dopo «la
sbalbalasneea: la neve della rondine, la neve di marzo che è sempre
puntuale nei secoli» e poi la «kuksneea» cioè «la neve del cuculo perché
è lui, il gioioso uccello risvegliatore del bosco, che qualche volta la
chiama per divertirsi quando si sfalda dai rami delle conifere». E dopo
ancora «la bàchtalasneea: la neve della quaglia» che può arrivare
«quando i prati si coprono del giallo solare dei fiori del tarassaco e
le api dall’alba al tramonto sono indaffarate nella raccolta». Per non
dire, in rare estati matte, della «kuasneea: la neve delle vacche» al
pascolo in malga. Su tutte, però, splende la neve del ritorno di Tönle,
finalmente, a casa: «Il ghiaccio sui vetri aveva ricamato fantastiche
tendine e la luce della luna che riverberava dalla neve si spandeva
tenue e soffusa per la stanza facendo scintillare come tante stelle la
calaverna delle pareti così che sembrava d’essere stesi dentro un cielo
tiepido».
(segnalato da Giuseppe Mattielli a proposito del bel commento di Falco sul post di Rasetle)
Andaloke, ... che palo longo!
RispondiEliminaAlpenstock
Eliminal'Alpenstok nol ga mìa el rissolo in sima.
Eliminael ga el corno del camoscio
EliminaBellissimo racconto. Peccato che non abbiamo più scrittori di questo stampo.
RispondiEliminaQuanto ci manca...
RispondiEliminaAbbiamo anche pochi uomini di questo stampo, di questo spessore morale ed etico!
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