venerdì 20 marzo 2020

La salvia di San Giuseppe


La Salvia di San Giuseppe, i fagioli del 7 e… mezzo polastro in tecia. Per tradizione…

Le tradizioni della nostra Terra, della nostra Gente. 
Una bellezza, una poesia! Tradizioni religiose, contadine, popolari, tutte che vengono dal cuore della nostra storia.
E così arrivava marzo. Dopo l’inverno, lungo e freddo, i primi raggi di sole avevano sciolto la neve sulle rive, nei prati allora spuntavano qua e là timide le prime viole, le gialle primule e le bianche pratoline che noi chiamavamo “margheritine”. 
La pianta della salvia era piantata vicino al muro della stalla, protetta a nord e ben esposta al sole dell’estate. I raggi di sole di marzo, che si facevano via via più caldi e vigorosi risvegliavano le lucertole che uscivano, saettanti dalle crepe del muro. Ed era quasi San Giuseppe. Sì, perché? Perché a San Giuseppe, il 19 marzo, se “s-ciara” la salvia. Non si trattava di una drastica potatura, ma più di una profonda pulizia a quella pianta che cerca, spontanea, le rive salate del mare, ma che sapeva, anche quassù, chiamare mille api sui suoi piccoli fiori viola e profumare l’aria tutt’intorno. E allora, il 19 marzo, proprio e sempre il giorno di san Giuseppe, con una cesoia oleata e affilata di nuovo si procedeva a togliere le punte dei rametti che l’inverno aveva seccato, a ripulire gli stecchi dalle foglie color argento rimaste dall’anno precedente e a zappettare, leggermente, le radici perché l’aria dolce della primavera rinnovasse la vita alla pianta, preziosa per i piatti della cucina che doveva venire! Era… una tradizione! Chissà se aveva proprio senso tagliare e potare la salvia il giorno di San Giuseppe, ma lo faceva mio padre mezzo secolo fa e, il 19 marzo continuo a farlo anch’io. Per… tradizione!
Poi verrà maggio e allora, per tradizione, il giorno 7, o giorno 17 o il giorno 27, sarà l’ora di seminare i fagioli! Perché proprio in quelle date? Non ho spiegazioni scientifiche naturalmente, e il comandamento della Liliana: “ I fasòi se pianta el 7 o il 17 o il 27 de maggio, sennò i fa i pioci!” non mi sembra, biologicamente, così convincente! Ma… pianterò i fagioli in uno di quei tre giorni. Per tradizione.
È vero che nel mondo contadino, essendo molti i lavori da fare, e considerando che ogni mese, ogni settimana dell’anno, aveva il suo lavoro, avere una scansione temporale era importante e persino necessario. Era un modo per non preoccuparsi prima dei lavori che sarebbero seguiti i giorni e le settimane dopo; una sorta di “programmazione straordinaria” giorno per giorno e, sempre negli anni, in quegli stessi giorni! Per tradizione…
Però Giulietta, la giovane sposa che viveva in una grande casa con i suoi suoceri, un cognato, una cognata e due vecchie zie di suo marito, non aveva mai capito perché Giuseppina, Beppina, la suocera preparasse il pollo in due pentole diverse. La ricetta era identica, ma… mezzo pollo di qua e mezzo di là. La giovane sposa inserita in una nuova, grande famiglia, per i primi mesi non trovò il coraggio di chiedere alla suocera Beppina il perché di quella scelta, ma, passato un po’ di tempo e sentendosi ora perfettamente inserita nella famiglia del marito, trovò il coraggio per chiedere: “-La me scusa parona (padrona era il termine con cui la nuora si rivolgeva alla suocera) ma perché quando che la domenica se prepara el pollastro, la lo mette in due tecie diverse? La Beppina sembrò accorgersi solo ora di questo strano fatto e rispose: “Non so, lo faceva mia nonna Adele, l’ha fatto mia mamma, lo faccio anch’io!” Sembrava quindi, una cosa dovuta, seppur inspiegabile… una tradizione. Ma da sopra la cassa della legna, in angolo della grande cucina, intervenne la vecchia zia Nora (Eleonora) quasi a spiegare il fatto, semplice come l’uovo di Colombo, e disse: “Per forza tua nonna faceva il polastro mezzo in una pentola e mezzo nell’altra… Aveva due pentole e per di più piccolissime e solo quelle! Un pollo intero non sarebbe mai entrato in un’unica pentola!” Sorrise la nuora Giulietta. Da almeno trent’anni la sua suocera cucinava in due pentole lo stesso pollo perché la sua nonna, cinquant’anni prima… ne aveva solo due di pentole e troppo piccole per un pollo intero!
Così talvolta nascono e si mantengono nel tempo le tradizioni della gente. Senza troppo ragionamento, per una questione... di cuore. 
Io, oggi, ho potato la mia salvia! Sì, perché è San Giuseppe, e… chissà perché!
Lucio Spagnolo

4 commenti:

  1. Questo racconto è una poesia! Quanti ricordi....anche mio papà Genio ha sempre bruscato la salvia il giorno di S.Giuseppe ed è sempre venuta na maravèja! Un saluto a tutti! Alessandra Toldo

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  2. Sai Genio che invece io ho sempre sentito che andrebbe potata il venerdì santo? Fino a quando abbiamo avuto l'orto, Renzo la potava sempre il venerdì santo! Per quanto riguarda i fagioli invece... erano da seminare entro il 25 aprile e mai nei giorni con la "R" pena un fulmine de peòci...
    In verità è stata fatta anche quella prova, ma con esiti negativi. Ambedue le file avevano i "peòci"... ;-)
    Probabile che in altopiano la semina fosse spostata a maggio a causa delle più basse temperature causate dall'altitudine

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  3. Dimenticavo: concordo anch'io che tutti gli scritti di Lucio sono poesia!
    Bravo! Grazie!

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  4. Carla, me papà me ga tirà le rècie, el me ga dito che go la memoria confusa, anca lu la salvia la bruscàva el venerdì santo, come tuti quei de Sanpiero!
    Invece Genio dixe che i fasòi i va semenà pi tardi.....

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