"Mi chiamo Irene, ho 26 anni e sono un'architetta. Mi sono
‘licenziata’ da uno studio in cui ho lavorato nove mesi, quando ho capito
che stavo per perdere la dignità, facendomi trattare come un’incapace
che non avesse voglia di lavorare. Ho messo le virgolette perché per
licenziarsi si dovrebbe avere un contratto, utopia in uno studio di
architettura, in cui al massimo si può scegliere se essere un
‘dipendente con partita Iva’ o un ‘collaboratore occasionale’, così
occasionale da lavorare minimo otto ore al giorno tutti i giorni".
"Vivevo così male in quello studio che passavo le mie serate a
mandare curriculum e ho fatto vari colloqui. Sono arrivata quasi a
divertirmi, quando, in sede di colloquio, oltre al chiedermi se sono
sposata (ma queste storie le abbiamo già sentite da molte altre...) un
architetto è arrivato a chiedermi se vivo da sola o con i miei genitori,
sostenendo che ‘alla fine se vivi con i tuoi che spese vuoi avere…’:
dialogo che mi ha lasciata talmente attonita da non riuscire nemmeno a
rispondergli. E’ impensabile immaginare che una persona a ventisei anni
voglia crearsi una vita?".
"Ma il punto è che oramai è diventato così normale che ci siamo
abituati, perché si sentono storie di ragazzi che lavorano
gratuitamente, quindi bisogna ‘ritenersi fortunati di poter lavorare,
almeno si impara qualcosa’. E’ diventato talmente normale che ci
sentiamo in dovere di ringraziare che ci venga offerto un lavoro, come
se ci venisse fatto un piacere e non fossimo noi a fare un piacere a
loro, lavorando per pochi euro al giorno".
"Ci siamo dimenticati che il lavoro è un nostro diritto, così come è
un nostro diritto andare a fare una visita medica o prenderci un giorno
di ferie, così come sposarci o fare dei figli: stiamo abbandonando dei
diritti che sono stati conquistati con fatica dai nostri genitori,
perché non siamo più in grado di ribellarci. Quale sarà il prossimo
diritto a cui rinunceremo? I nostri figli quali altri perderanno?".
"Se tutti coloro che lavorano in situazioni simili alla mia, o
peggiori, un giorno smettessero di lavorare, chi porterebbe avanti il
lavoro che stanno facendo? Come farebbero senza di noi? Dobbiamo
renderci conto che siamo indispensabili, ma soltanto se siamo tutti
assieme, perché se io smetto di andare a lavorare, il giorno dopo il mio
capo ‘ne trova altri dieci fuori dalla porta’, come mi sono sentita
rispondere molte volte".
"Qualche tempo fa un’amica mi disse: ‘Organizziamo la rivoluzione!’.
Mi venne da sorridere come se mi stesse chiedendo un’assurdità, come se
parlasse di una cosa anacronistica. Mi chiesi perché oggi non facciamo
più sentire le nostre idee: siamo diventati forse la generazione dei
non-coraggiosi? Ringrazio mio padre di avermi trasmesso la voglia di
dire la mia opinione, pur non sapendo se avrà qualche esito. Non
importa, mi dico, e mi cresce la voglia di lanciare un appello:
"facciamola davvero la Rivoluzione!".
Eh, quelli che "governano la società" e sono incapaci di tutto, ma hanno le maniglie
RispondiEliminae possono fare gli sfruttatori... e tanti, per un piatto di lenticchie... votano i propri
sfruttatori, loro hanno i soldi, loro unica capacità...