Da qualche mese i telegiornali ci bombardano di notizie
incoraggianti sulla continua crescita del nostro Paese. Sale il numero
degli occupati a tempo indeterminato, aumentano, seppure di cifre
minuscole, i consumi e la crisi sembra ormai un brutto sogno
alle nostre spalle. Ma è davvero così? Vivo da molti anni nella
provincia del Centro Italia e quando esco di casa, parlo con le persone
e la sensazione è di segno completamente opposto. Dopo otto anni di crisi,
i pochi risparmi messi da parte sono stati ormai
bruciati, il possesso di una casa — vuoi per il mutuo che vi grava
sopra, vuoi per l’impossibilità di vendere dato il totale stallo del
mercato — si è trasformata in una vera e propria jattura.
Possedere un immobile è ormai diventato un fattore di
povertà. Le famiglie riescono a vivere, o meglio a sopravvivere, finché
c’è un nonno in casa che ha una pensione, ormai l’unico reddito certo.
Il mondo delle scintillanti start up è sideralmente
lontano. I giovani contemplano i loro inutili e fantasiosi diplomi di
lauree triennali — ottenuti con non pochi sacrifici da parte delle
famiglie — che si sono rivelati alla fine meno efficaci della diavolina
per accendere il fuoco. Il foglio di annunci economici
della zona è pieno di laureati 110 e lode che si offrono per
ripetizioni scolastiche o qualsiasi altro lavoro. Fantasie di un
passeggiatore solitario? Non proprio, dato che l’Istat conferma che il
Pil pro capite dell’Umbria è sceso del -8,37%. Più che sceso,
direi precipitato. Il più basso d’Italia. E oltre al Pil più basso,
l’Umbria sembra avere un altro privilegio: il più alto numero di persone
impiegate nella pubblica amministrazione in relazione alla densità
abitativa della popolazione.
Umbria desolata?
Eppure l’Umbria non è una landa desolata, devastata dalla malavita.
È, o almeno era, una regione baciata dalla fortuna. Gode di un grande
patrimonio storico artistico, oltre che di un paesaggio incantevole —
seppure intaccato dagli
orrori delle lottizzazioni — ancora integro e pieno di fascino, di una
natura collinare e montuosa che sarebbe il paradiso per le piccole
coltivazioni di qualità e per il turismo verde. Allora, come è possibile
questo stato di gravissima sofferenza economica
e di inerzia produttiva? È certo che la prima randellata sulla testa
delle famiglie è stata inferta dal cambio di moneta che ha dimezzato di
colpo il valore degli stipendi, con relativa capacità di acquisto. E
poi, a questo primo imprevisto e drastico declassamento,
lenti e inesorabili, si sono aggiunti i morsi della crisi che hanno
eroso con diligente pazienza, anno dopo anno, tutti i tesoretti
accumulati dalle famiglie. «Non ce la faceva più» è il commento che
sento mormorare più di frequente quando mi trovo davanti
a un’altra saracinesca abbassata a Orvieto. «Non ce la faceva più» si
bisbiglia davanti all’ennesima lottizzazione lasciata incompiuta: le
bocche nere delle porte e delle finestre, i piloni di cemento rimarranno
lì a testimoniare la scelleratezza di un’epoca
di incoscienza. «Non ce la faceva più» potrebbe essere il leitmotiv
che accompagna l’inesorabile declino di un intero mondo fino a ieri
attivo e operoso. Basta un breve viaggio nelle campagne dell’Umbria per
accorgersi del gran numero di uliveti
non più curati, di vigneti lasciati malinconicamente inselvatichire.
Per un privato, possedere un uliveto, spesso ereditato, è ormai una vera
maledizione. La raccolta delle olive è un’operazione lunga e faticosa
e, fino a qualche anno fa, era possibile unicamente
grazie alle grandi famiglie e alle comunità del posto che si rendevano
disponibili a dare una mano. Ma ora non è più fattibile.
Uva, olive e burocrazia
Per legge, infatti, sui propri terreni possono lavorare soltanto i
parenti strettissimi, padri e figli. Qualsiasi altra persona, lontano
cugino, amico, vicino di casa, deve essere regolarmente retribuito.
Così, chi chiamava gli
amici a raccogliere le olive, regalando alla fine parte del raccolto
per farsi l’olio non lo fa più perché rischia una multa in grado di
abbattere un bilancio familiare. Produrre l’olio per trarne un guadagno
dalla vendita è possibile forse ormai soltanto
a chi possiede enormi estensioni di olivi e macchine in grado di
effettuare la raccolta. L’uva e le olive condividono lo stesso destino.
Per ambedue, i controlli sui lavoranti sono serrati e implacabili. In
tempo di vendemmia, il cielo è spesso solcato da
elicotteri che fotografano i fedifraghi che si fanno aiutare dagli
amici, dai cugini di secondo grado o dal fidanzato della figlia. Non
solo, a dare man forte arrivano anche le truppe via terra, bloccando la
vendemmia per un giorno intero, se non due, alla
ricerca del sicuro abuso compiuto. Così, dopo diversi anni di queste
continue incursioni un mio conoscente, pur risultando ogni volta
totalmente in regola, alla fine ha deciso di comprare la macchina per la
vendemmia. La macchina naturalmente funziona benissimo
ma dodici operai sono rimasti, e rimarranno per sempre, a casa.
L’agricoltura di qualità sarebbe una grande opzione per queste zone
collinari. Sarebbe, se si permettesse di farla, se non ci fosse una
pletora di leggi, leggine, controleggi, balzelli, ordinanze,
contro ordinanze gestite da un gran numero di enti spesso in contrasto
tra loro — Comunità Montana, Forestale, Asl, Provincia, Regione,
ministero dell’Agricoltura, Unione Europea e chi più ne ha più ne metta —
che attuano degli ossessivi controlli degni di
uno Stato totalitario. Controlli che avrebbero il fine ultimo di
circoscrivere gli abusi ma che in realtà servono soltanto ad esasperare e
a legare le mani a chi vuole intraprendere qualcosa, mentre i
disonesti, i veri criminali, continuano a fare indisturbati
quello che vogliono: frodi alimentari, caporalato, sottrazioni
truffaldine all’Europa, ecc.
Artigiani e multe
L’ultima volta che ero dalla parrucchiera, nel brevissimo tempo del
mio taglio di capelli sono entrate due madri chiedendo la possibilità di
far assistere gratuitamente al lavoro le loro figlie adolescenti per
imparare il mestiere.
Con desolazione, la proprietaria ha dovuto rispondere che lo avrebbe
fatto molto volentieri, ma che non poteva perché, se fosse arrivato un
controllo, avrebbe rischiato una multa devastante. La stessa cosa mi
hanno ripetuto diversi artigiani, falegnami, fabbri,
desiderosi di avere a bottega un apprendista a cui tramandare la loro
arte, ma impossibilitati a farlo per via dell’obbligo del bagno,
dell’antibagno e del peso fiscale che li costringeva a dover comunque
retribuire il ragazzo, anche se questi era del tutto
digiuno dell’arte e spesso maldestro. Io stessa gestisco una piccola
attività turistica e questo mi ha permesso di capire le vere ragioni
della paralisi della società italiana molto più di un saggio di economia
o di un summit di specialisti sulla crisi. Bisogna
provare a fare le cose nel nostro Paese per toccare con mano
l’impossibilità di farle. Nessuna meraviglia che il Word Economic Forum
nel suo
Global Competitiveness Index ci ponga al 49° posto nella
classifica internazionale che misura la competitività, lo sviluppo e
l’innovazione, in compagna del Kazakistan e delle Filippine. Per
ottenere un semplice certificato dalla Comunità Montana
dell’Umbria — ma non erano state abolite? — ho dovuto aspettare più di
un anno e se alla fine sono riuscita ad ottenerlo è solo grazie a
qualcuno che conosceva qualcuno che, a sua volta, conosceva qualcuno...
Non averlo ottenuto in tempo, naturalmente, mi
ha danneggiato ma di questo danno non posso rifarmi in alcun modo e,
come me, immagino verranno penalizzate tutte le persone che intendono
intraprendere un’attività produttiva per cercare di porre rimedio alla
devastazione sociale ed economica che ha invaso
queste terre. Sono andata al Consorzio Agrario per comprare i prodotti
per il trattamento primaverile del frutteto, della vigna e dell’uliveto e
ho scoperto che non potevo più farlo. Non sto parlando di prodotti
tossici — per cui c’è stato sempre giustamente
l’obbligo di un patentino — ma di sostanze umilmente arcaiche come la
poltiglia bordolese e l’olio minerale. Per decisione del ministero, ora
per comprare il verderame bisogna frequentare un corso che dura tre
giorni e costa 200 euro, con relativo esame finale.
Le piante però non so se saranno così gentili da aspettare la frequenza
del corso e l’ottenimento del diploma, prima di farsi invadere dalle
muffe, dai funghi e dagli afidi.
Il calvario degli onesti
Come avrebbe fatto il Paese nel Dopoguerra a risorgere se tutti
avessero dovuto combattere con le infinite e assurde leggi imposte da
questo Stato che tra un po’ vorrà decidere anche di quanti centimetri
sarà il fazzoletto in cui
dovremo soffiarci il naso? L’Italia è un Paese popolato per la maggior
parte da persone oneste, di buona volontà e di grande inventiva. Le
aziende familiari, le piccole realtà sono state, fino all’arrivo della
crisi, l’intelaiatura sana della nostra società.
Ma ora non è più così e pare che la politica, al di là dei programmi e
dei proclami, non se ne voglia accorgere. I falegnami vanno in pensione e
chiudono, così come i fabbri, senza lasciare eredi. Le campagne sono in
stato di degrado e di abbandono. Il numero
sempre più alto di ragazzi che lasciano l’Italia dovrebbe rendere
insonne qualsiasi politico. Perché qui non si parla solo di cervelli in
fuga — quelli sono già andati tutti — ma anche di braccia e di gambe,
cioè di giovani che, dopo anni di sfruttamento,
di precarietà, di lavori sottopagati e umilianti, raggiungono le mecche
del Nord per trovare degli impieghi in cui la dignità del lavoro viene
rispettata. Non serve avere la sfera di cristallo per immaginare
che dal 49° posto continueremo a scendere
inesorabilmente, spinti non dalla nostra pigrizia o inerzia ma
dall’ottusità di un apparato statale che tratta le persone oneste e per
bene come possibili truffatori e resta per lo più inerme verso i veri
delinquenti.
Uno Stato che, nonostante i grandi proclami, continua a
considerare chiunque voglia intraprendere un’attività un capitalista
senza scrupoli, uno schiavista
in pectore a cui vanno tagliate le gambe prima ancora che cominci a camminare.
Per fortuna non è proprio così, anche se è vero che l’illegalità tra i cittadini e la corruzione nella pubblica amministrazione e nel mondo dei nostri governanti, sono ampiamente diffuse in tutta Italia.
RispondiEliminaL’Italia, stando alle statistiche, è uno tra i Paesi, purtroppo, più corrotti del mondo e, quindi, abbisogna, nostro malgrado, di norme stringenti che hanno, però, l’effetto negativo di rendere l’iter delle pratiche burocratiche più farraginoso e lento.
Vorrei spendere, a questo punto, qualche parola per precisare e contraddire alcune affermazioni contenute nel post.
1°- Il lavoro nero, o meglio la schiavitù, è una piaga comune in tutta Italia, soprattutto al Sud. Tale situazione lo Stato deve combatterla con maggiore impegno, e che la Chiesa, con i suoi parroci diffusi in tutto il territorio, deve assolutamente denunciare incisivamente alla pubblica autorità. In questo contesto deve essere considerata anche la diffusissima evasione fiscale esistente anche tra noi. (Non so, per esempio, per dirne una, se ci sono valligiani che leggono lo scontrino fiscale relativo alla consegna del pane e reagiscano appropriatamente).
2°- Le leggi sull’utilizzo di sostanze pericolose in agricoltura, ma anche nell’industria, derivano da direttive dell’UE volte alla tutela della salute delle persone. Da soli, i nostri governanti, non arriverebbero, per nostra disperazione, a tanto. Per quanto riguarda l’utilizzo dei succitati poltiglia bordolese e olio per il frutteto, invece, preciso che essi sono liberamente a disposizione in piccole quantità, basta fornire il codice fiscale e dichiarare che tali prodotti sono per uso proprio. Non occorre, in questo caso, frequentare l'oneroso corso di formazione per conseguire il relativo patentino.
3°- Le direttive europee sono volte a tutelare i lavoratori e i consumatori, sono molto utili, ma, qualora applicate, fanno lievitare considerevolmente i costi di produzione, rendendoli vulnerabili alla concorrenza straniera, pertanto i prodotti europei, come ad esempio l’olio d’oliva, o l’acciaio, dovrebbero essere protetti, assoggettando quelli stranieri (come l’olio tunisino e l’acciaio cinese), a dazi tali da maggiorarli al fine di eguagliarli ai prezzi europei.
È vero, anch’io ho dovuto esibire il codice fiscale e sottoscrivere una dichiarazione che il verderame acquistato era per uso proprio.
EliminaBell’articolo Carla, fatto bene a proporlo. La Tamaro è solitamente equilibrata e qui fa un’analisi sicuramente condivisibile.
RispondiEliminaLa domanda che incombe è quella di sempre: qui prodest? (a chi giova?). Ci facciamo del male da soli per inguaribile insulsaggine, oppure è tutto studiato? Con tutti gli interessi che gravitano attorno alla politica e all’informazione, credete davvero che questi siano effetti casuali di mancanza di visione e pressapochismo?
No, vi dico. Stanno distruggendo deliberatamente l’agricoltura, la famiglia, i legami sociali, l’economia familiare, il tessuto imprenditoriale, la cooperazione, la religione, la cultura, ecc. Tutto ciò che costituisce l’identità sociale, economica e territoriale del paese. Dobbiamo diventare tutti uguali, viziosi, animalisi, meticci e dominabili. Una massa di consumatori dai gusti uniformi e malleabili a comando. Il sogno di ogni venditore, di merci o di fumo.
Stanno distruggendo deliberatamente l’agricoltura, la famiglia, i legami sociali, l’economia familiare, il tessuto imprenditoriale, la cooperazione, la religione, la cultura, ecc.
EliminaPhilo, l’espressione è completamente irresponsabile perché intrisa del più nero pessimismo.
Siamo tutti masochisti?
Come che è vero che in fondo ad ogni gentile persona c’è un grande pozzo nero, è altrettanto vero che il peggiore criminale, se preso per il verso giusto, è capace di compiere le più nobili azioni.
Per nostra fortuna siamo dotati di intelligenza e, nella storia, abbiamo superato brillantemente periodi ben peggiori.
Mi fa piacere che la pensi così, caro Cariolante: sarei molto felice di sbagliarmi. Non sono mai stato cittadino di Hameln, che pur si vanta del titolo di “Grande indipendente città”.
RispondiEliminaComunque ragazzi sono anni che si parla di questo patentino io l'ho fatto due anni fa e mi è costato cinquanta euro trovo che sia una cosa giusta averlo e frequentare il corso richiesto perche vengono spiegate cose molto interessanti su tutti i prodotti,anche i piu blandi,come il semplice verderame e soprattutto insegnano molto bene le precauzioni da adottare durante l'utilizzo cosi da non avere ne creare danni a se o agli altri....ricordiamoci che stiamo parlando comunque di sostanze chimiche e anche il semplice rame per quanto "innoquo" è un metallo pesante e l'accumulo o l'assorbimento posdono creare problemi
RispondiEliminaconcordo anche io con la necessità di '' patentare'' coloro che trattano certe sostanze, anche quelle che sembrano innocue . La causa di tanti problemi è ignorare i danni che possiamo provocare agli altri e a noi stessi. Questi corsi però , potrebbero essere tenuti dai responsabili delle ASL , ARPA, o altri enti.
EliminaFate fare il patentino anche ai dipendenti comunali! Visto che usano a sproposito il diserbante...
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