【Gianni Spagnolo © 200322】
Le proporzioni potrebbero essere state simili anche sulla sponda sinistra della Torra, ma purtroppo non abbiamo dettagli. Allora l'aquila bicipite dei Lorena volteggiava senza confini, mentre il vecchio e glorioso leone alato aveva ormai da tempo posato la spada. Balza però all’occhio l’alta incidenza che colpì Casotto, con percentuali più che doppie dei confinanti e con una mortalità del 12,3%; praticamente la media di uno per famiglia. Ciò che sappiamo di San Pietro ci è riportato da Don Giovanni Toldo, il quale racconta che morirono più di 50 persone, su una popolazione di circa 700 individui e che anche qui non fu risparmiata nessuna famiglia. Chissà quali furono le ragioni per cui il morbo a Casotto e San Pietro fu più letale che altrove; un interrogativo angoscioso che richiama le tragiche statistiche attuali di alcuni comuni lombardi.
Niente di nuovo sotto il sole!
Nihil sub sole novum - nulla di nuovo sotto il sole -, recita
l’Ecclesiaste, affermando l’angosciosa monotonia delle umane cose nel quadro
più generale della loro vanità. Spesso il motto è citato per segnare
l’eterno ripetersi degli eventi nella storia del mondo. Anche l’epidemia che
stiamo affrontando ora è in realtà un’esperienza tutt’altro che ignota alla
memoria storica. Quello che invece non avremmo mai pensato è di
poterla vivere quasi con lo stesso grado di paura inerme e sgomento con cui la sperimentarono
i nostri avi.
Eh, si! Perché pur dall’alto delle vette scientifiche, tecniche e sanitarie che abbiamo raggiunto e della nostra supponenza, ci tocca subirla non tanto diversamente da loro. Anche se, occorre precisarlo, in condizioni generali di benessere nemmeno
lontanamente paragonabili. Come loro dobbiamo accettare il gioco di questo organismo cercando
spasmodicamente il modo d’imbrogliarlo. Come loro dobbiamo accettare la nostra
vulnerabilità, come loro ci affideremo alle scienze e alle cure note, ma anche a più
accessibili e potenti fattori.
Niente di nuovo sotto il sole!
L’amico Enrico Sartori Braido da Parigi, ci ha gentilmente inviato una sua
ricerca sui dati dell’epidemia di colera del 1855 occorsa in Valle e nei
territori limitrofi, purtroppo limitata ai comuni imperiali perché di quello di
Rotzo non sono noti.
Comunità
|
Abitanti
|
Ammalati
|
Guariti
|
Morti
|
Inizio contagio
|
Fine contagio
|
% Guariti
|
% Ammalati
|
Pedemonte
|
660
|
97
|
67
|
30
|
11/7
|
19/9
|
69%
|
15%
|
Casotto
|
396
|
93
|
44
|
49
|
19/7
|
31/8
|
47%
|
23%
|
Luserna
|
600
|
61
|
41
|
20
|
22/8
|
21/10
|
67%
|
10%
|
Lavarone
|
1400
|
363
|
288
|
75
|
17/6
|
30/10
|
79%
|
26%
|
Le proporzioni potrebbero essere state simili anche sulla sponda sinistra della Torra, ma purtroppo non abbiamo dettagli. Allora l'aquila bicipite dei Lorena volteggiava senza confini, mentre il vecchio e glorioso leone alato aveva ormai da tempo posato la spada. Balza però all’occhio l’alta incidenza che colpì Casotto, con percentuali più che doppie dei confinanti e con una mortalità del 12,3%; praticamente la media di uno per famiglia. Ciò che sappiamo di San Pietro ci è riportato da Don Giovanni Toldo, il quale racconta che morirono più di 50 persone, su una popolazione di circa 700 individui e che anche qui non fu risparmiata nessuna famiglia. Chissà quali furono le ragioni per cui il morbo a Casotto e San Pietro fu più letale che altrove; un interrogativo angoscioso che richiama le tragiche statistiche attuali di alcuni comuni lombardi.
Niente di nuovo sotto il sole!
Non era comunque un gran periodo per la nostra gente, quella metà del
milleottocento. Uscivano da più di trent'anni di patimenti, con
ricorrenti carestie ed epidemie alternate di colera e tifo, conseguenze delle privazioni e della debilitazione causata
dalle carestie stesse. Chi sopravvisse era già stato a suo modo ampiamente
selezionato, ma certamente ancora provato nel fisico e nel morale. C’è un
motivo per cui le cronache di quegli anni sono carenti o addirittura omesse: i vivi
non avevano neanche la forza di seppellire i morti. Racconta il cappellano Don
Cristiano Rossati nelle sue cronache, che nell'estate del 1817 agli Scalzeri dovettero chiamare
gente di Montepiano a falciare i prati, perché lì non c’erano più uomini validi
in grado di farlo. Quando la terra dava finalmente frutto, capitava che marcisse sui
campi perché la popolazione era esaurita dall’inedia. A San Pietro si
dissotterravano le patate dai solchi e il comune di Rotzo dovette provvedere al
sostentamento della popolazione con risorse straordinarie, prestiti e lavori
sociali. Si seppellivano i morti di notte, senza obito, spesso senza neanche
registrarli, perché in montagna lo si faceva sui luoghi del decesso. Quasi tutti i capitelli sparsi per le nostre contrade sono stati
eretti a voto per il colera del 1855, l’ultima grande piaga sanitaria di quel
secolo. Per le pestilenze dei decenni precedenti non c’era stata voglia né
risorse per erigerli. Il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria era stato solennemente
proclamato giusto l’anno prima, ma in questa veste la Madonna sarebbe apparsa a
Lourdes solo tre anni dopo. Dovette tuttavia da subito farsi carico delle
petizioni e dei suffragi dei fedeli. “Col corpo se frusta, l’anima se giusta”,
diceva mia nonna. A peste, fame et
bello... Libera nos Domine!... L'acre odore del fumo del ginepro bruciato impregnava le case mentre la gente soffriva e moriva come mosche; erano prostrati sia i corpi che le
anime. Anche la natura gemeva.
Niente di nuovo sotto il sole!
Niente di nuovo sotto il sole!
L’aspersorio fendeva imperioso l’aria lungo i bracci della croce e l’acqua benedetta
s’aggiungeva a quella dei campi fradici allo scandire delle rogazioni straordinarie:
A fulgure et tempestate ... Libera nos
Domine! ...
A flagello terraemotus ... Libera nos
Domine! ...
A peste, fame et bello ... Libera nos
Domine! ...
Ut fructus terrae
dare et conservare digneris ... Te rogamus, audi nos!
Ut pacem nobis
dones ... Te rogamus audi nos!
Le stagioni si alternavano fra carestie e abbondanza senza permettere di conservare la semenza e così al danno s’aggiungeva la beffa
e lo sfinimento dei corpi e delle coscienze.
Cambiamenti climatici? Si e no!
Nell’aprile del 1815 era esploso il vulcano indonesiano Tambora*,
proiettando nell’aria enormi quantità di fumi e detriti che condizionarono il clima per i successivi
decenni in tutto il globo. Era la Natura che operava secondo i suoi misteriosi
meccanismi; era la Terra che ribadiva la sua signorìa. Allora l’umanità era ancora come un'innocua flora batterica che popolava la crosta del pianeta. Oggi siamo forse più
come una psoriasi sulla sua superficie, dal momento che come il Tambora stiamo facendo anche noi.
Tuttavia basta ancora un microscopico organismo naturale come un virus o un batterio a metterci di fronte alla nostra fragilità. D'altra parte ci è stato detto fin dal principio: siamo gestori, non padroni! Ci è stato affidato, non regalato! Siamo chiamati a collaborare al creato, ma non è opera nostra!
Niente di nuovo sotto il sole!
Ma passata l'ultima epidemia di colera la vita esplose e l'incremento demografico del nostro paese s'impennò. Fu senz'altro una reazione istintiva e scaramantica a tanta lunga oppressione, non calcolata né pianificata. Semplicemente la vita assolveva al suo compito di sempre, come peraltro lo facevano i virus e i batteri: moltiplicarsi! Ma le risorse da noi non erano sufficienti per tutti e di lì a pochi anni s'affacciò una nuova e inedita piaga: l'emigrazione. Di questa ferita secolare siamo purtroppo tutti figli, avendo essa condizionato l'esistenza di tanti di noi e irreversibilmente quello della della nostra terra.
Il mondo stava cambiando, non era più quello. Cominciava l'industrializzazione: una fase nuova di sviluppo esponenziale e conquiste allora inimmaginabili che avrebbe reso l'uomo meno vulnerabile ai capricci della natura. Fino ad un certo punto, però!
Niente di nuovo sotto il sole!
Ma passata l'ultima epidemia di colera la vita esplose e l'incremento demografico del nostro paese s'impennò. Fu senz'altro una reazione istintiva e scaramantica a tanta lunga oppressione, non calcolata né pianificata. Semplicemente la vita assolveva al suo compito di sempre, come peraltro lo facevano i virus e i batteri: moltiplicarsi! Ma le risorse da noi non erano sufficienti per tutti e di lì a pochi anni s'affacciò una nuova e inedita piaga: l'emigrazione. Di questa ferita secolare siamo purtroppo tutti figli, avendo essa condizionato l'esistenza di tanti di noi e irreversibilmente quello della della nostra terra.
Il mondo stava cambiando, non era più quello. Cominciava l'industrializzazione: una fase nuova di sviluppo esponenziale e conquiste allora inimmaginabili che avrebbe reso l'uomo meno vulnerabile ai capricci della natura. Fino ad un certo punto, però!
Niente di nuovo sotto il sole!
A peste, fame et bello .. Libera nos
Domine! Te rogamus, audi nos!
Dalle epidemie, dalla fame e dalla guerra .. Liberaci Signore! Ti
preghiamo, ascoltaci!
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