domenica 28 gennaio 2018

Una musica che viene dal cuore

La farina. Mi ci sporcavo sempre. A mia nonna restava attaccata sul grembiule. Ci rimaneva per ore. Toccare la pasta non mi era permesso. Potevo solo toccare la farina in un angolo della tavola di legno. Farina e acqua, niente più. Mia nonna invece faceva la pasta, quella vera. Il rito era sempre uguale. La tavola di legno veniva estratta da sotto il tavolo. Si fissava bene. Sopra al tavolo erano pronte: uova, farina, un bicchiere con un po’ d’acqua, una ciotola con del sale. Era sempre di domenica. Domenica d’inverno cobalto, dura come il freddo che scendeva a gelare tutto, a coprire con il suo ghiaccio anche i più piccoli fili d’erba. Tutto pronto. Il matterello consumato di generazioni di bisnonne al lato del tavolo. Tutto pronto dunque. Un bel mucchietto di farina sulla tavola e un bel buco in mezzo scavato con le mani. Il suono delle uova che si rompono e dolcemente affondano nella farina. Una forchetta anche, l’avevo dimenticato. Una forchetta per sbattere le uova, un pizzico di sale, un goccio di acqua. Appena appena quel tanto che basta per ammorbidire la pasta. La delicatezza delle mani nel spingere la farina a poco a poco e l’impasto. Le mani che si appiccicano sulla pasta che piano piano comincia a formarsi e continuando a lavorare la fanno diventare liscia. Quelle mani. Le mani di mia nonna, scarne, che sembrano pronte a cedere da un momento all’altro con quella fede di un matrimonio che fu, che si intravede tra gli stracci di pasta e il bianco della farina. Mani che lavoravano l’impasto con una tale poesia che non ho mai più visto. Mentre la pasta riposava, sempre se non avevo combinato qualche guaio potevo usare il matterello, per stendere la mia piccola pallina di impasto fatta solo con acqua e farina. Le uova costavano e non potevano essere sprecate. Mia nonna mi spiegava come girare il matterello. Ci mettevo tutto l’impegno del mondo, perché mia nonna era una  tosta e voleva sempre che le cose venissero fatte bene. E soprattutto doveva essere sempre tutto pulito e organizzato. Poi il matterello lo prendeva lei. E allora era una musica. Era come se la migliore orchestra del mondo suonasse la musica più bella del mondo. Non l’ho mai detta a mia nonna questa cosa. Era una musica bellissima. Quando era lei a stendere la pasta ad ogni tocco la pasta toccava la tavola di legno e usciva dal matterello con un rumore che in dialetto si chiama ‘lu schioccu’. Quando aveva raggiunto la giusta rollata la pasta era fina, stesa bene e pronta. Allora si decideva se fare i tortellini o i ravioli o i maltagliati o, più spesso, le tagliatelle. Si arrotolava la pasta e si tagliava col coltello. Si stendeva sulla tavola con un pizzico di farina. Quello era il mio ruolo, spargere il pizzico di farina sulla pasta per non farla attaccare. Quando sono diventata grande abbastanza ho potuto fare anche io finalmente la pasta, passando prima per l’impasto, la stesa, la chiusura dei tortellini, e il taglio delle tagliatelle rigorosamente a mano e col coltello. Così quando i giudici di MasterChef Professional in Uk mi hanno chiesto perché non avevo usato la macchina per fare le tagliatelle, io non ho avuto il coraggio di dirglielo. Non sono riuscita a rispondere che una macchina per fare le tagliatelle non solo non l’avevo mai usata, ma forse nemmeno mai vista. Perché per fare la pasta ci vuole la musica, non una macchina, ma la musica. Una musica che viene dal cuore.
simpatica storiella che anch'io ho vissuto
trovata nel web

Nessun commento:

Posta un commento

Girovagando

  Il passo internazionale “Los Libertadores”, conosciuto anche come Cristo Redentore, è una delle rotte più spettacolari che collegano l...