lunedì 23 marzo 2020

Niente di nuovo sotto il sole!

Gianni Spagnolo © 200322
Nihil sub sole novum - nulla di nuovo sotto il sole -, recita l’Ecclesiaste, affermando l’angosciosa monotonia delle umane cose nel quadro più generale della loro vanità. Spesso il motto è citato per segnare l’eterno ripetersi degli eventi nella storia del mondo. Anche l’epidemia che stiamo affrontando ora è in realtà un’esperienza tutt’altro che ignota alla memoria storica. Quello che invece non avremmo mai pensato è di poterla vivere quasi con lo stesso grado di paura inerme e sgomento con cui la sperimentarono i nostri avi.
Eh, si! Perché pur dall’alto delle vette scientifiche, tecniche e sanitarie che abbiamo raggiunto e della nostra supponenza, ci tocca subirla non tanto diversamente da loro. Anche se, occorre precisarlo, in condizioni generali di benessere nemmeno lontanamente paragonabili. Come loro dobbiamo accettare il gioco di questo organismo cercando spasmodicamente il modo d’imbrogliarlo. Come loro dobbiamo accettare la nostra vulnerabilità, come loro ci affideremo alle scienze e alle cure note, ma anche a più accessibili e potenti fattori. 
Niente di nuovo sotto il sole!
L’amico Enrico Sartori Braido da Parigi, ci ha gentilmente inviato una sua ricerca sui dati dell’epidemia di colera del 1855 occorsa in Valle e nei territori limitrofi, purtroppo limitata ai comuni imperiali perché di quello di Rotzo non sono noti.

Comunità
Abitanti
Ammalati
Guariti
Morti
Inizio contagio
Fine contagio
% Guariti
% Ammalati
Pedemonte
660
97
67
30
11/7
19/9
69%
15%
Casotto
396
93
44
49
19/7
31/8
47%
23%
Luserna
600
61
41
20
22/8
21/10
67%
10%
Lavarone
1400
363
288
75
17/6
30/10
79%
26%

Le proporzioni potrebbero essere state simili anche sulla sponda sinistra della Torra, ma purtroppo non abbiamo dettagli. Allora l'aquila bicipite dei Lorena volteggiava senza confini, mentre il vecchio e glorioso leone alato aveva ormai da tempo posato la spada. Balza però all’occhio l’alta incidenza che colpì Casotto, con percentuali più che doppie dei confinanti e con una mortalità del 12,3%; praticamente la media di uno per famiglia. Ciò che sappiamo di San Pietro ci è riportato da Don Giovanni Toldo, il quale racconta che morirono più di 50 persone, su una popolazione di circa 700 individui e che anche qui non fu risparmiata nessuna famiglia. Chissà quali furono le ragioni per cui il morbo a Casotto e San Pietro fu più letale che altrove; un interrogativo angoscioso che richiama le tragiche statistiche attuali di alcuni comuni lombardi. 

Niente di nuovo sotto il sole!
Non era comunque un gran periodo per la nostra gente, quella metà del milleottocento. Uscivano da più di trent'anni di patimenti, con ricorrenti  carestie ed epidemie alternate di colera e tifo, conseguenze delle privazioni e della debilitazione causata dalle carestie stesse. Chi sopravvisse era già stato a suo modo ampiamente selezionato, ma certamente ancora provato nel fisico e nel morale. C’è un motivo per cui le cronache di quegli anni sono carenti o addirittura omesse: i vivi non avevano neanche la forza di seppellire i morti. Racconta il cappellano Don Cristiano Rossati nelle sue cronache, che  nell'estate del 1817 agli Scalzeri dovettero chiamare gente di Montepiano a falciare i prati, perché lì non c’erano più uomini validi in grado di farlo. Quando la terra dava finalmente frutto, capitava che marcisse sui campi perché la popolazione era esaurita dall’inedia. A San Pietro si dissotterravano le patate dai solchi e il comune di Rotzo dovette provvedere al sostentamento della popolazione con risorse straordinarie, prestiti e lavori sociali. Si seppellivano i morti di notte, senza obito, spesso senza neanche registrarli, perché in montagna lo si faceva sui luoghi del decesso. Quasi tutti i capitelli sparsi per le nostre contrade sono stati eretti a voto per il colera del 1855, l’ultima grande piaga sanitaria di quel secolo. Per le pestilenze dei decenni precedenti non c’era stata voglia né risorse per erigerli. Il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria era stato solennemente proclamato giusto l’anno prima, ma in questa veste la Madonna sarebbe apparsa a Lourdes solo tre anni dopo. Dovette tuttavia da subito farsi carico delle petizioni e dei suffragi dei fedeli. “Col corpo se frusta, l’anima se giusta”, diceva mia nonna. A peste, fame et bello... Libera nos Domine!... L'acre odore del fumo del ginepro bruciato impregnava le case mentre la gente soffriva e moriva come mosche; erano prostrati sia i corpi che le anime. Anche la natura gemeva.
Niente di nuovo sotto il sole!
L’aspersorio fendeva imperioso l’aria lungo i bracci della croce e l’acqua benedetta s’aggiungeva a quella dei campi fradici allo scandire delle rogazioni straordinarie:
A fulgure et tempestate ... Libera nos Domine! ...

A flagello terraemotus ... Libera nos Domine! ...
A peste, fame et bello ... Libera nos Domine! ...
Ut fructus terrae dare et conservare digneris ... Te rogamus, audi nos!
Ut pacem nobis dones ... Te rogamus audi nos!
Le stagioni si alternavano fra carestie e abbondanza senza permettere di conservare la semenza e così al danno s’aggiungeva la beffa e lo sfinimento dei corpi e delle coscienze.
Cambiamenti climatici? Si e no!
Nell’aprile del 1815 era esploso il vulcano indonesiano Tambora*, proiettando nell’aria enormi quantità di fumi e detriti che condizionarono il clima per i successivi decenni in tutto il globo. Era la Natura che operava secondo i suoi misteriosi meccanismi; era la Terra che ribadiva la sua signorìa. Allora l’umanità era ancora come un'innocua flora batterica che popolava la crosta del pianeta. Oggi siamo forse più come una psoriasi sulla sua superficie, dal momento che come il Tambora stiamo facendo anche noi. Tuttavia basta ancora un microscopico organismo naturale come un virus o un batterio a metterci di fronte alla nostra fragilità. D'altra parte ci è stato detto fin dal principio: siamo gestori, non padroni! Ci è stato affidato, non regalato! Siamo chiamati a collaborare al creato, ma non è opera nostra!
Niente di nuovo sotto il sole!
Ma passata l'ultima epidemia di colera la vita esplose e l'incremento demografico del nostro paese s'impennò. Fu senz'altro una reazione istintiva e scaramantica a tanta lunga oppressione, non calcolata né pianificata. Semplicemente la vita assolveva al suo compito di sempre, come peraltro lo facevano i virus e i batteri: moltiplicarsi! Ma le risorse da noi non erano sufficienti per tutti e di lì a pochi anni s'affacciò una nuova e inedita piaga: l'emigrazione. Di questa ferita secolare siamo purtroppo tutti figli, avendo essa condizionato l'esistenza di tanti di noi e irreversibilmente quello della  della nostra terra.
Il mondo stava cambiando, non era più quello. Cominciava l'industrializzazione: una fase nuova di sviluppo esponenziale e conquiste allora inimmaginabili che avrebbe reso l'uomo meno vulnerabile ai capricci della natura. Fino ad un certo punto, però!
Niente di nuovo sotto il sole!
A peste, fame et bello .. Libera nos Domine! Te rogamus, audi nos!
Dalle epidemie, dalla fame e dalla guerra .. Liberaci Signore! Ti preghiamo, ascoltaci!


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