venerdì 13 giugno 2014

Anche in Val d'Astico avevamo il vino D.O.C.



       


     Ho visto con interesse il video di Gino “Visita alla Cantina Maculan di Breganze” nella serie “Grandi Vini”.
Mi ha stuzzicato la fantasia, e per un momento mi sono lasciato prendere dalla nostalgia...del vino.
Quello di casa mia, quello che il caro vecchio zio Nardo, ai Checa, faceva ogni anno con tanta passione.
Con l’arrivo dell’autunno lo vedevo indaffarato a preparare i mastèi, la bótte, le damigiane.
Avevamo una cantina buia, senza luce. Zio Nardo portava la bótte all’aperto per lavarla, sfregarla dai depositi dell’anno prima, sciacquarla e disinfettarla facendo bruciare dello zolfo all’interno.
L’uva era poca, e sempre la stessa: americana (fragola), clintón, qualche grappolo di merlot, prese dalle magre viti della campagna, delle “rive” e della pèrgola di casa.
Si prendeva in prestito un torchio e in poche ore l’operazione era compiuta. Si attendeva qualche giorno per bere un bicchiere di “vin dolse” (magari con le caldarroste) e poi si procedeva al travaso.
Avevamo vino per tutto l’inverno. Era un vino “aspro”, ma c’era quello e basta. Mezzo bicchiere a tavola anche a noi bambini. “No lo ghémo mai spuà fóra” .
Per descrivere i “nobili” vini di oggigiorno si usano espressioni come: vino armonico ed equilibrato, vino dal sapore rotondo e morbido, vino di grande razza, vino dalla struttura robusta, vino dal profumo intenso fruttato, vino dal sapore pieno, vino giovane e agile.
Il nostro era “vin de ùa” nudo e crudo, come cento anni fa. Come quello descritto da Carducci nella poesia “San Martino: “Ma per le vie del borgo, dal ribollir dei tini, va l’aspro odor dei vini, l’anime a rallegrar”.
Il vino dei miei ricordi lo vorrei descrivere così:


Vino robusto che mostra i muscoli,
vino rosso di rabbia,
una sberla in faccia,
un pugno nello stomaco,
vino da eroi e da briganti,
vino di casa mia!

Il vino, a Valdastico, era motivo di allegria, svago e amicizia, soprattutto la domenica.

Dopo “Messa ultima” era d’obbligo una sosta all’osteria. C’era da scegliere: all’albergo Vittoria dalla Mary, dalla Nìnele, dal Tónes, da Valente, dalla Mora, e altri ancora. “Némo ca se fémo un góto”: un invito che correva sulla bocca di tutti. Si tracannava senza ritegno e poi barcollando si andava a casa.



Nel pomeriggio ancora vino nei campi di bocce. Quello di Valente, credo fosse il più affollato, ma c’era anche quello del Tónes (o della Marta) e perfino uno da Basso. Chi perdeva pagava e l’oste faceva la spola con “quartini” di vino. Come facessero quei boccisti, pieni di vino, a centrare il “balìn” è ancora un mistero!

Mi è sempre piaciuto vedere nel vino un elemento coagulante delle amicizie e della socializzazione. Forse per questo, inconsciamente, sono un collezionista di vecchie caraffe di vino da osteria. Non mi manca quella dell’Albergo Vittoria di Valdastico, anzi, questa è proprio un gioiello che conservo con cura.

Il Vino nella Divina Commedia.
Per molti anni ha fatto parte a Melbourne (Australia) del Comitato della Società Dante Alighieri. Ricordo un anno, dovendo offrire un omaggio agli ospiti di un convegno nazionale dei Comitati d’Australia, ho pensato ad una bottiglia di vino con un verso della Divina Commedia. Ne ho trovato uno bellissimo: “Guarda il calor del sole che si fa vino” (Purgatorio Canto XXV). Credo sia la migliore descrizione, in assoluto, del vino.

In un’altra occasione, per la cena natalizia della “Dante”, ho inventato una trilogia, e le “etichette” sono state ammirate dai commensali i quali sono tornati a casa con una bottiglia scegliendo tra:

https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgeTOj0LB2phRRJvuGG5H7QgqUafg3S8RDhSqKU3vPFDcRuUg0e4wDhXmRIw5YkHWBNBt6cgsGbAU_Fc7Q5v4tlF1qiBlSIRGjjh3Npm1NxR598GnWT1jrQ67FqhKKVOqkCmmkGd2jWROg/s1600/Vino+Dante.JPG

INFERNO: Vino “galeotto” dal gusto delicato per serate romantiche prodotto nei vigneti di Francesca Da Rimini.

PURGATORIO: Vino leggero ed inebriante delle colline di Provenza dove l’esule Sordello componeva canti di gloria

PARADISO: Vino nobilissimo di Cangrande della Scala prediletto da Dante nel soggiorno a Verona.



Germano Spagnolo

2 commenti:

  1. Giosue Carducci, poeta e primo italiano ad ottenere il premio Nobel della litteratura, ha scritto :
    "La nebbia a gl'irti colli
    piovigginando sale
    e sotto il maestrale
    urla e biancheggia il mar;
    ma per le vie del borgo
    dal ribollir de' tini
    va l'aspro odor dei vini
    l'anime a rallegrar".
    Anche miei nonni facevano questo vino aspro di cui parli con tanta poesia, Germano.
    Al loro modo, erano poeti, fàcendo e rifàcendo il mondo, con amici, seduti davanti un bicchiere di vino, tutt' intorno una tavola d'osteria.
    Bella l'idea della divina commedia (...di vino) !


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    1. per non dimenticare questo vino si chiamava pimpinella e aveva circa 7 a 8 gradi e il nostro ripasso si chimava torcion e aveva circa 3 a4 gradi (salute)

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