mercoledì 18 giugno 2014

I Bonifaci ai Baise


Chi potrà mai sapere cosa spinse i BONIFACI a esiliarsi in quel luogo impervio, privo di qualsiasi via di comunicazione. La sola strada che portava verso la montagna era l'attuale salìso (chiamato pomposamente sulle carte ”vecchia strada della Singéla”), ma che si arrestava al Salto del Pozzo, cento metri sopra l'ultima casa dei Lucca. 
Da lì partivano due sentieri: uno sulla destra, che, per la volta dei Menonce e per il Cucco, dividendosi in due, conduceva nell'alta Valle dei Mori.
L'altro che, partendo sempre dal salto del Pozzo per la sinistra s'innerpicava su per la Valle
dei Mori fino a raggiungere l'attuale strada nella curva, a quell'epoca inesistente, a cento metri dal ponte della Botte . Da là, partendo verso nord, andava a congiungersi con quello che più tardi salirà dai Valeri, fino a raggiungere le case dei Baise
Sulle carte è chiamata: ”Strada vicinale della vecchia Singéla”.

Furono veramente le gelosie dei paesani a farli allontanare dal paese? Anche... forse..., ma si pensa sia stato soprattutto per sfuggire alle frequenti epidemie di colera e peste, portata in Italia dalle continue incursioni delle orde barbariche dei “Lanzichenecchi “ di teutonica stirpe e che tante vittime avevano già provocato in tutte le famiglie della regione.

O forse due altre ”buone” ragioni di ordine economico: la prossimità della Torra come confine di stato e come strada per il transito del legname.
Nel 1602 i Bonifaci si erano uniti a tutti gli uomini disponibili del Comune, che sotto l'alta guida del Conte Caldogno, avevano trainato
con carri e buoi, da Vezzena
fino alle sorgenti della Torra, nel Bisele, e giù fino all'Astico, le ingenti cataste di legname che i Levicani avevano preparato per vendere, volendo dimostrare così, che era il comune di Rotzo proprietario del luogo. 
Lavoro ingrato e pericoloso, ma molto reddittizio, specialmente in un momento in cui Venezia, in piena espansione edilizia, aveva enorme bisogno di legname.
Per costruire le case sull'acqua, avevano bisogno di solidificare prima il terreno con dei pali, possibilmente di larice o rovere e le nostre montagne ne erano ricche!
L'altro motivo era certamente il contrabbando. Nel 1510, dopo varie guerre e depredazioni da parte dei conti Trapp, Venezia cedette all'Austria tutto il versante sinistro dell'Astico, dalle sue sorgenti fino alla Torra, che divenne confine di stato.
E cominciò per i più coraggiosi il contrabbando. I Veneti esportavano vino, carni,
biade e granaglie, gli Austriaci vendevano (caro!!!) zucchero, caffè, tabacco ed il preziosissimo sale. 
Nei primi tempi Venezia lasciò fare, ma quando si rese conto delle grosse perdite per l'Erario, costruì nel 1639 un “casello”, prima in legno, poi in duro all'attuale Dogana. 
Gli Austriaci, per non esser da meno, fecero la stessa cosa a Casotto di sotto, aldilà del ponte, rendendo più difficile il traffico clandestino delle merci, ma... lassù ai Baise era un belvedere, un osservatorio: dal Maso in giù, fino al Summano ed in sù fino al Becco di Filadonna si poteva osservare ogni movimento delle squadre di “Cappelletti” o guardie doganali.
Anche se in un primo momento i ”Destra Torra” fingevano di non capire il linguaggio veneto, quando vedevano scintillare i “ducati” e gli “zecchini” di san Marco, perdevano la loro ”provverbiale ritrosia” e allungavano volentieri le mani.

Si pensa che in un primo momento, i Bonifaci, abbiano fatto la spola fra San Piero e i Baise, per trasportare lassù il materiale necessario per la costruzione delle prime case e che si siano fatti aiutare da altre famiglie, come i Merlo, i Rocchetta ed i Gianesini e che queste tre famiglie abbiano vissuto lassù per un breve periodo.
In cima alla Riva del Merlo, in un breve pianoro, mi ricordo di aver visto i ruderi di una casupola e così pure nella vanéda della Rocchetta, forse loro abitazioni.
Esistono le vanéde dei Garbati, (i Gianesini), ma nessuna traccia di case; probabilmente,
legati da parentela, vivevano assieme nelle case nuove.

Leggiamo ora cosa scrive ancora, in merito Paul Bonifaci dagli Stati Uniti:
“ Si spostarono dai CHECA e si stabilirono ai Baise, sopra la collina. Lì presto divennero i ”soli” padroni delle terre circostanti e dei boschi al di sotto. Tutti insieme cominciarono ad allevare capre e pecore in gran numero e più tardi le mucche. Nessuno, all'inizio, gli disturbò perchè era proprietà comunale.
Avendo conservato la proprietà nel paese, durante l'inverno portavano giù gli animali, e li foraggiavano col fieno prodotto sul posto. Ai Baise era più facile per loro, fare legna per ardere e legname da costruzione per venderlo, ma anche qui, più di una volta furono
molestati e subirono attacchi da maleintenzionati e dovettero difendersi con archebugi e fucili. Essi si stabilirono ai Baise intorno al 1650 e rimasero lassù fino all'inizio del 1900.”

Oltre alle pecore e capre (proibite da Venezia perchè distruggevano il bosco) e le mucche, allevavano i maiali, per venderne la carne e gli insaccati. Sono sempre stati artisti “a far sù el mas-cio! ”Possedevano un grande numero de nogàre (noci) sparse per i prati e di cui esiste ancora qualche esemplare. Facevano e vendevano l'olio prodotto, senza dimenticare i moràri (gelsi) per alimentare i bachi da seta con la foglia. Lavoro ed unico mezzo per vedere qualche “soldo”, delle donne e dei ragazzini. Così pure la lavorazione delle lane e della canapa era compito delle donne.
Avevano costuito un pozzo per raccogliere l'acqua piovana per abbeverare le bestie. Per loro erano costretti ad andare alle
“Fontane dei Baise “, ad un buon chilometro, per raccogliere l'acqua sorgente, proveniente dal Salto. La terra, sebbene arrichita da molto letame rendeva poco e il raccolto era sempre in balia del tempo. 
Dall'inizio dell'anno nel 1812 le forti piogge ed il freddo intenso guastarono i raccolti e gli anni sucessivi non furono migliori. Nel 1815 e nel '16 per le stesse cause, non ci fu alcun raccolto e la gente povera moriva di stenti e di fame. Viceversa gli anni 1817 - '18 furono ricchissimi in prodotti agricoli. La gente mangiava molto, ma per l'estrema debolezza, una mortale epidemia di tifo fece più morti che la fame. Nel 1836 ritornò la carestia e la fame e in aggiunta scoppiò pure il colera che durò parecchi anni facendo una strage nelle popolazioni già tanto provate.

I Bonifaci non furono risparmiati da tutte queste sventure.

Verso la metà del 1700 ci fu un litigio fra due fratelli, il bollente sangue si risvegliò e giustizia còrsa fu. 
Il colpevole, attraversata la Torra, sparì. Un suo discendente alla “Festa dei Baise” del 1982 si presentò con dei documenti per farsi riconoscere e conoscere i suoi parenti.
Nell'anno 1790 collaborarono alla costruzione della nuova chiesa, con materiali e modopera, nel mezzo dell'attuale piazza, abbattendo case e il torchio dell'olio.
Era allora parroco il loro darmàn (cugino) don Bortolomeo Gianesini.
Nel 1797 la caduta della Repubblica di Venezia, causata dalle truppe napoleoniche,
arrestò il commercio del legname e nel 1814 passati sotto il dominio austriaco, cessò il contrabbando. Erano le loro due principali risorse di lavoro e di guadagno.
Nel 1865 il Governo austriaco, vista la miseria della popolazione di San Pietro, decise di dividere i boschi sotto il crinale e darne una porzione ad ogni famiglia secondo i loro componenti. 
Ciò segnò la fine dei Bonifaci ai Baise.
Lino Bonifaci

Segue: Il ritorno ai Lucca e l'inizio dellEmigrazione

11 commenti:

  1. Ben valà Lino, devi avere trovato qualche cassetto segreto per riuscire a mettere insieme le vicissitudini dei tuoi ascendenti con tutti questi dettagli e per un periodo così lungo di tempo.
    Non è che per caso conosci l'epoca in cui furono costruite le fontane dei Chéca? E perché piantarono le plotte a recinzione, caso che credo sia unico nel territorio comunale?
    Già che ci sono: chi dei follower conosce esempi di recinzioni fatte a plotte (Stoan Platten) in valle?

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    1. in Montepian chiedi a Sponcio vedraio che lui lo sa

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    2. Paraltro sa lo so! A no ghe ghéva mai pensà, vero, de sta storia dele platten impiantà drio i strodi come in altopiàn, ma no credo mia che le sipia vegnéste su da sole. La pararia anca na robeta strumosa da fare e chìve in vale no me par mia che ghe sipia sasso rosso. Biognarà che ghe vae a fondo. Desso me meto su el capeléto da cacia al volpe de Mr. Holmes e taco a indagare. Met sunna un reghen ‘z plotten bakset seghenten.

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    3. Ma dai, lo sapevo che il Don era una persona speciale. Lo sapevo! lo sapevo! Don dove ha imparato l'Antica Lingua come la chiamava il Mario Stern? Le stoanplattn o stuaplattn non sono di pietra rossa, ma calcarea grigia (domani faccio avere alla Carla alcune foto delle vecchie cave) Anch'io non ho mai pensato che se ne potessero trovare in valle, sono la caretteristica unificante delle terre cimbre, alcune volte usate anche come copertura delle case (vedi in Lessinia)
      Cara Carla il traduttore non c'è ancora ma ci stiamo lavorando da anni se però ti accontenti c'è il vocabolario www.zimbarbort.it e anche la Storia di Tönle in cimbro in e-book con l'audio tonlebintarn.smallcodes.com per ora solo alcuni capitoli ma tra poco tutto intero. Giù il cappello davanti al grande Sponcio! E grazie. Un abbraccio
      Andrea

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  2. Chiedo ad Andrea: in google traduttore non c'è il CIMBRO. Perchè non chiedi d'inserirlo? Ah ah ah...
    Quando vedi le sparate del DON in cimbro, metti sotto una traduzione per cortesia (almeno presumo che siano in cimbro) e informaci pure se scrive giusto. Grazie ciao.

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  3. Il pezzo di strada dei Checa lastricata e le plotten, discese dall'Altopiano con i cavalli,sono
    operamussoliniana.L'estate scorsa sono andato a visitare il Ponte di Veja (spettacolare da
    visitare) in Lessinia. A Prun paesetto cimbro ,vicino,si possono vedere i tetti delle case
    vecchie coperte da" plotten "di sasso ,e si possono vedere le gallerie da cui lo estraevano.
    Non è lo stesso sasso.Qui opera umana,da noi le placche sono naturali.

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  4. Forse il tetto e un po' di sistemazioni potranno essere del ventennio, ma non le vasche Lino, e neanche le plotte. Mia nonna diceva di averle sempre viste e il marmo delle fontane e talmente lustro che non bastano certo una quarantina d'anni di lavaggi a giustificarlo. Le opere del novecento sono tutte in cemento (a parte la fontana del capitello della torra), e lì il cemento è stato aggiunto dopo, dove s'erano allentati i leganti di piombo. Converrai poi che non aveva senso portare giù piastre squadrate dall'Altipiano per fare delle recinzioni.

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    1. Ma cossa fetu in giro ale 4.46???
      Ghetu ciapà le stesse pedàte de Alago e Lino?

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    2. Si cara, bonorìvi da pori vecioti.

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  5. Gianni,mi sembra che a te non faccia veramente bene essere in piedi a certe ore!!! L'acquedotto
    fu iniziato nel 1922 dunque ha poco meno di cento anni Le fontane(non i lavatoi)dei Lucca e della
    Campagna(ove ora si trova la banca) erano fatte esattamente dello stesso materiale di quello
    obbrobrio (per il luogo s'intende.Ma forse volevano farsi perdonare la distruzione delle altre due.)
    che si trova attualmente al Capitello della Torra. Serve....a qualcuno a lavarsi la macchina!!!!!
    Erano larghe due metri per un metro con agli angoli dei pilastri con gli incastri. Tutto materiale
    sceso dall'altopiano come i paracarri e le plotten.Non credo che il comune da Rotzo sia andato
    a Thiene a comperare materiale che aveva sottomano!!!!!Ed una fontana simile si trovava
    contro la casa di tua mamma ai Checa con lo scarico davanti alla porta del garage.

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    1. Lino, la fontana che si trovava sulla piazzetta dei Chéca era in cemento, al pari delle altre in giro per il paese e probabilmente risale all'epoca dell'acquedotto come dici tu. Ma i lavatoi delle Fontanelle sono alimentati da acqua sorgiva perenne e credo siano stati là ab immemorabili. La casa della Laura venne costruita nel 1911 e mi raccontavano che dovettero gettare parte delle fondamenta sulle fascine per consentire all'acqua di defluire e continuare ad alimentare le vasche.

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