In questa scheda cerchiamo di evidenziare le
trasformazioni che il paese ha subito nel corso degli ultimi due secoli,
partendo appunto da questa mappa catastale del centro di San Pietro, che
fotografa la situazione urbanistica negli anni intorno al 1830.
A quel tempo il paese è colonnello (frazione) del comune di Rotzo e appartiene
al Regno Lombardo Veneto, governato a monarchia assoluta da Francesco I°
d’Asburgo-Lorena che la esercita attraverso il suo viceré, l’Arciduca Ranieri.
La parrocchia di San Pietro è retta da ormai molti anni da don Matteo Dal Prà di Castelletto, cappellano è don Giacomo Tondello, pure di Rotzo. Il poco denaro che circola è in Lire del Lombardo-Veneto, equiparate al Fiorino Austriaco.
Gli abitanti del centro paese sono circa 300, metà di quelli dell'intera parrocchia.
La parrocchia di San Pietro è retta da ormai molti anni da don Matteo Dal Prà di Castelletto, cappellano è don Giacomo Tondello, pure di Rotzo. Il poco denaro che circola è in Lire del Lombardo-Veneto, equiparate al Fiorino Austriaco.
Gli abitanti del centro paese sono circa 300, metà di quelli dell'intera parrocchia.
Saltano subito all’occhio alcuni elementi di evidente differenza rispetto alla situazione attuale, in particolare:
2. Il cimitero;
3. La
piazza;
4. Le
fontane;
5. Le
strade;
6. Il
portico delle scuole;
7. Le
are.
Soffermiamoci dunque ad analizzare questi sette punti, che sono di rilievo generale,
mentre per le variazioni urbanistiche più spicciole, quelle delle singole
abitazioni o di gruppi di case, ognuno potrà fare autonomamente le proprie considerazioni secondo il suo personale interesse.
1. La
chiesa [H] con il sagrato [L] che vediamo, è la terza costruita e precede l’attuale.
Venne edificata nel 1790 a cura di don Bartolomeo Gianesini sullo sperone roccioso che costituiva il
culmine del dosso su cui sorge l’abitato. Su questo edificio esiste già una buona documentazione storica e rimandiamo ad essa per maggiori dettagli*. Qui giova ricordare che il tempio era più
piccolo e basso dell’odierno e si trovava in posizione fortemente avanzata ad
occupare buona parte dell’attuale piazza. La sua posizione era inoltre rialzata
rispetto alla quota viaria, sorgendo appunto
su di un colmo di roccia viva e si raccordava alla piazza attraverso una scalinata in pietra frontale e una più piccola posta sulla fiancata destra e che serviva l'ingresso degli uomini. Nella foto qui a lato, del 1910, si vedono già le fontane, ma all'epoca della mappa ancora vi sussistevano le due abitazioni degli Alessi, che riducevano l'accesso alla chiesa ad un angusto incrocio viario.
Le case ai lati erano
quindi affossate intorno al suo perimetro basale. Il campanile era accanto
all’abside e l'Arco delle Campane, costituiva l’accesso al cimitero e al borghetto retrostante.
Quando fu costruita la chiesa nuova, in posizione arretrata fino ad allinearsi con il campanile (che rimase quello precedente), fu necessario demolire il piede calcareo che sosteneva il tempio anteriore, abbassando il sagrato al livello della piazza di circa due metri. Sull’area occupata dalla chiesa attuale, all’incirca al livello del Parco delle Rimembranze, sorgeva un grumo di antiche case che guardavano la valle, attorno ad una corte che confinava con il cimitero. Ho raccolto una testimonianza che l’arco che immette agli slìsseghi e al sottochiesa, sia stato chiamato “Arco dei Cimbri” perché in quelle case, abbattute per far posto alla nuova pieve, abitassero (o più probabilmente avessero abitato in epoca precedente) persone che ancora ciauscavano nell’antica lingua.
all’abside e l'Arco delle Campane, costituiva l’accesso al cimitero e al borghetto retrostante.
Quando fu costruita la chiesa nuova, in posizione arretrata fino ad allinearsi con il campanile (che rimase quello precedente), fu necessario demolire il piede calcareo che sosteneva il tempio anteriore, abbassando il sagrato al livello della piazza di circa due metri. Sull’area occupata dalla chiesa attuale, all’incirca al livello del Parco delle Rimembranze, sorgeva un grumo di antiche case che guardavano la valle, attorno ad una corte che confinava con il cimitero. Ho raccolto una testimonianza che l’arco che immette agli slìsseghi e al sottochiesa, sia stato chiamato “Arco dei Cimbri” perché in quelle case, abbattute per far posto alla nuova pieve, abitassero (o più probabilmente avessero abitato in epoca precedente) persone che ancora ciauscavano nell’antica lingua.
aveva certamente ragion d’essere per i cimiteri di grossi centri, l’estensione universale del provvedimento mirava però anche a togliere le sepolture dall’ambito religioso che fino ad allora le aveva monopolizzate, concretizzando la matrice ideologica materialista che vi sottintendeva. Probabilmente le nostre popolazioni non accettarono di buon grado questa innovazione; basti guardare ai vicini camposanti di Casotto e Luserna, per capire il legame tra vita e morte che esprime la vicinanza fra il luogo del battesimo e quello del riposo eterno. Quella civiltà d’importazione non ci apparteneva e non solo per una questione di religione. Di questo discettò anche il Foscolo, che non era certo un clericale, nel su carme “Dei Sepolcri”. Il camposanto era in sostanza un prato costellato di croci lignee embricate. Solo i rari abbienti potevano permettersi una croce di ferro o la lapide a muro con l’epitaffio. Più volte, infatti, nel corso delle visite pastorali i Vescovi lamentarono di come al luogo sacro non fosse impedito l’accesso agli erbivori.
3. L’assetto
della piazza d’allora lo si evince anche dalle descrizioni sopra. In sostanza
era un crocicchio stradale di accesso alla chiesa; la piazza, intesa come luogo
di aggregazione, era una funzione esercitata dalle piccole are sparse per il
paese; in particolare l’Areta, per la sua posizione centrale e attraversata
dalla strada maestra e la corte dietro la chiesa, finita poi sotto il
pavimento della nuova pieve. Quest’ultima ara confinava con il
sagrato (o forse ne era parte), della precedente chiesa (2a) che aveva a
l’abside a levante e l’ingresso verso la valle, all’uso antico. Fu proprio qui
che la domenica mattina del 29 giugno 1578, dopo la messa solenne in onore del
patrono San Pietro, si riunì la vicinìa dei capifamiglia del paese che ratificò
il Lodo Piovene e l’unione con Rotzo.
In seguito all’inversione dell’orientamento del tempio, alla fine del millesettecento, questa piazza perse d’importanza a favore dell’Areta, che si trovava sulla strada maestra del paese che risaliva dalle Vegre e Capovilla e dava l’accesso al centro. La piazzetta dell’Ara invece, fu in antico piuttosto marginale e acquisì maggiore evidenza solo in seguito alla costruzione della strada della Capela, che spostò su questa direttrice la viabilità maggiore, marginalizzando a sua volta l’Areta.
In seguito all’inversione dell’orientamento del tempio, alla fine del millesettecento, questa piazza perse d’importanza a favore dell’Areta, che si trovava sulla strada maestra del paese che risaliva dalle Vegre e Capovilla e dava l’accesso al centro. La piazzetta dell’Ara invece, fu in antico piuttosto marginale e acquisì maggiore evidenza solo in seguito alla costruzione della strada della Capela, che spostò su questa direttrice la viabilità maggiore, marginalizzando a sua volta l’Areta.
4. Le
fontane, come siamo abituati noi a vederle centrate sulla piazza, non c’erano
proprio. In quell’area sorgevano le due case degli Alessi che rendevano
decisamente angusta la viabilità del centro. In paese c’erano due sorgenti,
forse alimentate dalla medesima vena. La
principale sgorgava nell’attuale acquedotto detto appunto “della Fontana”, sotto l’ex corte delle bocce
della Bastiana, per capirci. È una sorgiva perenne e copiosa di buona acqua, che li emerge probabilmente per la presenza di una falda argillosa (Creàro) o di un piede roccioso che convoglia le acque delle sovrastanti marogne. Le fontane erano collocate proprio lì, alla bocca della sorgiva, come allora si costumava, sullo slargo lungo la strada che portava ai Costa. Erano verosimilmente costituite da due vasconi successivi in pietra disposti a “V”, uno per gli usi umani e l’altro per abbeverare le bestie. Lo scolo dell’acqua scorreva presumibilmente verso l’Ara, andando ad irrigare quegli orti e quindi le rive delle Vegre. L’altra sorgiva era quella delle Fontanelle, che filtrava da sotto le Giare, in corrispondenza dello strato roccioso che ora fa da massicciata all'inizio della Via Regina Margherita e dietro le case degli Scarpari. Sulla Curva dei Stciantsi, prima che sorgessero le case di questo ramo dei Toldo (<1880), esisteva una pozza che raccoglieva queste acque e serviva per abbeverare il bestiame. Questi rivoli furono in seguito captati da alcune vasche al servizio delle nuove abitazioni. Notiamo che accanto ad entrambi gli sgorghi sono stabilite famiglie Fontana. Ciò lascerebbe supporre che questo cognome derivi dal consolidamento di un soprannome di persone che in origine appartenevano ad altri ceppi paesani antichi.
della Bastiana, per capirci. È una sorgiva perenne e copiosa di buona acqua, che li emerge probabilmente per la presenza di una falda argillosa (Creàro) o di un piede roccioso che convoglia le acque delle sovrastanti marogne. Le fontane erano collocate proprio lì, alla bocca della sorgiva, come allora si costumava, sullo slargo lungo la strada che portava ai Costa. Erano verosimilmente costituite da due vasconi successivi in pietra disposti a “V”, uno per gli usi umani e l’altro per abbeverare le bestie. Lo scolo dell’acqua scorreva presumibilmente verso l’Ara, andando ad irrigare quegli orti e quindi le rive delle Vegre. L’altra sorgiva era quella delle Fontanelle, che filtrava da sotto le Giare, in corrispondenza dello strato roccioso che ora fa da massicciata all'inizio della Via Regina Margherita e dietro le case degli Scarpari. Sulla Curva dei Stciantsi, prima che sorgessero le case di questo ramo dei Toldo (<1880), esisteva una pozza che raccoglieva queste acque e serviva per abbeverare il bestiame. Questi rivoli furono in seguito captati da alcune vasche al servizio delle nuove abitazioni. Notiamo che accanto ad entrambi gli sgorghi sono stabilite famiglie Fontana. Ciò lascerebbe supporre che questo cognome derivi dal consolidamento di un soprannome di persone che in origine appartenevano ad altri ceppi paesani antichi.
5. Delle
strade abbiamo scritto diffusamente in altre schede. Qui ribadiamo
soltanto che l’asse viario antico scorreva attraverso l’Areta (oggi Via Santa Barbara) e
poi
scendeva verso le contra’ Fontanelle, Chéca e Campagna, lungo l’attuale Via Martiri del 1848. Via Regina Margherita mancava del tutto e quell’area era occupata dai margini delle Giare, perlopiù incolti. La strada che conduceva ai Costa, nei pressi delle allora fontane (4), era poco più d’un viottolo che risaliva la costa dove poi è stata scavata la “Strada Nova” fino al bivio con la Val del Crearo, per poi continuare in piano verso la Val dell’Orco.
scendeva verso le contra’ Fontanelle, Chéca e Campagna, lungo l’attuale Via Martiri del 1848. Via Regina Margherita mancava del tutto e quell’area era occupata dai margini delle Giare, perlopiù incolti. La strada che conduceva ai Costa, nei pressi delle allora fontane (4), era poco più d’un viottolo che risaliva la costa dove poi è stata scavata la “Strada Nova” fino al bivio con la Val del Crearo, per poi continuare in piano verso la Val dell’Orco.
6. Una
cosa un po’ particolare è l’esistenza del famoso “Portico delle scuole”, di cui
molti avranno sentito parlare dai nonni. Si tratta del porticato che fino alla prima guerra mondiale univa le attuali case degli Spagnolo (Lussi/Daniele) e dei Lorenzi (Cogo) all'altezza dei bagni
pubblici scavalcando quella che sarebbe poi diventata la Via Carlo Alberto. Come si vede dal confronto fra le due mappe, che hanno circa 20 anni di differenza, il sottoportico era un raccordo interno, probabilmente selciato, fra l'Ara e le fontane. Solo più tardi divenne transito viario verso valle, come mostra la mappa più recente (la prima in apertura). A quest'epoca il porticato non ospita ancora le scuole, ma delle abitazioni private. La ragione di questo strano edificio sopraelevato, è dovuta la fatto che il nucleo di case degli Spagnolo che affacciano su Via Carlo Alberto ma hanno ingresso in Via Santa Barbara (Aréta ), poggiano su un piede roccioso alto circa tre metri, sopra il quale in antico erano ricavate delle piccole corti alle quali si accedeva tramite una rampa di cui rimane vestigia nel tratto che ancora immette nella corte di Giovanni Lorenzi (Nane Marcantogno). I bagni pubblici furono infatti ricavati nel primo dopoguerra scavando una nicchia nella viva roccia. A fine milleottocento in quel portico abitava la famiglia Lorenzi Canéla, il cui capofamiglia faceva il sarto e suonava l'organo in chiesa. Il sotto-portico era luogo d'incontro sociale durante le giornate piovose, data la sua posizione centrale e il riparo offerto.
pubblici scavalcando quella che sarebbe poi diventata la Via Carlo Alberto. Come si vede dal confronto fra le due mappe, che hanno circa 20 anni di differenza, il sottoportico era un raccordo interno, probabilmente selciato, fra l'Ara e le fontane. Solo più tardi divenne transito viario verso valle, come mostra la mappa più recente (la prima in apertura). A quest'epoca il porticato non ospita ancora le scuole, ma delle abitazioni private. La ragione di questo strano edificio sopraelevato, è dovuta la fatto che il nucleo di case degli Spagnolo che affacciano su Via Carlo Alberto ma hanno ingresso in Via Santa Barbara (Aréta ), poggiano su un piede roccioso alto circa tre metri, sopra il quale in antico erano ricavate delle piccole corti alle quali si accedeva tramite una rampa di cui rimane vestigia nel tratto che ancora immette nella corte di Giovanni Lorenzi (Nane Marcantogno). I bagni pubblici furono infatti ricavati nel primo dopoguerra scavando una nicchia nella viva roccia. A fine milleottocento in quel portico abitava la famiglia Lorenzi Canéla, il cui capofamiglia faceva il sarto e suonava l'organo in chiesa. Il sotto-portico era luogo d'incontro sociale durante le giornate piovose, data la sua posizione centrale e il riparo offerto.
7. Anche
delle varie are del paese abbiamo scritto più volte e non ci ripetiamo. In antico
erano
tre: Ara, Aréta e la corte sul retro della chiesa (forse la più antica). Erano slarghi fra le case utilizzati per gli usi agricoli e specialmente per la lavorazione stagionale dei cereali. Perciò erano pavimentate a salìso (acciottolato), così da mantenerne la stabilità e permetterne una sommaria pulizia. Poi servivano per tutti gli usi collettivi delle famiglie e delle case che vi si affacciavano: dalla preparazione della legna, al carico del fieno, alla lavorazione del maiale, alle lissie, alle chiacchiere delle comari e ai giochi dei bambini.
Il paese iniziò a cambiare aspetto nella seconda metà del milleottocento, quando venne costruita la via Regina Margherita, gli acquedotti, le fontane della piazza, le scuole e le nuove strade di raccordo. Poi venne la distruzione della guerra e la successiva ricostruzione delle abitazioni con più moderni canoni. Sparirono quindi dal centro le scale esterne in pietra di accesso alle abitazioni e i relativi poggioli coperti in legno, i letamai e i forni di corte che limitavano la viabilità. Così il paese assunse via via l'aspetto che ci è più familiare. (Fine)
tre: Ara, Aréta e la corte sul retro della chiesa (forse la più antica). Erano slarghi fra le case utilizzati per gli usi agricoli e specialmente per la lavorazione stagionale dei cereali. Perciò erano pavimentate a salìso (acciottolato), così da mantenerne la stabilità e permetterne una sommaria pulizia. Poi servivano per tutti gli usi collettivi delle famiglie e delle case che vi si affacciavano: dalla preparazione della legna, al carico del fieno, alla lavorazione del maiale, alle lissie, alle chiacchiere delle comari e ai giochi dei bambini.
Il paese iniziò a cambiare aspetto nella seconda metà del milleottocento, quando venne costruita la via Regina Margherita, gli acquedotti, le fontane della piazza, le scuole e le nuove strade di raccordo. Poi venne la distruzione della guerra e la successiva ricostruzione delle abitazioni con più moderni canoni. Sparirono quindi dal centro le scale esterne in pietra di accesso alle abitazioni e i relativi poggioli coperti in legno, i letamai e i forni di corte che limitavano la viabilità. Così il paese assunse via via l'aspetto che ci è più familiare. (Fine)
Note a margine:
Con questa scheda si conclude l’analisi storica delle conta’ della parrocchia di San Pietro alla luce dei riscontri delle mappe catastali austriache della prima metà del milleottocento.
Con questa scheda si conclude l’analisi storica delle conta’ della parrocchia di San Pietro alla luce dei riscontri delle mappe catastali austriache della prima metà del milleottocento.
L’iniziale appello a chi volesse collaborare al progetto per estenderla alle frazioni di Valdastico è caduto nel vuoto.
Ho potuto realizzare questo lavoro grazie alla conoscenza del territorio e delle sue vicissitudini, che mi ha permesso di interpretare i dati in maniera critica, rapportandoli ad una serie di altre informazioni, che costituiscono il portato di una mia personale passione, nonché delle tradizioni familiari e sociali conosciute.
Non posso dire altrettanto per le Frazioni e le Contra’ delle altre due Parrocchie del Comune di Valdastico: Pedescala e Forni, perciò mi devo fermare. È un peccato, perché per queste località esiste la medesima documentazione catastale e, particolarmente per Forni, gli status animarum intatti dal 1608 che consentirebbero forse di scriverne la storia quasi casa per casa, famiglia per famiglia.
Farò quindi così: pubblicherò le mappe catastali di ogni contra’ senza testi di approfondimento. Chi vorrà potrà interagire con commenti, altrimenti saranno solo dei documenti che apriranno una muta finestra sull’assetto dell’abitato di due secoli fa.
Grazie a chi ha seguito finora con interesse questo mio piccolo percorso storico.
Gianni Spagnolo
X-III-MMXVI
Bibliografia, annotazioni, avvertenze e diritti:
- * San Pietro Valdastico - Storia del paese - Don Giovanni Toldo - 1936;
- * Valdastico Ieri e Oggi - Mons. Antonio Toldo - Ed. La Galaverna - 1984;
- Ringrazio Battista Toldo e Riccardo Stefani per alcune preziose informazioni fornite;
- I documenti catastali qui riportati sono estratti dagli originali conservati presso l'Archivio di Stato di Bassano del Grappa - Catasto Napoleonico ed Austriaco del comune censuario di Rotzo - Mappa d'Avviso; Mappa I; IV e Libri partite e riportano in filigrana il marchio d'origine. Sono concessi ad uso esclusivo di questa pubblicazione con prot. n. 01 del 04/02/2015 dal Mistero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo sez. d'Archivio di Stato Bassano del Grappa.
- E fatto divieto di riproduzione e ulteriore divulgazione in qualsiasi forma e modalità.
Ancora una volta ho pensato leggendo i tuoi commenti che saresti un sindaco straordinario per Valdastico anche con le casse vuote!
RispondiEliminaLa marcia in piu che hai è il grande amore per questo paese, quell'amore che arriva dalle radici
Quell'amore che conosco.
Grazie Gianni
Grazie Sampierotta per l’apprezzamento del post. Quanto al resto, penso che sia meglio che ognuno faccia ciò che meglio sa fare.
EliminaGianni, sono sempre interessanti i tuoi articoli sulla storia della valle. Grazie di non perdere fiducia nell'avvenire della valle, e dei suoi abitanti.
RispondiEliminaE anche a Gianni vorrei fare un complimento perchè se lo merita. Sarebbe bello vedere qualche messaggio in più su questi post.
RispondiEliminaChe bel racconto Gianni, complimenti.
RispondiEliminaNon sono di Sampietro, per cui alcuni particolari mi sfuggono, ma il quadro generale penso di averlo colto.
Con questa tua descrizione mi hai fatto fare un viaggio nel tempo, attraverso i secoli con il respiro del paese che si allargava e modificava.
Che belli i fumetti dei viaggiatori del tempo, ma questa è realtà.
Bravissimo Gianni e anche grazie per tutte queste informazioni che ci hai regalato, ora possiamo aspettarci il libro stampato???
RispondiEliminaGrazie Giorgio.
EliminaIl libro, Giorgio, è già stato scritto, e da mani ben più credibili delle mie. Io mi sono limitato a leggerlo e a proporvene alcuni brani con la mia limitata interpretazione. Il libro è stato scritto in un linguaggio semplice e antico, modesto ma grande, impresso con i caratteri del lavoro della coesione. È scritto nei muri delle case, delle vanéde, degli àldere. È scritto nei strodi, negli spiadi, nei bocarùi della singela. È scritto nelle carbonare, nei cogoli, nelle scafe, nelle malghe. È scritto nelle piazze, nelle are, nelle chiese, sulle fontane, sui ponti, nei capitelli. Infine è scritto nel nostro sangue, nel nostro insopprimibile inprinting, Eppur oggi quest’opera secolare e corale è di difficile comprensione e spesso lasciata all’abbandono. A che serve scrivere, se poi s’è dimenticata la lingua in cui le cose sono state scritte?
Ciao, molto interessante il tuo testo! Sono un discendente di Lorenzi Canela li menzionato! Vorrei sapere se hai maggiori informazioni su di lui. Vorrei anche capire meglio dove è stata menzionata la tua casa nella parte 6 sulla veranda. Inoltre, hai quella mappa dei lotti con una risoluzione migliore? Dato che non è in grado di leggere i numeri e so che ha vissuto nel lotto 442 (2). Grazie mille!
RispondiEliminaDi Famiglie con cognome Lorenzi e soprannominate "Canela" ce ne sono ormai tante. Per capire qual'è la tua bisognerebbe che tu mi dicessi da dove sei, se in Italia o all'estero e dove, così posso capire meglio le parentele. Un fratello del Giovanni Lorenzi Canela qui menzionato si chiamava Sinesio Lorenzi "Canela" ed emigrò nel 1888 nel Rio Grande do Sul in Brasile. Le particelle delle case hanno tutte 4 numeri, perciò il 442 non può essere e comunque non lo trovo sulle mappe.
EliminaCiao! Grazie per la risposta. Sono discendente di Giuseppe Sinesio Lorenzi natto in 1846 a San Pietro Valdastico, sposato com Teresa Sartori (nata 1852, figlia di Gio Battista Sartori, guardia boschere, e Orsola Serafini). Giuseppe Sinesio Lorenzi era sarto, figlio di Giuseppe Lorenzi, sarto e sagrestano (1808-1878; figlio di Gio Batta Lorenzi e Giacoma o Giovanna dal Pozzo) e Pietra Antonia del Pozzo (1807-1871; figlia di Antonio dal Pozzo). Giuseppe Sinesio Lorenzi è immigrato nel 1888 in Brasile e è morto nel 1927 in Encantado, Rio Grande do Sul. Sua figlia, Emilia Lorenzi, nata in 1881 a San Pietro è mia trisnonna. Lei ha sposatto Gio Batta Baldissera, dunque mio cognome. Tutti queste informazione sonno ottenuta di documenti e certificati. Magari tu hai pio informazione sul questo ramo? Mio interesse è storico, me piace molto la genealogia!
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaDelle case, i documenti citano 442 con um piccolo II (2 romani), como questo 442°°.
EliminaConsidera che le mappe riportate su questo Post sono riferite al Catasto Austriaco del 1830, che poi ovviamente è stato aggiornato e modificato. Il tuo numero è probabilmente riferito al catasto moderno, che è diverso nella numerazione.
EliminaGiusto, è vero. L'indirizzo che ho è più recente. Per quanto riguarda la famiglia, tu hai qualcosa? Grazie!
RispondiEliminaNo, mi spiace, non ho notizie migliori di quelle che hai tu.
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