La Salvia di San Giuseppe, i fagioli del 7 e… mezzo polastro in tecia. Per tradizione…
Le tradizioni della nostra Terra, della nostra Gente.
Una bellezza, una
poesia! Tradizioni religiose, contadine, popolari, tutte che vengono
dal cuore della nostra storia.
E così arrivava marzo. Dopo
l’inverno, lungo e freddo, i primi raggi di sole avevano sciolto la neve
sulle rive, nei prati allora spuntavano qua e là timide le prime viole, le gialle primule e le bianche pratoline che noi
chiamavamo “margheritine”.
La pianta della salvia era piantata vicino al
muro della stalla, protetta a nord e ben esposta al sole dell’estate. I
raggi di sole di marzo, che si facevano via via più caldi e vigorosi
risvegliavano le lucertole che uscivano, saettanti dalle crepe del muro.
Ed era quasi San Giuseppe. Sì, perché? Perché a San Giuseppe, il 19
marzo, se “s-ciara” la salvia. Non si trattava di una drastica
potatura, ma più di una profonda pulizia a quella pianta che cerca,
spontanea, le rive salate del mare, ma che sapeva, anche quassù,
chiamare mille api sui suoi piccoli fiori viola e profumare l’aria
tutt’intorno. E allora, il 19 marzo, proprio e sempre il giorno di san
Giuseppe, con una cesoia oleata e affilata di nuovo si procedeva a
togliere le punte dei rametti che l’inverno aveva seccato, a ripulire
gli stecchi dalle foglie color argento rimaste dall’anno precedente e a
zappettare, leggermente, le radici perché l’aria dolce della primavera
rinnovasse la vita alla pianta, preziosa per i piatti della cucina che
doveva venire! Era… una tradizione! Chissà se aveva proprio senso
tagliare e potare la salvia il giorno di San Giuseppe, ma lo faceva mio
padre mezzo secolo fa e, il 19 marzo continuo a farlo anch’io.
Per… tradizione!
Poi verrà maggio e allora, per tradizione, il
giorno 7, o giorno 17 o il giorno 27, sarà l’ora di seminare i fagioli!
Perché proprio in quelle date? Non ho spiegazioni scientifiche naturalmente, e il comandamento della Liliana: “ I fasòi se pianta el 7 o
il 17 o il 27 de maggio, sennò i fa i pioci!” non mi sembra,
biologicamente, così convincente! Ma… pianterò i fagioli in uno di quei
tre giorni. Per tradizione.
È vero che nel mondo contadino,
essendo molti i lavori da fare, e considerando che ogni mese, ogni
settimana dell’anno, aveva il suo lavoro, avere una scansione temporale
era importante e persino necessario. Era un modo per non preoccuparsi
prima dei lavori che sarebbero seguiti i giorni e le settimane dopo; una
sorta di “programmazione straordinaria” giorno per giorno e, sempre
negli anni, in quegli stessi giorni! Per tradizione…
Però
Giulietta, la giovane sposa che viveva in una grande casa con i suoi
suoceri, un cognato, una cognata e due vecchie zie di suo marito, non
aveva mai capito perché Giuseppina, Beppina, la suocera preparasse il
pollo in due pentole diverse. La ricetta era identica, ma… mezzo pollo di
qua e mezzo di là. La giovane sposa inserita in una nuova, grande
famiglia, per i primi mesi non trovò il coraggio di chiedere alla
suocera Beppina il perché di quella scelta, ma, passato un po’ di tempo e
sentendosi ora perfettamente inserita nella famiglia del marito, trovò
il coraggio per chiedere: “-La me scusa parona (padrona era il termine
con cui la nuora si rivolgeva alla suocera) ma perché quando che la
domenica se prepara el pollastro, la lo mette in due tecie diverse? La
Beppina sembrò accorgersi solo ora di questo strano fatto e rispose:
“Non so, lo faceva mia nonna Adele, l’ha fatto mia mamma, lo faccio
anch’io!” Sembrava quindi, una cosa dovuta, seppur inspiegabile… una
tradizione. Ma da sopra la cassa della legna, in angolo della grande
cucina, intervenne la vecchia zia Nora (Eleonora) quasi a spiegare il
fatto, semplice come l’uovo di Colombo, e disse: “Per forza tua nonna
faceva il polastro mezzo in una pentola e mezzo nell’altra… Aveva due
pentole e per di più piccolissime e solo quelle! Un pollo intero non
sarebbe mai entrato in un’unica pentola!” Sorrise la nuora Giulietta. Da
almeno trent’anni la sua suocera cucinava in due pentole lo stesso
pollo perché la sua nonna, cinquant’anni prima… ne aveva solo due di
pentole e troppo piccole per un pollo intero!
Così talvolta
nascono e si mantengono nel tempo le tradizioni della gente. Senza
troppo ragionamento, per una questione... di cuore.
Io, oggi, ho potato
la mia salvia! Sì, perché è San Giuseppe, e… chissà perché!
Lucio Spagnolo
Questo racconto è una poesia! Quanti ricordi....anche mio papà Genio ha sempre bruscato la salvia il giorno di S.Giuseppe ed è sempre venuta na maravèja! Un saluto a tutti! Alessandra Toldo
RispondiEliminaSai Genio che invece io ho sempre sentito che andrebbe potata il venerdì santo? Fino a quando abbiamo avuto l'orto, Renzo la potava sempre il venerdì santo! Per quanto riguarda i fagioli invece... erano da seminare entro il 25 aprile e mai nei giorni con la "R" pena un fulmine de peòci...
RispondiEliminaIn verità è stata fatta anche quella prova, ma con esiti negativi. Ambedue le file avevano i "peòci"... ;-)
Probabile che in altopiano la semina fosse spostata a maggio a causa delle più basse temperature causate dall'altitudine
Dimenticavo: concordo anch'io che tutti gli scritti di Lucio sono poesia!
RispondiEliminaBravo! Grazie!
Carla, me papà me ga tirà le rècie, el me ga dito che go la memoria confusa, anca lu la salvia la bruscàva el venerdì santo, come tuti quei de Sanpiero!
RispondiEliminaInvece Genio dixe che i fasòi i va semenà pi tardi.....